Maiisha e la brand identity, come l’arte può tenere insieme magia e futuro

Brand Identity. Chiunque si occupi di marketing ben sa che per brand identity, o identità di marca, si intende il fatto che l’identità di una azienda sia solida e definita, così che il target cui quella azienda si riferisce possa facilmente riconoscerla, associandola alla brand image. Fin qui, direbbe il protagonista de L’odio, film iconico di Matthieu Kassovitz, tutto bene.

A Jesi, cittadina marchigiana nella provincia di Ancona, tristemente nota per aver dato i natali a Roberto Mancini, mai regione ha dovuto rinnegare il proprio testimonial e sostituirlo velocemente come le mie Marche dopo che il Mancio ha lasciato la nazionale per inseguire i petroldollari, per altro fallimentarmente, a Jesi, dicevo, dal 2017, si tiene il Brand Festival, dove esperti del settore di tutto il mondo si incontrano per raccontarne sviluppi e traiettorie. Nel 2020, quando ancora ignoravamo che il mondo si sarebbe ritrovato chiuso in una sorta di arresti domiciliari a causa del Covid, ero stato invitato a parlare al Brand Festival. Il motivo risiedeva in un mio duplice ruolo, quello di biografo di popstar di rilievo nazionale e internazionale e quello di critico musicale assurto a mia volta a ruolo di “personaggio”. Il primo è un ruolo facilmente decodificabile, sono in effetti in Italia il principale biografo di cantanti, con una quarantina di opere pubblicate, alcune delle quali scritte a quattro mani coi diretti interessati, su tutti Vasco Rossi, Cesare Cremonini, Caparezza, in quanto autore di libri che raccontino non solo la vita ma anche le fenomenologie legate a questi artisti, si devono essere detti, sono la persona giusta per provare a indicare come le loro carriere siano esplose e siano state costruite intorno proprio a una brand identity, certo, con la variabile dettata dal talento e quindi dal repertorio, ma indubbiamente con un’idea forte di brand al centro. L’altro ruolo, quello di critico musicale e quindi di personaggio dentro il sistema musica, è decisamente più difficile da essere raccontato, perché non segue una history case preesistente, non credo ci siano altri “colleghi” che in qualche modo siano riusciti a costruirsi un nome e una credibilità surfando come ho fatto io tra l’essere fustigatore dei costumi a mo di inquisitore medievale e emerito cazzone che darebbe via il didietro per una battuta, lì con le sue t-shirt a tema, gli occhialoni rosa da mosca, i codini a lato del viso. Credibilità e cazzonaggine, in genere, non sono compatibili, anzi, danno vita proprio a quei famosi ossimori, ma di fatto sono un critico musicale accreditato, molto rispettato da addetti ai lavori e soprattutto artisti, al punto da trovarmi spesso a lavorarci, scrivendo biografie con loro, facendo serate a teatro nelle quali dialogo con loro, insomma, artista riconosciuto come tale dagli artisti, ma al tempo stesso sono indubbiamente un personaggio, uno che si manda a quel paese con fanbase e artisti, non i medesimi di cui sopra, sui social, uno che fa un programma a RTL 102.5 mettendo alla berlina l’intera linea editoriale del principale network radiofonico italiano, uno che finisce a Striscia la Notizia tirandosi dietro parte del sistema musica, ma sempre con quegli occhialoni rosa e quelle t-shirt, perché si possono fare inchieste chirurgiche senza rinunciare allo stile. Questo ha fatto sì che io fossi identificato come “quello cattivo”, e di conseguenza “quello temibile”, per molti una sorta di supereroe senza macchia e senza paura, per altri uno stronzo egoriferito che non vuole altro che un po’ di luce puntata contro. Anche questo mio scrivere sempre in prima persona, mettendomi al centro della scena, è spesso indicato come segno di un mio egoriferimento esasperato, poco importa che io mi ritrovi spesso a sottolineare come confondere me col mio avatar sia un errore basico, perché quello è lo stile narrativo che ho deciso di adottare, ma non necessariamente il Michele Monina che occupa i miei scritti coincide con il Michele Monina che li scrive, che poi sarei io, la metanarrativa è faccenda ben più antica di me, e portata avanti da scrittori assai più importanti di me.

La mia partecipazione al Brand Festival è saltata, perché l’edizione del 2020 è andata a sbattere col lock down, come un po’ tutto, ma nei fatti io ho proseguito a occuparmi di brand identity, sia guardando a quel che gira intorno, sia guardandomi allo specchio.

Se la brand identity che affronto lavando alle biografie o autobiografie di artisti affermati è spesso parte di una trama vincente, dove anche le cadute o i passi falsi trovano modo di essere visti come necessari dopo che il successo è stato raggiunto e in qualche modo confermato, e se il lavoro che negli anni sto facendo su di me è invece più una sorta di sperimentazione situazionista, dove la consapevolezza di star comunque facendo qualcosa che potrebbe anche non essere necessario, perché in fondo sono uno scrittore e critico musicale, mica una popstar, il discorso si fa un po’ più complicato, e per come la vedo io decisamente più interessante, quando la brand identity di cui mi occupo è quella di artisti indipendenti, quindi con alle spalle tanto entusiasmo ma decisamente meno investimenti delle popstar su cui scrivo libri, per non dire di artisti esordienti, quindi magari non solo con un tesoretto su cui lavorare fatto più di idee che di investimenti, ma anche con la dannata necessità di trovare l’idea che ti permetta di uscire dal cono d’ombra al quale sei comunque destinato, bellezza o meno del tuo repertorio.

Vi parlo di questo e ve ne parlo oggi non perché io sia in procinto di andare a parlare di brand identity da qualche parte, l’ultima volta che ho scritto una biografia, nello specifico una autobiografia, ovviamente a quattro mani, risale proprio all’anno del Covid, il 2020, Let Them Talk di Cesare Cremonini il libro, ma perché proprio in queste ore sta vedendo la luce il progetto di una giovane e talentuosa artista che, conscia di avere un brano importante per le mani, si è letteralmente scervellata con il suo team di lavoro per cercare di capire come emergere, andando quindi a profilare una efficace brand identity. Parlo di Maiisha, ventiquattrenne cantautrice lombarda che esce col suo secondo, eponimo singolo. Dopo essersi affacciata sul mercato un paio di mesi fa con Lingerie, suo esordio, eccola tornare con una canzone che, pur muovendosi in quel pop dai sapori urban che è oggi giustamente il suono della contemporaneità, colora il tutto di un esotismo che guardia all’Africa come a oriente. Maiisha si è chiesta, legittimamente, come fronteggiare un immaginario così ricco come il suo potendo contare su budget non milionari, zero investimenti da parte di major, nessun influencer a condividere perché così prevede uno di quei pacchetti che proprio in questi giorni Selvaggia Lucarelli ha messo sotto gli occhi di tutti nella sua newsletter, nell’articolo dedicato a Esse Magazine, niente approdi in playlist blindate di Spotify per quegli amichettismi che hanno consentito l’esplosione di tanti fenomeni che poi, tanto velocemente si erano gonfiati, altrettanto velocemente sono crollati a terra. Serve un’idea, e un’idea talmente forte da dover anche fronteggiare un’estate letteralmente invasa da tormentoni uno uguale all’altro, lo spettro dell’approdo dell’AI nella cabina di regia di chi quei tormentoni poi va a firmare qualcosa di più che un sospetto. E proprio lo spauracchio dell’AI è stato il generatore di quella scintilla che per un po’ è sembrata mancare, anche per provare una strada completamente differente da quella battuta col singolo precedente, laddove Maiisha si era aggirata con un trolley per Piazza Duomo, a Milano, regalando collant griffati Lingerie, questo il titolo del suo brano d’esordio, fermando i passanti e facendo ascoltare loro la canzone, a beneficio di smartphone e in diretta social. L’idea è stata quella di affrontare lo spauracchio di petto, come quei giovani eroi che in certi film dell’orrore affrontano spavaldi il mostro, proprio mentre tutti gli altri sembrano volersela solo dare a gambe: Maiisha, che all’anagrafe di chiama Chiara, si è messa in mano proprio alla mostruosa AI, per mano di Gabriele Aprile, riempiendola di sue foto e video, da quando era poco più che una bebè, già con un microfono davanti, fino ai giorni nostri, indicando anche tutti i colori e i sapori che hanno portato fino alla produzione finale di Maisha, il brano. Il risultato è un video, questo https://www.youtube.com/watch?v=vwT-nxFtTrU&list=RDvwT-nxFtTrU&start_radio=1, dove la protagonista è frutto di una clonazione da parte dell’AI, il paesaggio desertico, tutte le comparse, umane e animali, tutto frutto dell’elaborazione digitale da parte dell’Intelligenza Artificiale. Un modo per usare la macchina, invece che farsi usare da essa, e al tempo stesso un tentativo riusciti di elaborare una propria brand identity forte, pur in assenza di un’industria potente alle spalle. Certo, a lanciare Maisha, il singolo di Maiisha, è Ada Records, costola edificante della Warner, pur mantenendo la produzione di Mirò BR Productions, per mano di Rosa Bulfaro, ma è evidente come tutta questa operazione sia frutto di un’intuizione che nasce dal basso e che, azzeccata, potrebbe compiere uno di quei miracoli che ci fanno ancora credere che a volte le cose vanno come dovrebbero andare, non come un destino baro ha stabilito a priori. Maiisha, l’artista, e Maisha, la canzone, ne sono la prova. Basta solo prendersi qualche istante di tempo per entrare nel suo mondo, e lasciarci trasportare lì, la musica farà il resto. Non c’è niente come l’arte per riuscire nel miracolo di tenere insieme la magia della terra con le incognite del futuro. 

0 Condivisioni

Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

Instagram Feed

error: Il contenuto è protetto