Maurizio Cattelan, morti in Piazza Duomo e colazioni 900

Spesso l’arte viene concepita come un qualcosa di distante dalla gente comune, un qualcosa solo per gli intellettuali, un qualcosa che mette un muro tra il popolo e l’opera stessa.

Un po’ saranno i prezzi alle stelle dei musei e delle mostre, un po’ sarà che alle scuole viene spiegata come fosse l’ultima ruota del carro, e un po’ sarà che sostanzialmente viene percepita da tutti come inutile, noiosa, qualcosa fatta da qualcuno che aveva talento, che se voglio vado a vedere quando voglio sentirmi un po’ chic, ma che di base non influenza le mie giornate.

 Peccato che siano tutte cagate.

L’arte si basa sulla nostra società, è influenzata e influenza i nostri giorni, i nostri tempi, e andrebbe studiata di pari passo, affiancata, alla storia, alla filosofia, alla letteratura, perché racconta tantissimo di noi, del periodo che viviamo, è una forma di antropologia, e come tale ci tocca tutti volenti o no.

La cosa che più mi dispiace, però, è proprio il vedere considerata l’arte un qualcosa di elitario, quando l’arte, è proprio di tutti, è proprio del popolo, è il mezzo più libero che abbiamo per ribellarci, per comunicare, per lottare quando qualcosa non ci va bene.

Ecco perché quando sento dire questa frase, che l’arte è solo per colti, per intellettuali, per ricchi, capisco che dell’arte spesso non ci hanno capito niente, e ieri ne ho avuta la conferma.

Questa settimana si svolge, a Milano, l’art week, un’intera settimana dedicata all’arte, con eventi, mostre, talk, molti dei quali gratuiti al pubblico.

Mentre cazzeggio su Instagram, lunedì mattina dirigendomi all’università in una metro stracolma di gente, leggo un post: “La fine allegra”, colazione con Maurizio Cattelan e Nicolas Ballario, mercoledì mattina, ore 7, piazza del Duomo.

Mi si illuminano gli occhi.

Inizialmente penso a uno scherzo, uno come Cattelan, che espone al MOMA, che ha appena venduto una sua opera per 6 milioni e mezzo di dollari, che è conosciuto in tutto il mondo, organizza qualcosa di gratuito, in piazza duomo, con anche la colazione offerta (perché sí, nel post parlavano di una colazione condivisa con l’artista), tutto improbabile.

Però voglio crederci, metto la sveglia alle 6, mi preparo, 6 e 30 esco di casa e per le 6 e 50 sono in Piazza Duomo, grazie alla comodità e velocità delle metro mezze vuote.

Arrivo e in piazza eravamo 4 gatti, tutti un po’ titubanti, ma speranzosi.

Passano 5-6 minuti e arriva lui, Maurizio Cattelan in persona, tranquillo, con gli occhiali da sole, che subito saluta tutti, e si concede anche a qualche selfie, a qualche chiacchiera, a qualche autografo.

7 e 10, la piazza si è gremita di gente, ringrazio la mia ansia che mi porta sempre a essere in anticipo nei posti, e mi ha permesso di potermi presentare e scattare una foto che conserverò gelosamente come ricordo.

Con lui c’è anche Nicolas Ballario, fondatore dello studio creativo Cucù, e Living del Corriere della Sera, che insieme a Cattelan, fanno distribuire a tutti cartelli con scritte ironiche sulla morte, sulla “Fine Allegra”, titolo dell’evento.

Nel mentre Cattelan passa tra la gente a stampare timbri con frasi in faccia, sulle mani.

Con loro c’è anche il direttore del Museo Novecento, Gianfranco Maraniello, e l’assessore alla cultura di Milano, Tommaso Sacchi.

E dopo vari discorsi inizia il vero e proprio happening, tutta una piazza che si finge morta davanti al Duomo, sdraiandosi per terra, senza pensarci due volte, senza pensare ai piccioni o alla sporcizia, per fare arte condivisa.

La felicità di tutti, a partire da Cattelan, è palpabile, essere a Milano, con tutte persone che stimano la tua arte e sono lì per condividere una performance, improvvisata, assieme a te, deve essere soddisfacente.

E dopo essere stati a terra, dopo aver fatto scattare ai fotografi qualche foto, era arrivato il momento della colazione, momento interrotto dai poliziotti, che hanno vietato il consumo di cibo in Piazza, ma come disse Cattelan, faceva parte della performance, anche l’imprevisto.

Per fortuna, come avevo anticipato, era partecipe anche il Direttore del Museo Novecento di Milano, che dopo essere risorto da terra, mette a disposizione il Museo per condividere un momento di arte e condivisione tutti insieme facendo colazione all’interno.

E in quell’istante, dentro al museo, bevendomi una spremuta d’arancia, capisco quanto l’arte sia di tutti, un momento come quello, un rendersi conto di quanto sia forte la vita, sbeffeggiando la morte, perché tanto prima o poi moriamo tutti, imparando a concentrarci sul momento, finendo a condividere un pasto, del tutto gratuito, con un’artista di fama mondiale, come può essere qualcosa che allontana il popolo?

Come può una piazza pubblica renderlo distante dalla gente comune?

Forse il problema non è l’arte in sé, o gli artisti, ma lo stigma che per anni ci si porta dietro.

Ieri ho respirato arte a Milano, ho respirato creatività, unione, condivisione, ho respirato l’unica cosa che amo di questa città, l’opportunità.

Il mio consiglio è di non allontanarla l’arte, cercatela, scovatela, avvicinatela.

È pieno di film, di libri, di mostre anche gratuite, di eventi, di momenti dove ci si può far ammaliare dalla straordinaria forza che è l’arte, specialmente quella contemporanea, che spesso è la più odiata, perché la gente non la capisce, ma è proprio quello il fulcro, in un momento in cui nessuno si sforza più di concentrarsi, di pensare, di capire, l’arte contemporanea ti spinge a farlo, spingendoti oltre i tuoi limiti, ecco perché sogno e lotto ogni giorno per far arrivare l’arte a tutti, perché attraverso essa possiamo migliorare come esseri umani, e non penso ci siano eguali.

 

Ps. Nella foto potete trovarmi, sono l’unico puntino vestito di viola, proprio quella vicina al grande Maurizio Cattelan.

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Lucia Monina, nata in Ancona nell'agosto del 2001, è una fotografa e scrittrice, che studia presso l'accademia delle belle arti di Brera, a Milano. Ha esposto le sue fotografie in varie occasioni, tra le quali il punto zero di Sesto, il Lock di Lambrate e il LatoB di Milano. Ha scritto una biografia di Taylor Swift, con Diarkos Editori. Scrive di musica, cinema e arte.

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