Caso Cucchi, le motivazioni della sentenza: “Versione per non minare le carriere”
Caso Cucchi, le motivazioni della sentenza: “Versione per non minare le carriere”. Per la morte di Stefano Cucchi sono stati 8 i condannati
Sono state pubblicate le motivazioni che hanno portato il giudice monocratico del tribunale di Roma, Roberto Nespeca, a condannare, lo scorso aprile, otto carabinieri per la morte di Stefano Cucchi.
Scrive il giudice: “La versione ufficiale dei carabinieri sulla morte di Stefano Cucchi era stata confezionata escludendo ogni possibile coinvolgimento dei militari così che l’immagine e la carriera dei vertici territoriali e, in particolare, del comandante del Gruppo Roma, Alessandro Casarsa, non fosse minata”.
In un altro passaggio, il giudice specifica: “Alla stregua del materiale probatorio in atti, valutato nel suo complesso, deve ritenersi che la falsificazione delle due annotazioni avessero la finalità di allontanare l’attenzione dall’operato dei Carabinieri così da evitare qualsiasi coinvolgimento del Comandante del Gruppo Carabinieri Roma, il colonnello Alessandro Casarsa, considerato che l’immagine dell’Arma capitolina era mediaticamente esposta e che già altri militari erano stati coinvolti nei gravi fatti in danno del Presidente della Regione Lazio. Allontanando i sospetti dai Carabinieri non poteva di certo mettersi in discussione l’azione di comando da parte del vertice del Comando Gruppo Carabinieri Roma la cui figura rischiava di essere quanto meno indebolita dalla vicenda, ancor più dopo i fatti che avevano coinvolto il presidente della Regione Lazio”.
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In un ulteriore passaggio, il giudice spiega: “D’altro canto, si resero necessarie telefonate, colloqui, persino una ricostruzione della scena vissuta da Di Sano, e le modifiche non furono apportate dagli interessati a Di Sano fu detto ‘leggi, firma e poi vediamo se parti’. Tali evenienze, complessivamente apprezzate unitamente ai rilievi precedentemente evidenziati, conducono a ritenere che vi furono delle titubanze proprio in ragione della natura illegittima e manifestamente criminosa dell’ordine”.
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