Forteto, la “setta di Stato”: la sentenza, il risarcimento

Il caso Forteto sarà oggetto nelle prossime settimane di un’inchiesta parlamentare. Intanto ricostruiamo alcuni di quei terribili momenti tra sentenza, risarcimento e la parola alle vittime

Il Forteto nasce come una comunità per ragazzi disabili e in affido. Ma a quarant’anni dalla sua nascita sono emerse verità inaccettabili, gli orrori che vi si consumavano ai danni di adolescenti abusati sessualmente e psicologicamente.

Nel 2019 è arrivata dalla Cassazione la condanna definitiva per Rodolfo Fiesoli, 78 anni, il ‘profeta’ e fondatore della comunità ‘Il Forteto’ per minori disagiati a Vicchio del Mugello, in provincia di Firenze. Per lui 14 anni e dieci mesi di carcere.

Per diversi anni Il Forteto è stata considerata una delle principali comunità di recupero per minori che provenivano da famiglie disagiate, inviati lì dal tribunale dei Minori di Firenze e, con l’avanzare del tempo e nonostante le condanne, ha proseguito la sua attività.

Il caso del ‘Forteto’, approdato  in Cassazione il 22 dicembre 2017, occasione in cui la Suprema Corte aveva confermato la responsabilità penale di Fiesoli, “rinviando ad un appello bis per la rivalutazione di un singolo capo di imputazione” ricostruisce il quotidiano La Repubblica con un articolo del 7 novembre 2019. Tuttavia, dopo quella sentenza, Fiesoli venne prima arrestato, ma poi fu rilasciato perché la condanna non era ancora definitiva.

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Il precedente su Fiesoli, come ha ricostruito Il Corriere della Sera in un articolo nel 2019: “Fiesoli, soprannominato il Profeta, 78 anni nel 2029, venne arrestato nel dicembre 2011 per maltrattamenti e abusi sessuali su bambini e adulti. Insieme a lui finirono sotto inchiesta altre 22 persone. In primo grado Fiesoli fu condannato a 17 anni e mezzo. La pena fu ridotta in appello, nel 2016, a 15 anni e 10 mesi e poi, in parte, cancellata dalla Cassazione. Gli Ermellini riconobbero che i ragazzini arrivati al Forteto per salvarsi erano finiti in un inferno, costretti a rompere i rapporti con le famiglie dissestate e a subire le morbose attenzioni del Profeta. Con quella stessa sentenza, la Suprema Corte annullò la condanna per un episodio di violenza sessuale su un giovane che fu spinto dalla madre affidataria Daniela Tardani tra le braccia di Fiesoli e ordinò il processo d’appello bis per qualificare l’episodio come violenza sessuale di gruppo o semplice”.

Un’inchiesta condotta sulla “comunità modello”, almeno così appariva agli occhi del mondo, è stata la pm Ornella Galeotti con l’allora procuratore aggiunto di Firenze Giuliano Giambartolomei. “Le indagini rivelarono che in quel «luogo di eccellenza», fondato nel 1977, decantato e frequentato da schiere di politici e magistrati, si nascondeva una vera e propria setta”.

Le motivazioni della sentenza del 2015 in sintesi

I giudici scrivono nelle motivazioni della sentenza (fonte: La repubblica): “E’ opportuno, in apertura della motivazione della sentenza, inquadrare la vicenda della cooperativa “Il Forteto” dal momento della sua nascita fino ai nostri giorni, ponendola in rapporto con la normativa vigente in materia affidamenti e di adozione e con le pronunce giurisdizionali intervenute in relazione ad essa ed evidenziando le bizzarre, inverosimili e dannose teorie educative, relazionali e “parafamiliari” elaborate ed applicate al suo interno.
Questo Tribunale è chiamato infatti, per la seconda volta – e a distanza di oltre trent’anni – ad occuparsi di fatti di maltrattamento e di “abusi sessuali” verificatisi all’interno della comunità denominata “Il Forteto”, cooperativa agricola fondata nell’estate del 1977, oggi diventata una delle più importanti realtà economiche della Toscana nel settore caseario. Le vittime di quei fatti, oggi come allora e salvo un paio di eccezioni, sono entrate nella comunità “Il Forteto” su disposizioni della pubblica autorità (tribunale per i minorenni, servizio sociale, servizio di salute mentale).
Oggi come allora la tesi dell’accusa deve fare i conti, innanzitutto, con il dato obiettivo di un sistema pubblico che ha mantenuto costantemente aperta una linea di credito illimitata verso l’esperienza educativa e pedagogica de “Il Forteto”. Credito accordato dagli operatori, che hanno indicato in quella comunità una risorsa utile ed efficace per la tutela di minorenni in situazione di disagio, se non di vero e proprio abbandono; credito ribadito dai provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile che, ancora nel 2012 – dopo gli arresti di Rodolfo Fiesoli, il capo indiscusso di quella comunità -, ha “confermato”   affidamenti famigliari a favore di alcuni soci della cooperativa; da amministratori pubblici e da esponenti politici che hanno garantito sovvenzioni e sostegno istituzionale». 

E poi: “Al termine della lunga e faticosa istruttoria il Collegio è certo di aver acquisito una prova chiara e convincente, oltre ogni ragionevole e anche solo possibile dubbio, della fondatezza dell’ipotesi accusatoria (con le precisazioni ed i limiti di seguito indicati) e della penale responsabilità di FIESOLI Rodolfo Luigi (per le fattispecie di violenza sessuale a lui ascritte e per i maltrattamenti) e di altri sedici imputati, per i reati di maltrattamenti e di sequestro di persona sotto meglio specificati.
Una prova a tratti sovrabbondante, straripante, completa in tutti i profili e le possibili sfaccettature, poggiante su plurime e convergenti deposizioni testimoniali e su documentazione varia, tutta univoca nel dimostrare l’esistenza dei fatti e dei comportamenti ascritti agli imputati.
Una prova che, provenendo da fonti dichiarative eterogenee per formazione, storia personale, interesse nel processo, ha offerto la massima garanzia di attendibilità, di genuinità, di veridicità, abbracciando l’intera storia della comunità “Il Forteto”, dalla sua nascita, al consolidamento, all’enorme sviluppo, non soltanto economico ma come “eccellenza educativa” conosciuta a livello nazionale».
«Il Forteto è stata un’esperienza drammatica, per molti aspetti criminale, retta da persone (FIESOLI e GOFFREDI) non equilibrate, con seri disturbi dell’affettività e della sessualità; un’esperienza caratterizzata da regole assurde, crudeli, che quel gruppo di ragazzi che si era lasciato ammaliare dal FIESOLI e dall’ideologo GOFFREDI alla fine degli anni ’70 aveva finito, per varie ragioni, per sposare o, comunque, per accettare, pagando un prezzo altissimo in termini di formazione della personalità e di autonomia e dalla quale soltanto alcuni, con enormi sacrifici, sono riusciti ad affrancarsi».
«Regole crudeli e incomprensibili che sono state riproposte ai minori avuti in affidamento; al Forteto non si doveva convivere, non si potevano avere relazioni affettive e sentimentali vere, profonde e durature, non si doveva procreare; la sopravvivenza della comunità, come pensata dal duo FIESOLI-GOFFREDI e governata dal primo era pertanto, necessariamente, legata al consolidamento degli affidamenti di minori (obiettivo raggiunto in modo pressochè sistematico) ed alla crescita di costoro secondo i principi educativi sopra descritti, per forgiarli a  immagine e somiglianza del modello di persone che FIESOLI e GOFFREDI avevano teorizzato.
Dovevano dunque diventare persone dedite al lavoro in via continuativa, disponibili ad accettare il confronto di genere, a liberarsi dalla materialità e dalla negatività che la famiglia tradizionale, il rapporto di coppia e la relazione eterosessuale comportavano, secondo il pensiero unico dominante. 
Le assurde regole dei chiarimenti, della necessaria rottura con le famiglie di origine, del confronto di genere, del primato della omoaffettività, della genitorialità surrogata (affidamenti in luogo della procreazione naturale), della coppia surrogata (funzionale in luogo di ogni forma di convivenza), della conduzione di vite separate tra i due sessi, teorizzate e (purtroppo) imposte in modo sistematico fin dalla costituzione della cooperativa “Il Forteto”, non sono mai venute meno.
Il nocciolo duro della “Regola” è rimasto vivo fino all’ultimo e le aperture, soltanto apparenti e di facciata, per contenere una generazione di ragazzi altrimenti ingestibile, non avevano mai toccato gli aspetti essenziali di quel modo di fare comunità.
Al Forteto non si stringevano amicizie durature, non erano tollerati amori, rapporti di coppia esclusivi, non era permesso avere una propria intimità, neppure ai ragazzi dell’ultima generazione, a quelli che hanno poi avuto figli e si sono sposati. Una teste chiamata dalla difesa lo ha confermato: “Diciamo da parte di questi sei ragazzi non ci sono mai stati atteggiamenti strani, nel senso abbracci, baci o manifestazioni di coppia, diciamo, no? Perciò non… cioè sapevo che stavano insieme, però non… io personalmente non ho mai visto – appunto – situazioni così, quindi…”).
La condivisione era funzionale non già alla crescita ed al miglioramento di ciascuno con l’aiuto degli altri ma, esclusivamente, al controllo delle persone, alla possibilità di una loro manipolazione, attraverso il chiarimento, la punizione, l’isolamento, la denigrazione, la mortificazione. «Da tutto questo – oltre che dalle velenose condotte abusanti del FIESOLI – sono passate le persone offese di questo processo, vittime, con diversa intensità e con differenti modalità, delle regole maltrattanti che cementavano, dall’interno, la vita alla comunità “Il Forteto”.

Il Forteto è stato il campo di battaglia del FIESOLI; dalla sua posizione apicale, forte del condizionamento totale e della sottomissione degli altri componenti, l’imputato ha scelto le proprie vittime muovendosi come in un territorio di caccia, nei primi anni intrattenendo relazioni omosessuali praticamente con tutti gli uomini presenti in comunità; quindi abusando sessualmente di … fin da quando aveva 14 anni, determinando in  lui un disturbo della identità sessuale dal quale la vittima ha faticato non poco a riprendersi; inducendo poi i giovani … e … a rapporti sessuali con lui e, successivamente, facendo altrettanto con …, fino ad arrivare agli abusi sessuali commessi con i ragazzi della generazione più recente, …, …, …, …, ….
Le perversioni del FIESOLI, note agli altri imputati, sono state di volta in volta avallate, tollerate, giustificate come la prova della dedizione piena del FIESOLI al prossimo, come la dimostrazione pratica e concreta di un aiuto al superamento della materialità, come un suo momento personale di sofferenza nel compimento dell’atto, per aiutare il “beneficiato” (!!!!).
Chi ha reagito, chi ha protestato, chi ha contestato (Grazia Vannucchi, Alessio Fiesoli, Gino Calamai, Marco Mameli, Jonathan Bimonte, Manuel Gronchi, Paolo Zahami, Valentina Ceccherini, Marika Corso) è stato emarginato, isolato, escluso, denigrato e, finalmente, allontanato.
In quella comunità si sono susseguite condotte maltrattanti in danno di una pluralità di persone,  iniziate con la separazione sistematica dei fratelli – che ha comportato l’annientamento dell’ultimo residuo di unità e complicità familiare -, proseguita con la rottura dei rapporti con la famiglia di origine – che ha fatto sì che, nonostante lo spirito della legge sull’affidamento etero-familiare, nessun rapporto con i genitori naturali sia stato veramente recuperato dalle persone offese … solo per citarne alcuni – con la sistematicità dei chiarimenti, con la preclusione ad iniziative di vera autonomia e libertà, con la compressione delle individualità e, infine, con il ricorso alla denigrazione ed all’isolamento per contrastare e reprimere ogni situazione di dissenso pensante dalle regole, circostanze ampiamente trattate e sviluppate nel corso della sentenza.
A  tutto questo le difese, oltre a una defaticante condotta processuale, caratterizzata da continue eccezioni, da questioni processuali e di merito di ogni genere, da due ricusazioni e da una istanza di rimessione, che ha inevitabilmente complicato l’ordinato svolgimento di un già di per sé complesso processo, hanno contrapposto prove orali inconsistenti e, soprattutto, prive di genuinità, concretezza, coerenza logica interna, per molte delle quali, con separata ordinanza, verrà disposta la trasmissione degli atti all’Ufficio del pubblico ministero, perché proceda per il delitto di falsa testimonianza”.

La sentenza prosegue: «Le persone offese, con estrema correttezza e genuinità, hanno riferito di un impatto iniziale, successivo al loro ingresso alla comunità “Il Forteto” straordinariamente maltrattante, protrattosi per mesi o per anni, fino a piegare ogni loro resistenza e portarli ad adeguarsi alla Regola, instradandole sul percorso comunitario voluto dal FIESOLI e dal GOFFREDI, materialmente messo in atto dagli altri imputati (con la separazione dai fratelli, con l’interruzione dei rapporti con i genitori, con la spinta verso il confronto di genere, con la sottoposizione a interminabili chiarimenti e conseguenti punizioni, ad umiliazioni pubbliche durante i momenti comuni in sala mensa, con la certezza di una risposta collettiva di disapprovazione, emarginazione ed isolamento della collettività tutta a fronte di rivendicazioni di autonomia non autorizzate o condivise); di un successivo periodo, talvolta anche prolungato, di relativa calma, strettamente connesso e dipendente dall’osservanza rigida delle regole del Forteto, che consentiva di condurre un’esistenza di relativa tranquillità, senza grandi sussulti; di un periodo finale in cui, nei casi di aperta ribellione, di manifestazione di dissenso, di critica a comportamenti inappropriati, le condotte maltrattanti iniziali si ripresentavano in tutta la loro veemenza, sempre sistematicamente accompagnate dal dissenso collettivo dei componenti della comunità, dall’isolamento in tutte le manifestazioni del quotidiano, al disprezzo sul lavoro come nei momenti comuni, fino all’aperto invito ad abbandonare la comunità».

«Su tali profili il processo ha fatto chiarezza, squarciando il velo che ha avvolto per decenni il Forteto, mostrandone il vero volto e permettendo di evidenziare la realtà di un sistema di vita comunitaria dai tratti allucinanti, alienanti, sistematicamente maltrattanti.
Nella comunità de “Il Forteto” non vi erano famiglie, non vi erano coppie, non vi erano relazioni stabili di convivenza, non vi erano momenti comuni di intimità, di unità familiare; le figure adulte di riferimento dei minori non si frequentavano, non condividevano alcunchè se non momenti del tutto inidonei  a trasmettere valori e principi affettivi ed educativi minimi, durante i pranzi o le cene in sala mensa, in occasione dei chiarimenti, nei quali veniva riaffermata la forza e la regola della comunità.
Gli stessi imputati sono andati in ordine sparso quando è stato il momento di rispondere alla domanda su cosa fosse stata veramente la cooperativa “Il Forteto”, come fossero realmente strutturati, se dovessero identificarsi alla stregua di una comunità educativa per minori, di una casa-famiglia, di un insieme famiglie o di persone affidatarie o ospitanti.
Come indicato in altra parte della sentenza, secondo la massima autorità nella zona del Mugello per i servizi assistenziali, il dott. Leonetti, i membri del Forteto erano degli “educatori”, pur non avendone titolo, qualifica e preparazione specifica.
Niente di più lontano dalla realtà. 
Il Forteto non era una comunità educativa… Al suo interno non vi era personale qualificato, non c’era alcuna équipe educativa, tantomeno un programma generale di attività o un regolamento interno; men che mai la partecipazione delle famiglie dei minori all’organizzazione della vita comunitaria: vi era la onniveggenza del FIESOLI e vi erano le bislacche e devastanti teorie del GOFFREDI, che dogmaticamente si ponevano praeter legem.
Il Forteto non era neppure una casa-famiglia sia per la dichiarata  avversione verso la famiglia, per la sua negazione come struttura educativa,  sia perché aveva rapidamente superato il numero massimo di inserimenti permessi dalla legge regionale: otto, secondo l’art. 8 della l. 1980 n. 28.
Non erano neppure rispettate le condizioni di legge previste per l’affidamento di minori a singole famiglie o a singole persone (art. 9), facendo difetto qualunque verifica della “rispondenza” della famiglia a soddisfare le esigenze affettive, sociali e scolastiche del minore affidato, mancando del tutto i “controlli periodici” sui risultati dell’affidamento.
Al Forteto si realizzavano affidamenti a “geometrie variabili” per cui un affidatario/affidataria di frequente aveva più affidamenti, condivisi con persone diverse, secondo un metodo confusivo e demenziale, aggravato dalla pretesa di imporsi come vero e proprio “genitore” (babbo o rispettivamente mamma, in corrispondenza del genere maschile e femminile) dell’affidato e dove,  a discrezione del FIESOLI, gli affidamenti venivano modificati, cambiati, mai nell’interesse dei minori ma solo per punire un singolo o promuoverne un altro, per ribadire la sua leadership e colmare il suo smisurato ego».

Infine «Di maltrattamenti debbono pertanto rispondere a) coloro che, quali soggetti affidatari dei minori, hanno agito tenendo in danno delle vittime  le condotte maltrattanti descritte; b) coloro che, rivestendo una qualifica soggettiva di tipo giuridico – responsabile della comunità, responsabile della associazione – o avendo una posizione apicale e direttiva di fatto, hanno comunque adottato scelte e tenuto condotte parimenti vessatorie, umilianti, emarginanti, di cui si è acquisito la prova piena e si è dato conto in motivazione; c) coloro che, ancorché privi rispetto alla vittima di doveri giuridici di agire o di posizione di garanzia, hanno comunque tenuto condotte concorrenti, materiali o morali, alla realizzazione dei maltrattamenti, così “alimentando” il reato abituale previsto dall’articolo 572 del Codice penale attraverso un contributo, causale  o agevolatore,  materiale o morale, alla sua realizzazione o al permanere della sua abitualità».
Rodolfo Fiesoli: «Il suo ruolo di capo, spirituale ma non solo, leader incontrastato e da tutti riconosciuto, guida del Forteto per tutta la sua esistenza, dalla formazione all’ultimo arresto della fine del 2011 è incontestabilmente provato, al pari del potere insindacabile di decisione in tutti gli aspetti della vita comunitaria e, in particolar modo, in tema di affidamenti, con l’inaccettabile e incomprensibile corsia preferenziale riservatagli dal tribunale per i minorenni e dai vertici dei servizi sociali.
L’istruttoria ha dimostrato come FIESOLI fosse al corrente di tutto quello che accadeva in comunità, ne determinasse l’indirizzo attraverso insindacabili decisioni, sicuro e forte della cieca ed assoluta fedeltà tributatagli praticamente da tutti i componenti.
Le fantasiose e originali indicazioni fornite dagli imputati e dai testi a difesa ancora presenti al Forteto – tutte protese a ridimensionare il suo ruolo nel tentativo di allontanare da lui la responsabilità, anche penale, per i fatti in contestazione -, che lo hanno descritto di volta in volta come “pensionato” senza alcun ruolo né prerogativa, come aiuto cuoco, come fornaio del Forteto, come guardiano del pollaio, come “mediatore”, come mero nuncius di richieste di affidamenti provenienti dal tribunale per i minorenni o dai servizi sociali, come rappresentante – senza mandato – della comunità all’esterno, sono state smentite e superate da prove granitiche hanno dato conto di come il FIESOLI fosse stato, per gli oltre trent’anni di vita della comunità “Il Forteto”, il capo indiscusso e incontrastato, il “profeta”, il puro, il perfetto, l’uomo che aveva permesso la nascita e lo sviluppo della cooperativa a cui doveva essere tributato rispetto e, soprattutto, obbedienza.
FIESOLI ha teorizzato, unitamente al GOFFREDI, tutte quelle regole maltrattanti – di cui il processo, in oltre un anno di istruttoria, ha fornito la prova – e ne ha imposto l’applicazione; ha ordinato chiarimenti, confessioni di pretesi abusi sessuali, ha additato ai suoi fedeli i “nemici” da isolare, emarginare, escludere; ha commesso, proseguendo nella sua inarrestabile ricerca di appagamento delle perversioni omosessuali, plurimi delitti di violenza sessuale, anche su minorenni, di pari passo realizzando condotte di maltrattamento».

Le vittime, il risarcimento: “un accordo storico”

Nel 2023 la regione Toscana si è rivolta al tribunale civile di Firenze per chiedere 5 milioni di euro di danni ai condannati “nel processo di primo grado sugli abusi avvenuti nella comunità Il Forteto in Mugello”. Un atto che arriva dopo l’esposto presentato alla Corte dei Conti da parte di Sergio Pietracito, presidente dell’Associazione delle vittime.

Intanto, non era mai accaduto: un accordo storico quello che si è concretizzato nel corso della causa civile a Genova (siamo a marzo del 2024) “che vede circa una ventina di ex ospiti della comunità di Vicchio contrapposti a magistrati del tribunale dei minori di Firenze e assistenti sociali che con i loro provvedimenti collocarono i bambini presso le “famiglie funzionali” volute da Rodolfo Fiesoli, fondatore” ha riportato “Firenze e dintorni”, che ha spiegato: “il risarcimento, figlio di un accordo transattivo, è stato proposto dall’Avvocatura dello Stato e accettato da due fratelli, entrati da bambini al Forteto, rappresentati dall’avvocato Giovanni Marchese. La cifra concordata è di poco superiore ai centomila euro. La transazione, per diventare esecutiva, dovrà passare al vaglio della Corte dei Conti”.

 

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