Giorno della Memoria, Liliana Segre testimone dell’orrore

Liliana Segre

Giorno della Memoria, Liliana Segre, senatrice a vita, testimone dell’orrore che porta ancora tatuato sull’avambraccio

Liliana Segre in questi giorni è impegnata, in qualità di grande elettore, nel voto per l’elezione del Presidente della Repubblica e proprio in vista del voto alla domanda su come sarebbe dovuto essere il tredicesimo Presidente, lei ha risposto “antifascista”.

In una intervista rilasciata a La Stampa, la Segre ha detto: “Naturalmente non intervengo nella discussione sui nomi, anche se come ovvio farò il mio dovere di “grande elettrice”, secondo quanto la mia coscienza mi detterà. Un auspicio di valore universale voglio però esprimerlo. Ricordo ancora che quando il Presidente Mattarella, a cui va la mia profonda gratitudine di cittadina prima ancora che di senatrice a vita, fu eletto alla più alta carica dello Stato, la prima cosa che fece fu recarsi alle Fosse Ardeatine a rendere omaggio alle vittime della barbarie nazifascista. Ecco, mi auguro che il prossimo o la prossima Presidente saprà dimostrare analoga cura nel fare della memoria e dei valori antifascisti qualcosa che non ammuffisce nella ritualità delle varie celebrazioni ufficiali, ma forgia sempre più saldamente una autentica coscienza popolare nazionale“.

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Liliana Segre è senatrice della Repubblica Italiana dal 19 gennaio 2018, anno in cui ricadeva l’80º anniversario delle leggi razziali fasciste. Il presidente Mattarella, in base all’art. 59 della Costituzione, la nominava senatrice a vita “per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”.

Nata a Milano da una famiglia di discendenza ebraica, è vissuta col padre, Alberto Segre, e i nonni paterni. La madre, Lucia Foligno, morì quando Liliana non aveva neanche compiuto un anno. Dopo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, il padre la nascose presso degli amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 con il padre e due cugini, provò a raggiungere Lugano, ma furono respinti al confine. Il giorno dopo, venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese. Aveva solo 13 anni. Dopo sei giorni trascorsi nel carcere di Varese, fu trasferita a Como e poi a San Vittore a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni.

Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse dopo sette giorni di viaggio. Qui fu separata dal padre, che non rivide mai più e che morì il 27 aprile 1944. Liliana ricevette il numero di matricola 75190, che ha ancora tatuato sull’avambraccio.

Fu destinata per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union. Superò altre due selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Venne liberata il 1º maggio 1945 dal campo di Malchow. Al rientro nell’Italia liberata, visse inizialmente con gli zii e poi con i nonni materni, unici superstiti della sua famiglia.

Fonte immagine: https://twitter.com/AlekosPrete/status/1484544561779257349/photo/1

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