Pio La Torre, nell’anniversario della morte il ricordo del nipote Filippo

Pio La Torre, nell’anniversario della morte il ricordo del nipote Filippo

Pio La Torre, nell’anniversario della morte il ricordo del nipote Filippo: “Pio La Torre è morto per tutta la sua vita”

Era il 30 aprile 1982 quando la mafia su ordine di Totò Riina e Bernardo Provenzano ordinò l’assassinio di Pio La Torre, l’allora segretario del partito comunista siciliano. Nel 1972 Pio La Torre venne eletto deputato e proprio in Parlamento si fece promotore della legge che introduce il reato di associazione mafiosa e della norma che prevede la confisca dei beni ai mafiosi.

Due moto affiancarono l’auto con cui La Torre insieme a Rosario Di Salvo, si stava dirigendo verso la sede del partito. Gli uomini a bordo delle motociclette, a volto coperto, sparano decine di colpi contro i due. Pio La Torre morì all’istante, mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre la pistola e sparare alcuni colpi, prima di morire.

La vita politica di Pio La Torre resta un fulgido esempio di servizio allo Stato, mentre la sfera privata corrisponde a quella di un padre di famiglia amorevole, di uno zio presente e attento alle sensibilità di ognuno. Il suo ricordo, a quarantuno anni dalla tragica scomparsa, oggi ci viene rinnovato dal nipote Filippo La Torre, il quale ci parla del legame con lo zio, ma anche dell’uomo politico che fino alla fine ha lavorato per la Patria.

Chi era per lei Pio La Torre?

Pio La Torre era il fratello maggiore di mio padre ma, stranamente, sento ancora più forte il mio rapporto affettivo perché era figlio di mia nonna Angela. Una donna contadina che io non ho conosciuto e che a costo di enormi sacrifici lo indirizzò agli studi e fu la sua prima guida morale. Pio è stato un uomo il cui linguaggio era sempre schietto, capace di riflessioni profonde e tenace nel perseguire gli obiettivi da raggiungere. Aveva la capacità di capire una cosa e poi di mettersi a lavorare ed essere continuativo, duraturo, insistente, pressante. Sapeva mantenere saldi i legami di amicizia, non soltanto per il fatto che si era compagni. Pio era molto sobrio nell’esternare i suoi sentimenti, molto riservato. Ciò non toglieva che ci si accorgeva della sensibilità che a suo modo manifestava nei confronti di gran parte di compagni con cui aveva a che fare.

Qual è il ricordo o i ricordi più belli che ha di lui?

I miei ricordi più belli risalgono a molti anni fa, i primi addirittura quando ero ancora bambino. Allora, avevo pochi anni, lo vedevo unicamente come un benefattore. Nei primi anni ‘50 mio padre era disoccupato e in casa a volte, anzi spesso, mancava il necessario. Pio nel 1952 era stato eletto al consiglio comunale di Palermo. Avevo pochi anni e mi è rimasta nella mente l’immagine di mia madre con le braccia impegnate con due borse colme di “spesa”. Palese la felicità nei suoi occhi e la nostra, mia e di mia sorella Angela, nel trovare in mezzo a quel ben di Dio anche una barretta di cioccolato. Seppi in seguito che a procurarci ogni tanto un buono spesa era Pio. In età più adulta spesso veniva a trovare mio padre che abitava ancora la casa di campagna dove Pio era nato e tra le mura della sua giovinezza, amava prendersi in giro con leggerezza e con ironia. E che gioia provavo quando prendeva in braccio i miei figli e li sollevava per aria, ripetendo una cadenza cantata da mio nonno e che non ascoltavo da decenni e decenni. E poi ricordo i suoi brevi riposi pomeridiani, i suoi appunti dalla grafia incomprensibile, scritti, riscritti, sottolineati, cancellati, appallottolati e rivedo la sua fronte spesso testimone di ansie nascoste.

Cosa ricorda della sua morte? E come reagì la sua famiglia?

Non lo vidi in faccia e non lo volli vedere. Avevo paura di vedere un altro volto, sconosciuto, sicuramente sfigurato dal piombo ignorante di siciliani vigliacchi. Mio zio Pio era bello e così doveva e deve rimanere nella mia memoria. Comunque, gli restai accanto a tenergli compagnia per ore. La mia famiglia rimase isolata nel dolore e non partecipò mai a nessuna ricorrenza. Ricordo il dolore dei suoi amici più stretti e la disperazione dei suoi collaboratori più fidati.

Pio La Torre fu assassinato mentre era ancora in carica, cosa significò allora la sua morte per la scena politica italiana?

Sicuramente la morte di Pio La Torre accelerò l’approvazione in Parlamento della legge Rognoni – La Torre che prevedeva l’introduzione del reato di associazione di tipo mafioso e il sequestro del patrimonio dei condannati per i delitti di mafia. Ritengo che a distanza di anni, la legge mantenga ancora una sua forte valenza giuridica.

Centomila persone parteciparono al suo funerale. Cosa resta oggi di quella partecipazione di massa?

La partecipazione al suo funerale fu straordinaria. Le strade che confluivano su Piazza Castelnuovo brulicavano di genti vere e semplici, che riconoscevano in Pio l’uomo che sempre le aveva difese dai soprusi e dalle ingiustizie, che era stato uno di loro, che aveva vissuto come loro, che si era mischiato a loro annusando quel sudore particolare che sa di fatica e di disperazione. I loro volti erano attraversati da tanti sentimenti, come su libri aperti ci leggevo la rabbia e la rassegnazione, il dolore e la paura, la paura di essere rimasti più soli. Mi piaceva pensare che avevano ubbidito ad un istinto naturale, che nell’apprendere che Pio era stato ucciso si erano mossi spontaneamente dalle campagne, dalle fabbriche, dagli uffici ubbidendo a un richiamo che esula dalla ragione. Stavo mischiato in mezzo a loro e il mio orgoglio era smisurato.

Cosa ci insegna la sua morte?

A distanza di quarant’anni tutto si è disgregato. È mutato il sentire comune e il quadro politico nazionale, instabile come pochi nel panorama europeo, nella sua mutevolezza spesso sottace l’eroismo dei tanti, politici, magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, che hanno speso la loro vita per la legalità. Succede anche che vengano messi in atto tentativi per depotenziare leggi per la cui applicazione si sono creati degli eroi. E gli eroi spesso rimangono idoli.

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Invece, del cittadino e dell’uomo politico cosa resta?

Pio La Torre rimane un esempio di uomo politico difficile da imitare. Dopo la sua morte il Generale Dalla Chiesa ebbe a dire: Pio La Torre è morto per tutta la sua vita. Pio ha avuto sempre la morte accanto, fin dalla sua fanciullezza, ne era consapevole. L’ha aspettata per tanti lunghi anni, non desiderata, dal giorno in cui fece il suo primo comizio appena diciottenne in una piazza di pochi metri quadrati e con un pubblico di pochi curiosi, fino al giorno in cui, esattamente il 4 aprile del 1982, alla testa di ottantamila persone marciava verso Comiso in difesa di una Sicilia scelta dagli americani come avamposto militare per l’installazione di missili nucleari.

La lotta alla mafia è sempre in primo piano, molto è stato fatto, ma molta strada deve essere ancora percorsa. Crede che ci sarà una fine?

Il giudice Falcone ripeteva che la mafia avrà una sua fine ma forse si riferiva alla mafia i cui capi mangiavano nascosti in casolari fatiscenti e che mangiavano cicoria e ricotta. Invece io sono convinto che la mafia sia un serpente che muta la sua pelle a seconda delle stagioni. Oggi bisogna intendersi sul significato di mafia. Dove c’è sopraffazione e abuso di potere per raggiungere illeciti arricchimenti c’è mafia. Sono cambiati i metodi: non più coppola e lupara ma intelligenze raffinate si mettono al servizio di organizzazioni criminali.

Alle nuove generazioni cosa augura?

Che mantenga memoria di ciò che è successo. Compito arduo. Non più tardi di un mese fa ho toccato con mano la labilità del ricordo in una decina di studenti di un istituto tecnico palermitano. Alla domanda: “Sapete chi è stato Pio La Torre?”, tutti si sono guardati in faccia scuotendo la testa. E viviamo nel mondo di internet! Come ci insegnano le vicende ultime sulla ricorrenza della Liberazione, la memoria va coltivata giorno per giorno e a farsene carico deve essere in primis la classe politica. Purtroppo, la trasmissione dei valori delegata all’uomo comune ha vita breve.

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