Baltimora è nelle Marche e perché la Torre di Portonovo mi spetta

Torno a parlare della mia personale Big Sur, in quella che potrebbe apparirvi come una sorta di trilogia (qui trovate le prime due puntate https://361magazine.com/i-red-hot-chili-peppers-non-hanno-mai-suonato-alle-falde-del-monte-conero/ e https://361magazine.com/in-luna-di-miele-con-maria-antonietta-e-colombre-sul-monte-conero/). Lo faccio in quello che è il centesimo pezzo uscito per 361Magazine, così, per la cronaca.

Dicevo di come negli ultimi anni ci sia gente, credo non sanissima di mente, che parte dal porto di Ancona e punta appunto al Parco del Conero, nello specifico al comune di Numana, secondo di due comuni affacciati sul mare, Sirolo in alto, Numana, che include anche Marcelli, in basso, poi si passa a Porto Recanati, che è però già in provincia di Macerata.

Una passeggiata che non è una passeggiata, ma una nuotata con arrampicate e camminate avventurose annesse, qualcosa come una quindicina di chilometri da farsi nuotando, scarpinando, arrampicandosi, a volte, quasi mai, camminando su parti in piano. Si parte dal porto, si passa sotto il Parco del Cardeto, si arriva alla zona della Grotta Azzurra, sotto via Panoramica, e poi, appunto, si arriva al Passetto, e lì si può camminare, poi ci si riimmerge e si passa davanti alle Grotte sotto la Piscina, che sono sempre grotte di grottaroli, ma con altro accesso, sotto la Piscina Comunale, poi si prosegue per altre grotte e altre piccole spiagge, sempre su roccia, da quelle sotto Pietralacroce, alle quali si accede da una scalinata ripidissima davanti a Forte Altavilla, fino alla Scalaccia, in nomen omen, che si trova sotto il bar della Vedova, nella strada che porta verso Portonovo. Pietralacroce è un quartiere residenziale di Ancona, in alto, sopra il Passetto. Portonovo è invece la località, sempre dentro il comune di Ancona, dove gli anconetani amano andare al mare, il Conero a fare da cornice. Prima di Portonovo, arrivando da Ancona, c’è una spiaggia accessibile solo a piedi, dall’alto, o via mare, spiaggia selvaggia la cui prima parte si chiama Il Trave, e la seconda, in continuità, Mezzavalle, la mia Big Sur.

Qui, da giovani, noi si andava a passare anche la notte, uno di noi, sempre io, incaricato di rimanere di guardia, perché se arrivava la barca della capitaneria di porto o il 4×4 dei Carabinieri giù per il sentiero e ti beccava che dormivi ti faceva la multa per bivacco. Una cosa strana, perché di giorno potevi dormire in spiaggia, di notte no. Era e tuttora è ovviamente vietatissimo accendere il fuoco, essendo Mezzavalle come tutto il resto parte del Parco del Conero. Il Parco del Conero, tecnicamente, parte dal Passetto, e arriva fino a Numana, appunto, come questa specie di triathlon fatto da pazzi anconetani. Che arrivati a Portonovo proseguono, prima passando davanti a dove un tempo c’era Ramona, nella baia del Molo, poi costeggiano il Fortino Napoleonico, dopo essere passati di fronte a Emilia e Marcello, altri ristoranti, camminano per la Spiaggia Bonetti, poi superano la Torre, ora ci torno su, procedono per il Clandestino, ristorante gourmet di Moreno Cedroni, stellato con la sua Madonnina del Pescatore, poi arrivano alla zona di Giacchetti e della Capannina, la Chiesetta di Portonovo dietro gli alberi, quindi continuano, tornando in parte a nuotare, e procedono al periplo del Monte Conero, quindi prima la spiaggia delle Due Sorelle, chicca della zona, accessibile altrimenti solo con costosissime gite su barca, quindi arrivano alla spiaggia dei Sassi Neri, famosa come luogo di ritrovo di nudisti, procedono oltre passando per San Michele, sempre nel comune di Sirolo, Spiaggia Urbani, e arrivano finalmente alla Spiaggia dei Frati, alla cui metà circa, dopo il lido dell’Hotel Gigli, soprastante, si arriva a Numana, fine della gita. Alcuni, più cauti, fanno la parte light, partendo dal passetto e arrivando a Portonovo, sempre e comunque una ammazzata.

Dicevo della Torre di Portonovo, e questo mi aiuterà anche a spiegare perché, parlando di questi luoghi, io mi sia in qualche modo riacceso e abbia addirittura profilato una trilogia di pezzi, tradendo una nostalgia e amore che, immagino, altrove non ha trovato riscontri, sotterrato da chili di rancore e risentimento.

Anni fa, era il 2012, credo, ho pubblicato quel libro dal titolo Seppellite il mio cuore sul Monte Conero cui facevo cenno prima. L’ho presentato all’interno della rassegna Adriatico Mediterraneo, presso la Loggia dei Mercanti, un palazzo molto bello che si trova in una delle strade che dalla zona del porto conduce verso il duomo. C’erano, sono pur sempre lo scrittore anconetano più di prestigio, non che sia un merito né ci voglia molto, un po’ tutte le autorità, dalla neo eletta sindaca Mancinelli, ancora non sindaca del mondo, alla presidente della Provincia di Ancona, Patrizia Casagrande Esposto, ancora le province esistevano e lei era in vita, passando per assessori e parlamentari di zona. C’era anche il politico che mi aveva commissionato quel discorso per inaugurare la propria campagna elettorale, per altro. A moderare c’era l’allora presidente del Parco del Conero, Emilio D’Alessio, colui a cui si deve la costruzione dell’arena che anni dopo mi sarei trovato a inaugurare con Giacobbo, sotto altro colore e altro presidente, cioè Daniele Silvetti, al momento sindaco di Ancona. Emilio, architetto e intellettuale locale, da giovane aveva fondato con amici Radio Arancia, radio privata locale ancora oggi esistente, importante punto di riferimento per molti giovani anconetani e marchigiani, di se stesso amava quasi definirsi più un dj che un architetto, sicuramente più un dj che un politico.

Parlando del mio rapporto con la mia terra natia, certo con un buon grado di ironia, a un certo punto ho detto che una condizione per tornare a viverci, ipoteticamente, è che mi venisse regalata la Torre di Portonovo. È ovviamente scoppiata una gran risata nella sala gremita, come se fosse una battuta. Allora mi sono sentito in dovere di sottolineare che ero serio, e che se mi fosse stata regalata quella torre, in realtà di proprietà privata, lo sapevo e lo so, forse sarei tornato. In cambio, ho sottolineato, agli anconetani tutti, a partire dalle istituzioni, il sapere che io sarei stato lì dentro, in vestaglia, magari a scrivere qualcosa. Non che io generalmente scriva in vestaglia, sia chiaro, ma era per sottolineare come avrei anche adeguato il mio outfit alla location, in caso. Altra risata, ancora più fragorosa. Da quel momento, con una frequenza abbastanza spinta, torno a chiederla, pur essendo cambiati nel mentre i politici cui farne domanda. L’ho fatto anche in chiusura di quella inaugurazione, un paio di anni fa, proiettando alle mie spalle la Torre e facendone richiesta appunto a chi presiedeva il Parco del Conero che la ospitava, oggi come ho detto sindaco di Ancona. Però niente, nessuno me ne ha fatto ancora dono, forse perché non ho il cognome sul citofono.

Ne ho una miniatura in argento nel portachiavi della macchina, nell’ingresso di casa mia, a Milano, c’è una foto della torre incorniciata, regalatami dai miei genitori, in camera mia un quadro con il medesimo soggetto, regalatomi da mia sorella e mio cognato, ma la torre è lì, ormai da tempo miseramente trasformata in un B&B. La Torre in questione, nome all’anagrafe Torre De Bosis, essendo la famiglia De Bosis titolare della medesima, famiglia De Bosis, erede di quel Lauro a sua volta scrittore, poeta, atleta, eroe e antifascista morto a soli trent’anni mentre emulava il volantinaggio aereo di D’Annunzio su Vienna, lui su Roma, torre di guardia e avvistamento posta sulla baia di Portonovo, costruita nel 1716. Curioso che il Lauro oggi più famoso, Achille Lauro, si chiami De Marinis, sempre con la De iniziale e la esse finale. Ma questa ultima frase, più che altro, tradisce la maniera quasi ossessiva con cui guardo alle parole e anche quanto io malsopporti il caldo afoso di Milano.

Il fatto è che questa è una terra ingrata, è chiaro, che non sa riconoscere e ricambiare quel che chi qui è nato le ha dato. Credo, anzi, so per certo, di essere tra i viventi ma anche tra quanti viventi non sono più, lo scrittore che più volte ha parlato di Ancona, da che Ancona esiste, parlato di Ancona fuori dalle mura cittadine, che neanche ci sono più. L’ho fatto in tanti, tantissimi libri, e in tanti tantissimi articoli, che però io chiamo per vezzo pezzi, non essendo un giornalista. Tutti, nel mio ambiente, quello musicale, sanno che sono di Ancona, e in qualche modo questa cosa è parte del mio personaggio, perché è chiaro a tutti che io abbia un personaggio, un avatar, che si espone al posto mio, quello coi capelli lunghi, la lingua tagliente, gli occhialoni rosa e la capacità rarissima negli ambienti musicali, di dire quel che pensa. Essere ricambiato in questo mio continuo parlare, credo, sarebbe stato il minimo sindacale, tanto più tenendo conto dell’esilio, della lontananza, del dover stare lontano dal mare. Invece niente. Neanche un Ciriachino d’oro, figuriamoci se qualcuno possa pensare davvero di donarmi, dopo debito esproprio, la Torre di Portonovo. Meglio farci un B&B, lasciare che quei pochi metri quadri, sviluppati in altezza, è una torre, appunto, vadano a estranei, incuranti.

Nel mio terzo romanzo, ambientato ovviamente in Ancona, come tutti i precedenti e parte di quelli che sarebbero seguiti, a un certo punto il protagonista, che casualmente si chiama come me e ha vissuto esperienze molto simili alle mie, praticavo autofiction ancor prima di sentirla nominare, ipotizza che in un futuro prossimo gli venga intitolata proprio quella anonima piazza Cavour che non ha ancora assolto il suo compito di cuore cittadino, una statua a lui dedicata a sostituire quella del politico piemontese, in effetti non molto attinente alla storia locale. In città esiste già una piccola via dedicata a un Monina, quel sindaco, Guido, che in passato tanto si è fatto amare. È posta in centro, ma è davvero poco più che un vicolo. Sempre in quell’incontro pubblico, nel 2012, alla Loggia dei Mercanti, per spiegare l’importanza di farmi dono della Torre, ho fatto il mio j’accuse, dicendo che a prescindere dal gradito dono, mi auguravo che, una volta morto, in fondo Seppellite il mio cuore sul Monte Conero parlava di ritorno in zona, almeno di una mia importante parte, da morto, non si permettessero di dedicarmi una via periferica, nella zona industriale, per di più piena di buche e addirittura sprovvista di numeri civici, come era capitato all’altro scrittore noto nato in città, Franco Scataglini, poeta dialettale assurto a ruolo di letterato acclarato. Anche qui ho ricevuto, seppur più imbarazzate, perché quel che dicevo è tutto facilmente constatabile, risate di risposta. Ne scrivevo tempo fa, a un altro insigne scrittore e autore anconetano, Antonio Amurri, qui https://361magazine.com/tra-diana-winter-e-amurri-viaggio-intorno-alla-musica-che-vorrei/, Ancona non ha tributato nulla, neanche una pernacchia fatta in Municipio, figuriamoci. Come non ha dedicato nulla, né vie, né piazze, né statue, a Agostina Segatori, in Ancona nata nel 1841 e poi morta a Parigi nel 1910, modella e musa di tanti artisti, da Jean-Baptiste Camille Corot a Édouard Joseph Dantan, da Jean-Léon Gérôme a Eugène Delacroix, da Édouard Manet a soprattutto Vincent Van Gogh, di cui fu anche amante e del quale fu prima gallerista, in qualche modo, ospitando nel suo Café du Tambourin la sua prima mostra, così vuole leggenda. Per chi volesse vederla ritratta è lei “L’italiana” di Manet, come anche di Van Gogh, che la dipinse anche in “Agostina Segatori nel Café du Tamburin”, mentre è “Agostina l’italiana”, “La signora in blu” e “La lettura interrotta”, “Nudo sdraiato sull’erba”, La ragazza con la rosa” e molti altri nei ritratti che le fece Corot. Sicuramente è leggenda il fatto che sia per l’amore nei suoi confronti che Van Gogh e Gauguin interruppero una amicizia assai intensa.

Non è leggenda invece che Agostina ebbe una lunga storia d’amore, tormentata, con Dantan, dal quale ebbe anche un figlio.

Vero e proprio simbolo della Belle Epoque il Comune di Parigi il 4 giugno 2015 ha apposto nel cuore di Montmartre, al 62 di Boulevard de Clichy, una targa commemorativa nei suoi confronti. Ma del resto Parigini non è Ancona, avranno meno personalità di spicco autoctone da celebrare, da quelle parti.

Mica sarà un caso che il solo cantante uscito da questa città negli ultimi tempi, la musica resta pur sempre il mio core business, anche adesso che è estate e che mi sto occupando principalmente di luoghi, vincitore dell’edizione 2021 di X Factor, al secolo Edoardo Spinsante, abbia scelto come nome d’arte Baltimora, città a sua volta affacciata sul mare, l’Oceano Atlantico, nel Maryland, ma distante da casa settemiladuecento chilometri in linea d’aria, questo attesta ChatGPT. Ingratitudine per ingratitudine meglio mettere le mani avanti, avrà pensato. Io continuerò imperterrito a raccontare questa terra, sia mai che qualcuno capisca che la mia richiesta della torre De Bosis non è affatto una battuta. La racconterò e la chiederò, ricevendo in cambio risate. Perché è proprio vero che a dire che il re è nudo è sempre il giullare, mai preso sul serio.

0 Condivisioni

Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

Instagram Feed

error: Il contenuto è protetto