A 27 anni dalla morte, il ricordo di Massimo Troisi attraverso le sue parole

Il 4 giugno di ventisette anni fa ci lasciava Massimo Troisi e l’Italia perdeva un eccellente talento nell’arte di raccontare la vita

Dodici ore dopo aver terminato le riprese del film “Il Postino”, il 4 giugno di ventisette anni fa Massimo Troisi moriva nel sonno, in casa della sorella Annamaria. Aveva 41 anni.

Nato in provincia di Napoli, il regista era l’ultimo di sei figli con madre casalinga e padre ferroviere. Della sua infanzia ha dichiarato: “Sono nato in una casa con 17 persone. Ecco perché ho questo senso della comunità assai spiccato. Ecco perché quando ci sono meno di 15 persone mi colgono violenti attacchi di solitudine” e non ha mai celato di avere avuto un’infanzia povera: “Che ho avuto un’infanzia povera è vero, ma ho utilizzato anche le esperienze negative. E poi ho avuto fortuna, forse. Oppure devo tutto al mio atteggiamento di fronte agli ostacoli”.

Massimo Troisi ha da sempre avuto una salute cagionevole. Sin da piccolo era affetto da febbre reumatica e negli anni ha sviluppato una grave degenerazione della valvola mitrale, complicata dallo scompenso cardiaco. A proposito del suo stato di salute, in un’intervista ha dichiarato: “Ricordo che rimanevo a letto, avevo 14 o 15 anni. Lucidamente, quasi come un adulto, sentivo che di là, in cucina, si stava parlando del mio problema, di cosa fare”.

Non amava molto la scuola: “Ho sempre fatto le cose che volevo anche quando sembravano controproducenti. Non amavo la scuola: ci ho messo dieci anni, anziché, cinque, a diventare geometra. Uno dice: tempo perso. Invece no. Mi sono scontrato con quella retorica lì che ti dice di studiare, di fare il tuo dovere, di sopportare le ingiustizie, dì tollerare. Ero inc…, ma intanto mi divertivo e avevo tutte le esperienze possibili, da quella politica a quella sentimentale”. È stato in quegli anni che scopre l’arte di raccontare con gli spettacoli teatrali: “Ho imparato a conoscere il ritmo della reazione del pubblico. Quel rapporto che ho cercato poi di riproporre con i miei film. Mi dicevo: stai bene a te stesso, resta te stesso. Giuro: se uno mantiene i suoi principi non è vero che deve pe’ forza fallì”.

Dopo l’esordio a “No Stop”, nel 1981 Massimo Troisi dirige “Ricomincio da tre”, il suo primo film. Girato in sole sei settimane e con un budget risicato per l’epoca – 400 milioni di lire – il lungometraggio ottiene al botteghino 15 miliardi di lire. “Con il successo incominciano tutti a farti delle proposte. A me l’idea del film non è che mi entusiasmasse molto. Il cinema mi piace poco, non ci vado nemmeno spesso, non sono un fissato dei film” aveva raccontato.

A seguire, arrivò “Non ci resta che piangere”, altro grande film in cui Troisi recita con Roberto Benigni: “È stata la lavorazione più divertente che ho mai fatto. Non mi è mai capitato di ridere così sul set», ha raccontato Troisi nel 1988. «È come se facessimo a gara a chi fosse il più comico. La scena di quando usciamo da casa di Vitellozzo in abiti quattrocenteschi l’abbiamo girata una volta sola, la prima. Perché poi non riuscivamo a cominciarla senza ridere come pazzi”. Infine, fu la volta di “Pensavo fosse amore” e de “Il Postino”, sua ultima produzione cinematografica basata sul romanzo dello scrittore cileno Antonio Skármeta Ardiente Pacienca.

Per girare “Il Postino” Massimo Troisi decise di rischiare e di mettere in pericolo la sua salute. Avrebbe dovuto sottoporsi al trapianto di cuore e invece diceva: “Questo film lo voglio fare con il mio cuore”.

A ventisette anni dalla sua scomparsa, Massimo Troisi è e resta un talento ineguagliato e ineguagliabile, i suoi film sono pura educazione sentimentale e nelle menti di chi lo stima e lo apprezza c’è la certezza che il regista avrebbe potuto regalare ancora film che sarebbero diventati grandi classici del cinema italiano.

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