Djokovic, la fragilità del campione e il peso delle pressioni

Non è riuscito a centrare il Grande Slam

Novak Djokovic aveva spiegato, alla vigilia della finale degli US Open, che sarebbe sceso in campo come se fosse l’ultimo match.

Così, a onor del vero non è stato: schiacciato dalle pressioni e da quell’ansia di dover a tutti i costi fare il Grande Slam (ovvero vincere tutte le prove Slam nello stesso anno).

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Alla fine ha vinto Daniil Medvedev e Djokovic si è sciolto in un pianto liberatorio. Lacrime di sollievo, per il fatto che tutto fosse finito e lacrime di commozione per il sostegno del pubblico.

Del resto, si solito il Serbo è abituato ad altri trattamenti è abituato ad essere il nemico, l’uomo che ha tolto i record a Federer e Nadal e che spesso viene fischiato.

A New York invece è stato diverso, per la prima volta si è sentito amato e abbracciato dai suoi sostenitori.

Ci sono state emozioni diverse – ha detto – da un lato tutto ciò è molto triste ma dall’altra per la prima volta il pubblico mi ha fatto sentire speciale e non era mai successo.È una cosa che ricorderò sempre e per questo ho iniziato a piangere, per me questa era un emozione forte quasi quanto vincere il 21 Slam. Mi hanno toccato il cuore, alla fine uno vuole sempre vincere ma questo legame con le persone durerà per sempre.

E poi: “La preparazione mentale a questa gara era incredibile e difficile da gestire, ho provato sollievo quando tutto è finito“.

Il bambino cresciuto sotto le bombe dei bombardamenti a Belgrado, figlio di due genitori che avevano una pizzeria ma che non mangia la pizza e segue una alimentazione ferrea è cresciuto, ne ha fatta di strada ed è un uomo dalle spalle larghe che ogni tanto è ancora in grado di emozionarsi.

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