La verità di Alex Schwazer: la sua autobiografia

La biografia dell’ex marciatore italiano

Alex Schwazer racconta tutta la verità e quel brutto capitolo del doping che l’ha condannato per la giustizia sportiva e non a un periodo di oblio.

Esce per Feltrinelli l’autobiografia “Dopo il traguardo” in cui si racconta senza filtri.

Ero un tossico, andavo in Turchia per doparm. A Carolina Kostner e ai miei genitori ho detto che sarei andato a Roma, alla Fidal. Ho tenuto il cellulare acceso anche di notte, per evitare che partisse il messaggio della compagnia telefonica turca. Ragionavo già da tossico. O meglio, sragionavo. Ed ero pronto a mentire, perché doparsi vuol dire anche mentire”.

Leggi anche: Alex Schwazer: “Sono vittima di un complotto”

Una biografia in cui spiega come è arrivato a doparsi, senza giustificarsi ma condividendo solo la sua esperienza.

Tanto spazio non solo al doping ma alla relazione con la pattinatrice azzurra Carolina Kostner.

Mi ha mandato un messaggio per invitarmi a una festa a Ortisei, per l’argento di Göteborg: il suo primo, vero, grande successo. Ancora non ci conoscevamo. Le ho risposto che dovevo allenarmi e, per non fare brutta figura, mi sono offerto di andare a trovarla a Torino. Dopo una pizza e due bottiglie bevute quasi da solo, le ho rovesciato il drink addosso. Abbiamo fatto le cinque del mattino. Eravamo in sintonia. La mia solitudine era molto simile alla sua.

E poi l’incubo vissuto che alla fine, dopo il no del Tas di Losanna, gli ha chiuso anche le porte di Tokyo 2020 fino allla scelta di pubblicare il libro.

In un’intervista a Corriere del Veneto ha spiegato: “Ho dato il libro a Sandro (Donati, ndr.), il mio allenatore, a Gerhard (Brandstätter, ndr.), il mio avvocato, chiarendo subito: non aspettatevi un libro d’inchiesta perché parlo solo della mia vita. Non sarei riuscito a trovare la motivazione per scrivere cinquanta pagine su come ho vinto a Pechino, sul doping o su quello che è successo a Rio nel 2016. Molti punti cruciali della mia storia sono stato volutamente soft: non volevo che la mia autobiografia ospitasse pensieri di odio e rancore. Non ho concesso spazio alle persone che mi hanno ferito o a chi è salito sul carro del vincitore per poi scendere appena le cose sono andate male”.

E infine ora la luce: “Solo ora ne sono uscito. Sono sopravvissuto a un’imboscata, una macchinazione subdola e crudele che in altri momenti mi avrebbe annientato. Ancora oggi, a distanza di cinque anni, non so come ho fatto a mantenere l’equilibrio. Questa è la storia che voglio raccontare”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *