Tiziano Ferro si racconta a Vanity Fair: le dichiarazioni in esclusiva

Tiziano Ferro si racconta a Vanity Fair in esclusiva sul nuovo numero

«Vanity c’era quando ho avuto successo, quando ho fatto coming out, quando mi sono sposato. E Vanity c’è anche adesso, quando le cose non vanno proprio come te le eri immaginate. In quei momenti hai bisogno di amici. Amici che sanno ascoltarti». È Tiziano Ferro il protagonista del numero dedicato al viaggiare responsabilmente e alle eccellenze del nostro Paese, che l’artista stesso rappresenta. È il volto dell’italianità nuova, ora più che mai. E anche se da anni vive a Los Angeles, sente con orgoglio il richiamo delle radici. Ecco perché è stato scelto lui.

Nell’intervista esclusiva, firmata dal direttore Simone Marchetti, la popstar racconta il suo presente: la gestione del divorzio dal marito Victor, la quotidianità con i due figli Margherita e Andres, gli amici veri che l’hanno salvato. Ancora: l’Italia che non riconosce la doppia paternità ai suoi bambini, il valore dei fallimenti e delle debolezze mostrate, il ruolo degli educatori e dei manager. Sì, qui si riferisce a Mara Maionchi, che nel programma di Francesca Fagnani Belve l’ha definito irriconoscente, riaprendo vecchie ferite.

Il Vodcast completo dell’intervista, Coverstory, si trova su vanityfair.it e su tutte le principali piattaforme di distribuzione.

Ha parlato apertamente del suo divorzio. Com’è stato gestirlo privatamente?

«Una cosa ho capito: non potevo e non dovevo abbandonarmi all’idea del divorzio come fallimento, trappola allettante che ti illude di restare fermo in quella zona di comfort che è il dolore. Ringrazio la complessità e la tridimensionalità del rapporto con Victor che mi hanno permesso di andare avanti».

Che emozione ha provato la prima volta che ha abbracciato i suoi figli?

«Lo ricordo benissimo. Lei è arrivata per prima. Se è vero che ho cercato la paternità con una caparbietà che solo chi l’ha vissuta può conoscere, è anche vero che queste esperienze arrivano con un bagaglio enorme di dubbi e incertezze. Ma quando ho stretto tra le braccia questa bambina, è stato come capire che ero pronto a essere un papà. Vede, uno dei problemi fondamentali della mia adolescenza è stato non sentirmi mai abbastanza, avere sempre il dubbio di non essere all’altezza. Quella bimba tra le braccia, invece, mi diceva che non c’erano dubbi. Infatti ho scoperto che per loro ho una faccia tosta che non ho per nessuno, che ho un forza fisica che non sapevo di avere. Lo so, sono cose che dicono tutti i genitori. Ma è la verità. Abbracciare Andres, invece, è stato come stringere al petto una pietra rovente che ti scalda fino al cuore. Mi sono detto: ma chi sei tu? Chi è questo bambino così potente, così speciale? Che cos’è questo amore che mi brucia fino al cuore?».

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Ha più volte dichiarato che non può tornare in Italia perché il nostro Paese non riconosce ancora la doppia paternità ai suoi figli.

«Mi ferisce che vengano negati i diritti ai miei figli, perché siamo tutti uguali e con diritti uguali: perché loro ne dovrebbero avere di meno? Perché Victor deve aver bisogno di una delega per accompagnarli a scuola o per portarli in ospedale quando non ci sono io? Io penso che i politici e le persone che fomentano l’odio e l’omofobia siano persone che non riescono a dare un volto umano all’amore. Preferiscono mettere un’etichetta dove invece ci sono volti, dove c’è amore, dove ci sono persone».

 

Lei è come l’araba fenice, rinasce sempre dalle sue ceneri. Dall’alcolismo, dalla depressione, dalla bulimia. Oggi si parla molto di salute mentale, soprattutto nei giovani. Lei come ha affrontato queste battaglie?

«La salute mentale è un argomento complesso che non si può risolvere con una diretta o una storia su Instagram. E un artista come me sbaglia quando pensa di curare o di migliorare la vita di chi soffre di queste patologie. Penso, invece, che bisogna lavorare sulla prossima generazione di genitori, perché saranno loro ad aiutare i loro figli a non scivolare in questi precipizi. Le faccio un esempio: parlando di bulimia, oggi non faccio né voglio fare l’apologia dell’obesità, però fino a ieri si portava un bambino dal dietologo solo perché aveva cinque chili in più del previsto. Quello è un meccanismo crudele che mi ha marchiato a fuoco perché io mi sentirò grasso per sempre e nulla mi farà mai cambiare idea. Camminerò per strada sentendomi grasso anche se non lo sono. E mi sentirò perennemente inadeguato. I genitori sono fondamentali in questo. E lo sono anche gli educatori. E i manager. E qui sì, mi riferisco a Mara Maionchi. Le voglio bene e sono sicuro che vent’anni fa questi discorsi non erano così chiari. Però oggi va fatto un cambio di passo radicale, perché la salute mentale è una cosa pratica che va appunto praticata. È un obbligo morale raccontare alle persone, agli artisti, che il corpo non è un vincolo negativo per la loro arte. Io credo che Mara e molte altre persone non abbiano realizzato abbastanza quanto traumatico e doloroso sia quell’atteggiamento che si imprime per sempre nell’inconscio e nell’esistenza di ragazzini ancora fragili. Io oggi perdono la loro buona fede. Ma bisogna fare un mea culpa e non prendere più questo argomento alla leggera».

 

Torno a parlare di amici. Vorrei soffermarmi su una sua amica speciale: Laura Pausini.

«Laura è appena venuta da me a Los Angeles con la figlia. Ho cucinato per loro e per i miei figli paccheri al sugo e pollo. Ho visto Laura evolvere come donna, diventare madre, vincere tutto. E l’ho vista anche star male. Oggi posso dire: che culo avere Laura come amica! E parlo di un’amica vera. Mi ricordo che durante il divorzio lei era a Buenos Aires e a un certo punto mi fa una videochiamata e mi dice: “Io non ti vedo bene, adesso prendo un volo e vengo a Los Angeles”. Aveva solo due giorni di stacco tra un concerto e l’altro. Ecco che cosa sono gli amici veri».

 

L’intervista completa è disponibile sul numero di Vanity Fair in edicola dall’8 maggio e sul sito vanityfair.it. 

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