L’intervista di “Quarto Grado” ad Akhtar Mahmood, l’avvocato di Shabbar Abbas

L’intervista di “Quarto Grado” ad Akhtar Mahmood, l’avvocato di Shabbar Abbas, l padre di Saman, la ragazza pakistana uccisa il 1° maggio 2021 a Novellara

Nel corso della puntata di “Quarto Grado” – in onda ieri sera, venerdì 10 marzo, su Retequattro – è stata trasmessa un’intervista esclusiva ad Akhtar Mahmood, l’avvocato di Shabbar Abbas, il padre di Saman, la ragazza pakistana uccisa il 1° maggio 2021 a Novellara, in provincia di Reggio Emilia.

A metà febbraio è iniziato il processo nei confronti dello zio (Danish) e dei cugini di Saman (Ijaz e Nomanulhaq): i tre sono accusati di essere gli esecutori materiali del delitto. Il padre della giovane, anch’esso indagato per l’omicidio, è in Pakistan in attesa di estradizione.

Oggi, in tribunale Shabbar ha incontrato l’avvocato e gli avrebbe confidato: “Saqib mi ha detto: ‘Ti porto Saman viva o morta in Pakistan in cambio di 20mila euro’. Il padre della ragazza poi avrebbe aggiunto che i primi 12mila euro di questo accordo sarebbero stati consegnati alla famiglia di Saqib in Pakistan, tra il dicembre 2020 e il gennaio 2021 e che le prove di questo versamento di denaro sarebbero proprio nel cellulare di Saqib.

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Di seguito invece, l’intervista esclusiva all’avvocato Akhtar Mahmood

«Saqib (il fidanzato di Saman, ndr) ha pianificato tutto, è un manipolatore, ha manipolato sia la polizia italiana che la stampa per stare al sicuro e mettere in pericolo gli altri. Invece di fare le condoglianze ai genitori, invece di chiedere il loro perdono per le cose sbagliate che ha fatto, lui pretende di essere innocente».

Il fidanzato di Saman, Saqib, ha confermato le minacce ricevute da Shabbar. E la stessa cosa ha detto la moglie di Danish. Perché tutti hanno paura di Shabbar?

«Sono tutte parole, sono bugie che Shabbar abbia contattato Saqib o la sua famiglia. Come sono bugie quelle che racconta la signora. È tutto basato sulle parole, non ci sono prove sufficienti per confermare questa versione. L’attenzione è concentrata su come mettere alla gogna la famiglia di Saman invece di cercare di scoprire cosa sia successo».

Alla luce delle dichiarazioni di Danish che ha detto che la mamma Nazia avrebbe ucciso Saman, lei pensa ancora che la famiglia non sia coinvolta con questo caso?

«Non so cosa abbia detto Danish, può essere che essendo in carcere gli abbiano fatto dire delle cose. Bisognerebbe anche indagare sul rapporto tra Danish e Saqib e anche con i cugini. Può darsi che stiano cercando di accusarsi a vicenda. Bisogna capire perché Danish ha fatto questa confessione».

È ancora arrabbiato con la comunità in cui viveva Saman?

«Siamo ancora dell’idea che la compagnia sbagliata che frequentava sia la responsabile di tutto quello che è successo».

Di quale compagnia sbagliata parla?

«Non conosco personalmente la vita che Saman faceva in Italia ma i genitori mi hanno raccontato che stava in una comunità in cui non aveva la possibilità di praticare la sua religione, non poteva pregare nè leggere il Corano. Mentre era normale usare droghe, fumare o altro. Era la stessa Saman che quando di nascosto andava a trovare i genitori gli raccontava che non si sentiva a suo agio e non voleva stare in quella comunità. Però a causa delle leggi applicabili al suo caso lei non poteva vedere i genitori e viceversa, non poteva viaggiare, non poteva uscire ed era obbligata a stare lì».

Lei ci sta dicendo che la comunità obbligava Saman a vivere all’occidentale e che lei non volesse. Ma ci sembra esattamente il contrario

«Tra i pakistani, le ragazze minorenni come lei non possono comprare sigarette o alcol, invece in quella comunità, nel nome di quella che chiamate libertà, Saman si era fatta coinvolgere in attività che sono contrarie alla religione islamica. Si è messa a bere e fumare e non riteneva sbagliate queste cose. Tutto ciò ha portato alla sua fine».

Il corpo ritrovato nel casolare dietro la casa della famiglia?

«Non ci sono prove, anche il corpo ritrovato non abbiamo prove evidenti che sia il corpo di Saman. Per noi è ancora scomparsa, speriamo che sia viva da qualche parte nel mondo. Ma anche ammesso che sia avvenuto un omicidio, non abbiamo prove concrete di chi l’abbia compiuto. Tutto è basato sui video e sulle chat di Saman con il fidanzato ma non abbiamo ancora trovato il colpevole».

Come fa a dire che il corpo non è di Saman, alla luce della catenina sulla caviglia sinistra, i capelli e i vestiti che indossava Saman la notte del 30 aprile 2021?

«Il fatto che i vestiti, la cavigliera o i capelli fossero di Saman non significa nulla. Tutto può essere manipolato. Potrebbe essere coinvolta una terza persona che ha fatto qualcosa di sbagliato con lei e poi ha messo lì i vestiti per depistare. A volte mi fate delle domande come se voi foste i giudici e io il testimone. Non c’è nessuno che ha visto con i suoi occhi quello che è successo».

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