Calcio e canzoni, storia di un binomio quasi perfetto

Il doppio. Ero alla caccia di idee, fuori pioveva e la noia stava avendo il sopravvento su di me, quando sono incappato in una notizia che mi ha spiazzato. In realtà non è una notizia, quanto piuttosto un fatto, un fatto che credo sia di totale irrilevanza per chiunque, ma non per me.

La ricerca che stavo facendo era riguardo una certa parte della letteratura britannica. Ero partito da lontano, dalla Russia, cercando come spesso faccio notizie riguardo nuove pubblicazioni di Eduard Limonov, autore eccentrico e per certi versi genialoide scomparso durante i mesi del Covid, ma non per Covid. Avevo scoperto che in effetti era appena uscito un suo nuovo libro, credo una raccolta di scritti assemblati qui in Italia, titolo: Ideario di un figlio di puttana. Da lì ero passato a un altro autore russo che ho molto amato, quando in passato lavoravo alla collana Strade Blue, Viktor Pelevin. Di lui, in realtà, da anni in Italia non esce più nulla, credo a causa delle scarsissime vendite dei suoi titoli precedenti. Una sorte che ha condiviso con Douglas Coupland, che invece è canadese e che grazie soprattutto al suo romanzo d’esordio Generazione X, un po’ noto è stato, da poco tornato in libreria solo grazie alla solerzia di Matteo B Bianchi e della casa editrice Accento, di Alessandro Cattelan. Di Pelevin, a differenza di Limonov, non ho trovato nulla che già non avessi. Di Limonov, per altro, sono anni che cerco Il poeta russo preferisce i grandi negri, edito da Frassinelli e praticamente introvabile, conto sempre sul vostro buon cuore, nel caso lo aveste (e già che ci siamo, da anni cerco disperatamente anche Vacanze haitiane di Kathy Acker, edito ai tempi da Superonova, tanto per rimanere a Cattelan, che così ha intitolato il suo podcast, da poco entrato in Chora Media, io la butto lì…). Da Limonov, sono quindi passato a Pelevin, e da Pelevin, faccio spesso questo giro, infruttuoso, a Hallgrimur Helgason, scrittore islandese ai tempi pubblicato da Guanda, ricordo di aver letto il suo libro cult 101 Rejkyavik. Niente di nuovo neanche per lui, giusto un Toxic, usato, uscito ai tempi per ISBN, e un più recente La nonna a 1000°, uscito proprio per Strade Blu. Tutti titoli che finiscono nel mio carrello di Amazon, lo confesso. A questo punto, dopo aver controllato, è prassi, che non ci siano nuovi titoli in italiano per Chuck Klosterman, né che sia tornato disponibile il tomone Ultime storie e altre storie, il solo che manca alla mia collezione, io che per altro ho anche The Book of Dolores, ma in lingua originale, passo a John King, tentando un ultimo disperato colpaccio con una copia in italiano di Skinheads, colpaccio che ahimé non mi riesce. Sono in Inghilterra, e la ricerca passa quindi per gli autori della Perfida Albione. Mi incisto nel cercare di ricordare come si chiamasse quella vecchia antologia edita da Piccola Biblioteca Oscar, io ho lavorato come consulente e editor jr sia per Strade Blu che per quest’ultima, una antologia che si rifaceva al Dogma 95 di Lars Von Trier. Mi sembrava si intitolasse New Radicals, ma a questo nome, anche tradotto in italiano, mi escono solo dischi dell’omonima band americana, e nella versione italiana una raccolta di scritti politici. Non è quello il titolo giusto. Ci arrivo facendo un giro largo. Ricordo che in quell’antologia c’è di mezzo Toby Litt, scrittore di cui ho anche letto qualcosa, quindi parto da lì, e da lì arrivo al curatore dell’antologia Nicholas Blincoe. In realtà mi sa che ci arrivo direttamente da Blincoe, di cui trovo in libreria un vecchio libro, Acidi accidentali, ricordando che per un po’ ho cercato l’altro romanzo edito da Einaudi Stile Libero, Tacchi alti, senza successo. Vado quindi di nuovo alla libreria e cerco nella sezione britannica, ho una enorme libreria nella quale io mi muovo agilmente, perché è organizzata secondo una mia logica, e cerco quel libro, che so essere nascosto dietro i libri proprio di John King e di altri autori inglesi come Joseph O’Connor, che in realtà è irlandese, Nick Hornby, Martin Amis e Roddy Doyle, che in realtà è scozzese. Lo trovo, e annoto mentalmente che tra gli autori presenti, oltre il solito Geoff Dyer, citato già più volte da queste parti, c’è anche Alex Garland, poi divenuto famoso per aver scritto il romanzo da cui è stato tratto il film The Beach con un giovane Leonardo Di Caprio, sorta di Il signore delle mosche in salsa tailandese, per poi essere passato al cinema come sceneggiatore, suo 28 giorni dopo e Sunshine di Danny Boyle, quello di Trainspotting, visto che si parla di letteratura britannica, Irvine Welsh va sempre bene, e anche come regista, recentemente con il bel Civil War, prima con film quali Ex Machina o Annientamento. Trovo quindi Nuovi Puritani e con lui trovo anche altre antologie, edite nella medesima collana: un paio di Weekendes, e un Fuori Area, libro che parla di calcio, diviso in primo tempo, intervallo e secondo tempo, libro che scopro, non lo ricordavo affatto, raccoglie anche un racconto di Iain Sinclair, il più grande esperto di psicogeografia vivente, secondo forse solo a Guy Debord, che in effetti la psicogeografia se l’è inventata, e una Acidi scozzesi, uscita invece per il solito Einaudi Stile Libero, che raccoglie scrittori come Irvine Welsh, appunto, e Alan Warner, di cui rammento un bel romanzo edito da Guanda dal titolo Rave Girl. Di Nicholas Royle, curatore di Fuori Area, invece, ho un romanzo, sempre di Stile Libero Einaudi, dal non troppo invitante titolo Smembramenti. Erano quegli anni lì, selvaggi e cannibali, quando si parlava di killer e acidi con una certa facilità, da quelle parti. Non mi sembra di aver altro, di suo. Tanto per essere chiari, Einaudi Stile Libero è stato per tutto il periodo a cavallo tra la fine dei Novanta e i primi anni Zero una vera e propria fucina di bei libri, e Strade Blu della Mondadori, con la sua sorella minore Piccola Biblioteca Oscar, non è stata da meno. Il fatto che io sia stato il primo autore di narrativa italiana a uscire per Strade Blu, nel 1999, col romanzo “aironfric”, e che vi abbia lavorato come traduttore e consulente, non credo obnubili il mio giudizio. Guanda, con la quale sono a mia volta uscito, undici anni dopo “aironfric”, col libro psicogeografico scritto a quattro mani con Gianni Biondillo dal titolo Tangenziali, cover del London Orbital proprio di quel Iain Sinclair di cui parlavo sopra, dice più che altro come ci fossero alcuni editori cui ero particolarmente affezionato, e mica per caso ho la libreria piena di loro titoli. Con Einaudi, nonostante a giorni esca il mio novantottesimo titolo, non ho mai avuto nessun rapporto, neanche come traduttore, attività che però ho abbandonato ormai da oltre venti anni, e devo dire non ho mai vissuto la cosa come una mancanza.

Torno però a Nicholas Royle, di lui volevo parlare. O almeno da lui sarei voluto e dovuto partire. Normale che, capitatomi sotto mano il suo vecchio libro, Smembramenti, mi sia andato a cercare cosa aveva fatto nel mentre. Un po’ come capita quando ci si ritrova con gli amici di un tempo, magari i compagni di scuola, si chieda notizia di chi è assente. Vedo quindi che ha da poco pubblicato un libro dal titolo Gotico londinese, che ovviamente mi prende subito. Gotico americano è il titolo che in Italia ai tempi hanno dato a Carpenter’s Gothic di William Gaddis, uno dei padri del massimalismo americano, prendendo per altro ispirazione dal quadro American Gothic di Grant Wood, piazzato anche in copertina nella vecchia edizione Leonardo. Io quel quadro l’ho visto, con Cristina Donà, all’Art Institute of Chicago, nella medesima stanza dove si trova anche l’altro grande classico Nighthawke di Edward Hopper, mica scherzi. Quel viaggio lo abbiamo poi raccontato nel libro/documentario God Less America, parlo di venticinque anni fa. Di Gaddis, già che ci sono, mi manca JR, nell’edizione della Alet, se ci fosse sempre qualche anima buona. Tornando però a Royle, scopro che è uscito questo libro e cercando cercando scopro una cosa anche piuttosto interessante, e cioè che di Nicholas Royle ce ne sono in realtà due, entrambi scrittori e professori universitari, entrambi inglesi. Il primo, diciamo così, è quello di Smembramenti e Gotico Londinese, vive e insegna a Manchester, il secondo non è mai stato tradotto in Italia, ha scritto un libro che sembra interessante su David Bowie e vive e insegna nel Sussex. Un caso di doppio degno di finire dentro un film o un romanzo, tanta letteratura si è ispirata a casi del genere, dove però in genere c’era qualcuno che si impossessava dell’identità di qualcun altro, mentre qui l’identità è semplicemente comune a due persone che hanno deciso di fare il medesimo mestiere. Non fosse per pietà umana mi verrebbe da citare un nome che vive un destino simile, Paolo Giordano, dove da una parte c’è lo scrittore e matematico, vincitore del Premio Strega con La solitudine dei numeri primi, e dall’altra la firma de Il Giornale, parte integrante dei Pool Guys. Ignoro se Royle sia un cognome particolarmente comune in Inghilterra, come potrebbe essere da noi un Rossi, un Bianchi, un Monti, ma di fatto ci sono stati due Nicholas Royle che hanno deciso di fare il medesimo mestiere, e uno dei due è finito dentro la mia libreria e dentro questo mio racconto.

Racconto che ovviamente non è fine a se stesso, come lo potrebbe mai essere?, e che ovviamene a un certo punto, questo, presenterà uno scarto anche violento, un testa coda diremmo stessimo guidando, giusto per prendere una strada laterale difficile da vedere, chi ha seguito da giovane le avventure dei fratelli Bo e Luke Duke, quelli di Hazzard, magari più per vedere le gambe evidenziate dagli shorts di loro cugina Daisy, interpretata da Catherine Back, sa bene di cosa parlo, l’auto dello sceriffo Rosco P Coltrane, dietro di parecchie decine di metri a non accorgersi che nel mentre l’auto rossa con le bande bianche si è nascosta lì, in mezzo al grano. Lungi da me ora soffermarmi sui Boss Hog, band punk blues americana fondata dalla coppia Christina Martinez e Jon Spencer, quello della Jon Spencer Blues Explosion, entrambi già nei Pussy Galore, Christina Martinez credo una delle performer più carismatiche della scena rock di quel periodo. Boss Hog, ovviamente, prendeva il nome da Boss Hog, il simpatico villain di quella serie. Tornando alle stradine laterali, polverose e siminascoste, ecco, questa lunga, lunghissima carrellata di libri e autori in prevalenza britannica, partita per caso e poi approdata intorno alla questione dei due Nicholas Royle, mi porta a ragionare sul fatto che, nonostante tutto, io ami assai più la letteratura americana, intendendo con questa statunitense, sono pur sempre nato ai tempi dei film dei cowboy e indiani, e ho sempre tifato per questi ultimi, tanto quanto, invece, ho molto amato band americane, almeno altrettanto di quanto io non abbia amato le band britanniche. Non per nulla Londra è in assoluto la città extraitaliana che ho visitato più volte, pur non tornandoci io da un sacco di anni, così come l’Inghilterra è la nazione nella quale sono stato più volte, a Londra ho dedicato addirittura tre libri, e quel che è successo tra anni settanta e novanta nei duecento chilometri circa che separano Manchester e Glasgow è per me quanto di più interessante mi possa venire in mente da ascoltare, ancora oggi che siamo nel 2025. Da una parte Buzzcocks, The Fall, Joy Division e quindi New Order, Smiths, Stone Roses, Happy Mondays, Inspiral Carpets, Charlatans, e dai, anche se non mi hanno mai appassionato anche Oasis. Dall’altra Jesus and Mary Chains, Simple Minds, Primal Scream, Mogwai, Dire Straits, i grandiosi Teenage Fanclub eFranz Ferdinand, per cui vale lo stesso discorso degli Oasis, ca va sans dire. Certo, l’ago della bilancia pende più dalle parti di Manchester, dal mio punto di vista di MadChester, come era chiamata la città sul volgere degli anni Ottanta, quando intorno alla Hacienda di Tony Wilson nasceva quella strepitosa scena guidata da Ian Brown e Shaun Ryders, a mio immodesto avviso gli Stone Roses sono una delle realtà fondamentali per lo sviluppo del rock nell’era del post-punk e fino a noi. Un amore talmente forte, il mio nei confronti degli Stone Roses, che per qualche tempo ho pensato di tradire il mio West Ham, squadra di calcio londinese nata tra i portuali del Tamigi, io tifoso del Genoa non potevo che tenere per loro in Premier League, anche perché è lì che sono nati gli hooligans, avere la nomea di duro che non ha paura di menare metaforicamente le mani con nessuno deve pur avere il supporto di un immaginario idoneo, per il Manchester United, anche perché erano proprio gli anni che vedevano Sir Alex Ferguson sedere come allenatore nella panchina dell’Old Trafford, e in campo c’era gente come Eric Cantona, Roy Keane, Ryan Giggs, David Beckham, i fratelli Neville, nomi che rispondono esattamente al nome di campioni. Forse anche per questo non ho mai amato i fratelli Gallagher, noti tifosi del Manchester City. Tornando però a Ferguson e i suoi ragazzi, non mi hanno fatto mollare il West Ham uno come Paolo Di Canio, non credo ci sia mai stato il dubbio che io cambiassi fede calcistica, e la I’M Forever Blowing Bubbles dei Cockney Rejects credo sia uno degli inni più potenti di sempre, mica è un caso che a tifare per loro ci sia gente come Steve Harris degli Iron Maiden o Dave Grohl dei Foo Fighters. Ho anche provato a comprare la maglia del West Ham a tiratura limitata griffata Iron Maiden, senza successo, e comunque ho maglia, felpa e sciarpa degli hammers, ho già raccontato di come il mio ingresso in società, cioè la mia prima apparizione importante nei media, parlo di apparizione come faccia non come firma, sia legata a doppio filo a quella squadra, io al DopoFestival a dare mazzate indossando una felpa da hooligan, vai poi a capire perché dicono che sono cattivo. Essere partiti da Eduard Limonov e essere finti a parlare di rocker che tifano per squadre della Premier League, converrete con me, è aver partorito un testo non convenzionale, dove il divagare attraverso le parole ha lasciato che di volta in volta il panorama fosse fornito dalla letteratura, la musica, il calcio. Normale, quindi, sempre che si possa parlare di normalità a questo punto o in un qualsiasi punto di un mio scritto, che io chiuda citando Sergio Pizzorno, frontman dei Kasabian dopo l’allontanamento più che doveroso di Tom Meighan, condannato per maltrattamenti familiari. Quel Sergio Pizzorno che calca il palco indossando la maglia del Genoa, lui col nonno partito dal capoluogo ligure alla volta della Gran Bretagna. Storia per altro che potrebbe riguardare anche John Savoretti, e che in Italia ha in Bresh, autore di Guasto d’amore, nuovo inno del Vecchio Grifone, come in Alfa, figlio del medico sportivo della squadra, le nuove leve di cantautori che tifano per la mia squadra del cuore, tifo che vede nei suoi annali anche gente come Fabrizio De André, Francesco Baccini, via via fino a quel Frank Sinatra che coi colori rossoblu sulla cravatta si è fatto seppellire. E sì, ho visto anche io, come tutti, Cesare Cremonini festeggiare la vittoria del suo Bologna allo stadio Olimpico, finalmente una Coppa Italia a celebrare un periodo aureo per i felsinei, o i vari Gigi D’Alessio, Geolier e compagnia bella festeggiare il quarto scudetto del Napoli, mica è un caso che i concerti si facciano negli stadi, calcio e musica finiscono spesso per incontrarsi a metà strada, come calcio e letteratura, parola di scrittore. È proprio vero, certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, proprio come le bolle d’aria in cielo, quelle che anche io soffierò per sempre.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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