
Ho fatto un casatiello per Pasqua. Anzi, ne ho fatti due. E ho fatto due casatielli per Pasqua perché mi piace, ogni tanto, cucinare qualcosa che altrimenti nessuno farebbe in famiglia, dove per nessuno intendo mia moglie Marina, mia figlia Lucia e, quando c’è, in questi giorni c’è, mia suocera. E perché fare cose pratiche mi permette di rilassarmi, e di essere appagato. Giorni fa Mezzosangue, con cui ho passato un paio di ore, mi ha spiegato che è una questione di produzione di dopamina da parte del cervello, qualcosa concepito dalla natura a nostro beneficio per farci provare piacere anche nel fare cose che in natura non sarebbero previste, come un tempo seminare un campo, oggi fare un casatiello, lui questo non l’ha detto ma io so che è così, o più spesso ricevere vacui consensi sui social. Lui, Mezzosangue, ha ovviamente allargato lo sguardo, non è che mi stava dando una ripetizione di psicologia, anche se lui ha quegli studi alle spalle, ma perché mi stava mettendo a conoscenza di una sua visione del mondo, visione di un mondo nel quale ci vengono concessi dei piccoli zuccherini, l’attivazione appunto delle dopamine, in una sorta di programma predefinito di azioni/reazioni che però nulla hanno di naturale, come nulla di naturale ha il vivere in città fatte di palazzi concepiti come gabbie, Mezzosangue da poco si è trasferito dal piccolo loculo, parole sue, nel quale ha vissuto per anni, per trasferirsi fuori città, dove per città si intende Roma, una casa casa, un orto, pochi vicini, giusto un paio, neanche un paese, ma la periferia di un paese. Non so nulla di dopamina, anche se il termine mi richiama alla mente senza ombra di dubbio Neffa e i Messaggeri della Dopa, e ancor prima Dj Gruff, quindi ancora Neffa, col suo La Rapadopa. Il doping e tutto il resto lì, a cascata. Ma so che è vero che il consenso ci da soddisfazioni immotivate, azioni che in fondo quello che chiamiamo progresso ci ha posto di fronte, nella nostra quotidianità, aggiustare qualcosa in casa, risolvere un calcolo matematico, superare un esame o un livello di un videogioco, prendere un tot di like per una foto che mostra il culo associata a una frase di Pablo Neruda, roba così, e roba come il fare un casatiello. Anzi, due. Scrivere, immagino, rientra in quella serie di attività che dovrebbero portare a scariche di dopamina, sempre che si dica così, o magari è il ricevere consensi per quel che si è scritto che deve generarne, immagino dipenda anche dai livelli di autostima e di stima nei confronti di chi legge, ma fare i casatielli, una volta l’anno, è decisamente meglio, perché ho consensi quasi immediati, il tempo di farlo freddare e mangiarlo, e perché mi permette di flexare che non sarò io quello in famiglia preposto alla cucina, ognuno ha i suoi compiti e in genere io cucino quando non c’è mia moglie a farlo, più una faccenda di sopravvivenza che di grand cousin, ma quando mi ci metto sono a livelli pro, al punto che mi verrebbe da pretendere in famiglia qualcosa che suoni come il “sì, chef” che ho visto essere un mantra in cucina guardando le tre stagioni di The Bear. Intendiamoci, non è che io abbia una carenza di consensi, né una necessità ulteriore di consensi, faccio cose, conosco gente e in genere non mi posso lamentare di niente, ma la dopamina è un neurotrasmettitore del piacere, che incentiva la gratificazione per aver portato a termine determinate azioni, una sorta di cani di Pavlov che associamo quel piacere a quelle azioni, e quindi le ripetiamo anche compulsivamente, proprio per essere poi gratificati, quindi non posso che abbassare il capo e dire che sì, faccio il casatiello perché in fondo sono un tossico, dove il cervello è il mio pusher.
Poi però capita che certi stimoli arrivino dall’esterno, e non parlo certo di pusher in carne e ossa, sia chiaro, sono sempre stato e resto straight edge come un Henry Rollins coi capelli lunghi e ricci e giusto un filo di muscoli in meno (e di pancetta in più, anche se sto a dieta, so che quanto scritto fin qui potrebbe far pensare il contrario, ma cammino quasi dieci chilometri al giorno e sto perdendo peso come schedulato, daje). Viscerale, l’album nuovo di Mezzosangue, quarto in una carriera ultradecennale, il rapper/cantautore è piuttosto parco nelle uscite, è indubbiamente una bella cascata di dopamina, e lo è in maniera per me prevedibile, lo seguo e ammiro sin dal suo esordio, come un cane di Pavlov immaginavo che a nuova uscita sarebbe corrisposta ottima uscita, e come un cane di Pavlov non sono rimasto affatto deluso, anche se mi viene il dubbio che paragonarmi a un cane di Pavlov non sia molto edificante per me. Parlo di qualcosa di inaspettato, quindi un piacere ancora più piacevole, perché arrivato all’improvviso, quando appunto stavamo facendo altro. Di Mezzosangue e del suo viscerale, portate pazienza, parlerò nei prossimi giorni, quando avrò metabolizzato le due ore e mezzo di chiacchierata, davvero tanta roba, quello di cui voglio parlarvi oggi, il piacere del giorno, è Davide Amati, album esordio di un giovane cantautore romano, ma romagnolo di adozione, di nome Davide Amati. Le cose sono andate così, stavo aspettando che l’impasto del casatiello raddoppiasse, Giallo Zafferano suggerisce due ore, io ovviamente me ne sono prese il triplo, che non mi corre dietro nessuno. Sapendo che una volta arrivati a sei ore di lievitazione mi avrebbe atteso il compito di tagliare il salame e i tre tipi di formaggio coi quali avrei farcito poi il tutto, non prima di aver diviso l’impasto in due, di aver spianato una delle due palle di impasto e via discorrendo, un lavoro difficile, quello di tagliare salame, provola, pecorino romano e parmigiano reggiano, se sei a dieta, sarete d’accordo con me, decido di rilassarmi un attimo, guardandomi una puntata della sesta serie di Orange is the New Black. È una serie che mi piace, questa, ma non mi convince del tutto, al punto che l’ho presa e lasciata non so quante volte. Mi sono deciso a finirla, manca poco più di una stagione, più per una faccenda di principio che per altro, niente dopamina, in questo caso. Sto quindi lì, distratto, a guardare le vicende che si susseguono nel carcere di massima sicurezza, spoiler, dove la scena si è spostata dalla quinta stagione in poi, quando mi arriva un messaggio su Instagram. È Frankie Wah, chitarrista e molto altro dei Little Pieces of Marmelade, duo di Filottrano che si sono imposti all’attenzione del pubblico, me compresa, durante la XIV edizione di X Factor, loro in squadra con Manuel Agnelli, vincitrice Casadilego, in squadra con Hell Raton. Curiosità, da buttare così, en passant, i Little Pieces of Marmelade, che oltre a Frankie Wah hanno in line-up Daniele DD Ciuffreda, finito X Factor sono andati a lavorare con Manuel Agnelli, accompagnandolo nel suo tour e il suo primo album solista, Ama il prossimo tuo come te stesso. Manuel, per altro, ha collaborato nel tempo sia con Vittoria Burattini, batterista dei Massimo Volume e incidentalmente mia compagna di banco alle superiori, di Camerano, provincia di Ancona, e con Beatrice Antolini, polistrumentista e cantautrice pazzesca, di Macerata, Manuel ama le Marche, vai a capire perché. Tornando invece a X Factor e alle connsessioni e coincidenze, Casadilego, a sua volta, è finita a lavorare con Manuel Agnelli in Lazarus, il musical scritto da David Bowie che sta girando l’Italia da qualche tempo. Altra curiosità, e la dico sottolineando come i Little Pieces of Marmelade siano pazzeschi, un duo vero, alla White Stripes o i Black Keys, giovani ma temibilissimi, Frankie e DD sono di Filottrano, paese collinare in provincia della mia Ancona, paese collinare che ha dato i natali a un altro duo d’eccezione, i Gang, alias i fratelli Marino e Sandro Severini, vera e propria colonna portante del combat rock italiano. Tempo fa ho scritto un racconto psicogeografico su Filottrano, incuriosito dal fatto che in quel paese collinare, dove per altro ora lavora come pediatra una delle mie più care amiche, Nadia, è il luogo dove si trova il museo dedicato a Giacomo Costantino Beltrami, esploratore, scrittore e patriota italiano qui giunto da Bergamo, dal quale era scappato all’arrivo di Napoleone. Uomo incredibilmente curioso, Beltrami decise poi di partire per le Americhe, del tutto intenzionato a scoprire la sorgente del Mississippi, scoperta che in effetti riuscirà miracolosamente a fare, unico europeo in una spedizione fatta esclusivamente di guide native, al punto che la sorgente si trova oggi in una contea che porta il suo nome, la Beltrami County, in Minnesota, dove si trova anche una cittadina col medesimo nome. Che il Minnesota sia anche la terra natia di Bob Dylan, cui tanto devono i fratelli Severini, e che in Minnesota, nella medesima Duluth che ha dato i natali a Dylan, all’anagrafe Robert Zimmerman, sia ambientato un libro di Gore Vidal che mette alla berlina il mondo dello spettacolo americano, al cui immaginario tante parole e note hanno dedicato i fratelli Severini, è qualcosa che tira ovviamente per la giacchetta la mia amata psicogeografia. Volendo anche il fatto che Finnemore Cooper abbia deciso deliberatamente di rubare la storia di Beltrami, la vita di Beltrami, per costruirci su il suo romanzo più famoso, L’ultimo dei Mohicani, a lui è ispirato il protagonista europeo passato a una vita vicina a quella dei nativi, dal momento che quello dei movimenti dei nativi americani, come dei latinos, è una vicenda che molto a cuore sta ai due Gang. Per essere una terra avara di artisti, la mia, e per essere una terra dove a volte capita di doversene andare per ritrovare quelle opportunità che lì non sono concepibili, direi che Filottrano ha fatto da centro nevralgico della controcultura locale e non. Dico questo perché il disco di Davide Amati, quello che mi ha dato oggi la scarica di dopamina di cui avevo decisamente bisogno, pur non sapendo di averne bisogno finché non è arrivata, molto deve, credo a Frankie Wah da Filottrano. È lui che ha prodotto queste otto fulminanti brani che compongono la tracklist, e stando a quel poco che ho sentito in giro, quel cioè che Davide Amati aveva prodotto in precedenza, roba decisamente più indieggiante, direi che il suo lavoro si è fatto sentire. Oggi Davide Amati suona come un Lucio Battisti che ha ascoltato per mesi e mesi i Violent Femmes, volendo anche con qualche incursione verso suoni pure più ruvidi, che so?, i miei amatissimi Hüsker Dü, canzoni sghembe, storte, liriche e graffianti, tutte con una personalità debordante e definita, un suono che le accompagna che è qualcosa di devastante. Un lavoro eccellente, straordinario, dove la parola in questione va presa alla lettera, etimologicamente, constatando come di ordinario, rispetto a quel che passa il convento oggi, non c’è proprio niente. O meglio, c’è un mood pop, perché pur in quell’essere canzoni storte e ruvide, distorte e proprio per questa sorta di strabismo di Venere sonora assolutamente affascinanti. Suoni primordiali, in questo l’impronta dei Little Pieces of Marmelade portata da Frankie è evidente, ma al tempo stesso modernissimi, perché anche qui, tra le righe, si trova una scrittura che sarebbe potuta essere quella di Ivan Graziani se la morte non ce ne avesse privato troppo presto, un po’ come sta accadendo a quel Lucio Corsi che proprio in questi giorni sta conquistando per la seconda volta lo stivale a suon di concerti. Il metodo Frankie Wah, se vogliamo chiamarlo così, mi sembra eccellente, come eccellente è la scrittura di Davide Amati. Un incontro fortunato, il loro, peccato che il tutto avvenga lontano dalle miopi major, o forse dovrei dire, fortuna che ciò avvenga lontano dalle miopi major. Se mai dovessi fare un disco, è ovvio, è il mio conterraneo che vorrei al mio fianco.
Comunque, quando Frankie mi ha girato il disco, lì sui DM, specificando “l’ho rovinato”, immagino gigioneggiando, aprendomi d’improvviso a questa scarica di dopamina, mi ha incuriosito, e mi ha ancora più incuriosito il sentire un così bel progetto di un artista di cui non avevo sentito fin qui nulla, neanche il nome. Al punto, Frankie Wah potrebbe testimoniare, che dopo avergli chiesto informazioni su Davide Amati, chi fosse, dove vivesse, cosa avesse fatto, gli ho chiesto di non dirmi nulla, perché avrei voluto che fosse la musica e solo la musica a suggerirmi qualcosa. Un po’ come in quel Natura morta con custodia di sax di Geoff Dyer di cui vi parlavo qui https://361magazine.com/un-requiem-post-datato-per-tom-robbins/, Dyer a inventarsi biografie di jazzisti a partire da loro foto scattate mentre stavano improvvisando su un palco, io a inventarmi la sua a partire da canzoni sghembe e storte ascoltate mentre aspettavo che l’impasto dei casatielli raddoppiasse la propria massa. Di lui, in effetti, a parte che sia nato a Roma ma sia poi cresciuto a Sant’Arcangelo di Romagna, nulla so, forse giusto che facesse parte del giro di Matteo Alieno, questo ho letto di sfuggita da qualche parte, e questo mi diceva anche le poche cose precedenti trovate online. Sant’Arcangelo di Romagna, potrei dire tutto torna, sempre parlando di psicogeografia e quegli strani giri che fa la mia mente quando inizio a raccontare storie. Ci sono stato proprio durante le vacanze di Natale, lì, ero nelle Marche e Sant’Arcangelo è a due passi, Pasqua la passo sempre a Milano, invece, o quasi. Ci siamo andati con tutta la famiglia, e anche con la famiglia dei miei cognati, la sorella di mia moglie, il marito e i due figli, mia suocera appresso. Ci siamo andati perché sarei voluto andare a vedere un posto incantato che si trova dalle parti di Montegiove, sempre non troppo lontano da Ancona, La Scarzuola. Un luogo incantato, un vecchio castello ristrutturato a suo estro dall’artista Tomaso Buzzi, che lo ha reso a metà strada tra una opera freak e un museo a cielo aperto. Solo che le visite sono possibili solo su prenotazione, e in quei giorni non c’erano posti disponibili, quindi ho optato per un altro luogo incantato e freak, Mutonia, proprio lì a Sant’Arcangelo. Un altro museo a cielo aperto, fondato oltre trent’anni fa dalla Mutoid Waste Company, di passaggio in città per prendere parte dal famoso Festival di teatro sperimentale, e che da allora è diventato una vera e propria attrattiva per curiosi da tutto il mondo. Un museo dove un gruppo di artisti residenti, quasi tutti stranieri, costruisce opere di varia natura riciclando di tutto, auto, elettrodomestici, vecchi mobili, davvero di tutto. Una sorta di scenario da Burning Man Festival, che però si trova in riva al Marecchia invece che nel deserto del Nevada. Un posto incredibile, quello, dove si tengono anche corsi e residenze per artisti, ma che in questi giorni è a rischio sgombro, a meno che il sindaco di Sant’Arcangelo non riesca in un miracolo. Per chi pensasse a una comune hippie malvista dai locali, sia noto che quando si entra in città, alla prima rotatoria dopo l’uscita dell’autostrada, la gigantesca gallina romagnola che fa bella mostra di sé, dando il benvenuto ai viandanti, è opera proprio degli abitanti di Mutonia, da sempre più che integrati con gli autoctoni. In precedenza, un tentativo di sgombero era incappato in una raccolta firma di oltre duecentocinquantamila persone, che da tutti gli angoli della Terra avevano chiesto di non toccare quel miracolo di arte e integrazione, vedremo come andrà a finire stavolta. Di fatto Sant’Arcangelo, città che appunto ospita un festival di teatro sperimentale e Mutonia, da oggi può vantare anche Davide Amati, cantautore di talento, storto e originalissimo. Potrei star qui a dire come l’anno successivo al passaggio dei Little Pieces of Marmelade in quel di X Factor, vinta dal nostro conterraneo Baltimora, mio e di Frankie Wah, Baltimora è di Ancona, ecco, potrei star qui a dire che nella squadra di Manuel c’era un’altra band che ha provato a farsi valere, senza riuscire però a arrivare come il duo di Filottrano in finale, nome della band Mutonia, esattamente come la comune di artisti di Sant’Arcangelo di Romagna. Potrei ma starei qui a allungare il brodo, e invece è praticamente Pasqua, voi leggerete queste mie parole giusto un paio di giorni dopo, e ci sono due casatielli da giustiziare. Farlo con la giusta carica di dopamina in corpo non potrà che arricchire il piacere, e di questi tempi direi che non si può che essere felici di ciò.