Si tratta di Francesca Ghio
«Per mesi e mesi, da un uomo di cui mi fidavo, da un uomo che nessuno avrebbe pensato potesse essere un mostro. Un dirigente genovese, il vostro bravo ragazzo. Lui mi diceva di stare zitta e che doveva essere il nostro segreto, dovevo giurargli di non raccontare niente a nessuno mentre sottostavo alle sue torture».
La consigliera poi dice: «Per un pezzo di vita mi sono rassegnata fino a credere che me lo ero meritata. Sono arrivata a colpevolizzarmi al punto di ferirmi fisicamente. Mi sono coperta le cicatrici sulle braccia per anni, nessuno mi ha mai chiesto perché tenessi sempre felpe e maniche lunghe. Ma il dolore era l’unica emozione che mi faceva provare ancora qualcosa».
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La Ghio dice di non aver mai denunciato visto che: «nel mondo degli adulti non c’era un singolo volto in cui poter trovare rifugio e protezione». Nel raccontarlo: «mi sono sentita giudicata, iniziavo il discorso e notavo disgusto».
Infine, la promessa: «Gli uomini continuano a violentare nel silenzio complice di una società che non dà gli strumenti, che non vuole fermarsi a capire, che ritiene più facile e dignitoso nascondere il problema piuttosto che ammettere che questo cortocircuito è responsabilità».
Oggi la Ghio è «vittima due volte: dello stupratore e della società che guarda dall’altra parte. L’unica differenza? Non staremo più zitte».
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