Caso Alessia Pifferi, ecco cosa hanno scritto le psicologhe indagate

Alessia Pifferi

Caso Alessia Pifferi, ecco cosa hanno scritto le psicologhe indagate nella relazione contestata dal pubblico ministero

Alessia Pifferi sta affrontando il processo per cui è accusata di aver lasciato morire di inedia la figlia di pochi anni, ma al suo processo si aggiungono le accuse all’avvocato difensore e alle psicologhe che l’hanno seguita in carcere per falso ideologico e favoreggiamento.

Oggi, 27 gennaio, il Corriere della Sera ha pubblicato stralci della relazione che le psicologhe hanno stilato dopo la valutazione della loro paziente. In particolare ad essere sotto la lente degli investigatori è la relazione del 2 novembre, che si apre così: «La paziente arriva a colloquio emotivamente distrutta. Piange in modo sofferto riuscendo finalmente ad esprimere tutto il suo dolore. Continuano i flashback sulla bambina ma anche sul periodo di grave malattia del padre. Ha l’immagine dell’uomo delirante e sofferente degli ultimi giorni di vita. Sembra essersi riattivata la sofferenza per il lutto paterno che si somma a quella per la mancanza della figlia».

Tutto ruota intorno al test psicodiagnostico Wais (Wechsler Adult Intelligence Scale), un test d’intelligenza sviluppato da David Wechsler. È uno dei test d’intelligenza più utilizzati al mondo e viene utilizzato per valutare le capacità cognitive di adulti di età compresa tra 16 e 90 anni.

Il documento, firmato dalla dottoressa Guerzoni, continua: «La signora esordisce dicendo di “avere fatto una cosa che non doveva fare”. Si commuove e racconta di avere lasciato la figlia di un anno a casa da sola per una settimana per recarsi dal compagno (…). Mantiene comportamento corretto e buona disponibilità al colloquio (…). Ha la licenza media e poi è andata a lavorare facendo diversi lavoretti come pulizie e babysitter. Si era messa a studiare all’istituto socio sanitario perché le piacciono i bambini ma ha dovuto interrompere perché ha dovuto curare la madre che ha avuto un incidente».

Inoltre, parla di incubi notturni da parte della Pifferi, che si descrive così: «La donna si racconta come di una bambina introversa che ha sempre cercato di non dare problemi e che si teneva ogni sentimento dentro in quanto aveva la percezione che i suoi vissuti e i suoi disagi non avrebbero avuto uno spazio di accoglienza affettiva, di cura e di ascolto. Il non essere stata vista nei suoi bisogni di bambina buona ma anche cattiva, che l’ha resa un po’ invisibile al mondo sociale, ha probabilmente indotto la sua incapacità a vedere la figlia come altro da sé e questo ha fatto si che potesse abbandonarla senza percepirne i bisogni cosi come era accaduto a lei. Il fatto di essersi allontanata con il compagno era un estremo tentativo di mettere alla prova le motivazioni dell’uomo a costruire un futuro insieme che tenesse conto che lei aveva una figlia. Questa speranza, questo sogno di vita perfetta, potrebbe avere quindi oscurato la sua capacità nel prevedere le conseguenze pratiche del suo gesto».

Infine, si legge: «È assolutamente credibile quando dice che amava sua figlia e che non avrebbe voluto farle del male. La signora mostra un atteggiamento passivo nei confronti degli eventi tanto da non essersi nemmeno immaginata di dovere scegliere un pediatra (”nessuno me lo aveva detto”) di poter iscrivere la bambina al nido, di chiedere ad esempio il reddito di cittadinanza, di chiedere aiuto nel gestire la figlia ma anche sé stessa con i suoi bisogni di donna e madre sola e disoccupata. Quanto descritto finora, insieme al dato che la stessa paziente ha fornito in un precedente colloquio di avere avuto l’insegnante di sostegno alle elementari “perché più lenta degli altri bambini”, fa ipotizzare un possibile deficit cognitivo che sommato a qualche possibile trauma emotivo risalente alla prima infanzia ne limita le risorse cognitive, soprattutto in termini di problem solving e di capacità metacognitive e di coping».

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Le conclusioni del pm, tuttavia, dicono che la relazione non è un’attività di supporto psicologico, ma “di una sorta di interpretazione delle affermazioni della donna in chiave difensiva, come per ricavarne una visione in antitesi con le accuse”.

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