Lotta al Covid: entro l’estate il farmaco contro il virus. Mantovani: “Sogniamo di avere una pillola”
Le parole di Alberto Mantovani direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e professore emerito della Humanitas University
La lotta la Covid – 19, continua: se da un lato sono finalmente arrivati i vaccini con problemi di forniture e di somministrazione dall’altro si tenta anche di trovare una cura che possa inibire il virus.
L’Aifa, l’agenzia del Farmaco italiano ha da settimane autorizzato (cosa che l’Ema non ha ancora fatto) l’utilizzo, in via sperimentale, degli anticorpi monoclonali come possibile cura.
Lo scopo è quello di avere una cura entro l’anno: tante al momento sono le strade percorribili come ha spiegato a “Corriere Della Sera”, Alberto Mantovani immunologo, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e professore emerito della Humanitas University.
GLI anticorpi monoclonali contro Covid-19 sono arrivati in tutta Italia. Dall’approvazione emergenziale del 4 febbraio dell’Aifa, in ogni regione almeno una struttura ospedaliera ha avviato la somministrazione o si sta attivando per farla partire in questi giorni. La prima sperimentazione è stata avviata dall’Istituto Spallanzani di Roma. Avanti con le somministrazioni è la Liguria, che è stata la prima regione a impiegarli in quattro centri, fanalino di coda il Molise, dove si è ancora nella fase di reclutamento.
La tecnica per sintetizzare questo genere di anticorpi è stata messa a punto nel 1975 e da allora tecniche sempre più avanzate di ingegneria genetica hanno permesso la produzione di vari tipi di monoclonali, che attualmente vengono già utilizzati in ambito diagnostico e terapeutico. Ricercatori di tutto il mondo stanno cercando di sintetizzare anticorpi monoclonali specifici per Sars-CoV-2 per impedire al virus, attraverso meccanismi d’azione diversi, di diffondersi nell’organismo umano. E al momento possiamo contare sul farmaco di Eli Lilly, di cui sono arrivate in Italia 4 mila dosi a metà marzo, e da pochi giorni sul cocktail di Regeneron e Roche, quello usato anche dall’ex presidente americano Donald Trump, di cui Aifa ha promesso a breve 30 mila fiale. Il Ministero della Salute ha stanziato 400 milioni nel decreto Sostegni, garantendo complessivamente poco più di 150 mila dosi, man mano che ce ne sarà la disponibilità.
Polmonite, l’importanza della riabilitazione respiratoria
Entro l’estate si attende l’approvazione del primo farmaco italiano: il 20 aprile dovrebbe terminare la fase 1 della sperimentazione clinica dei monoclonali anti Covid prodotti dal Monoclonal Antibody Discovery Lab di Fondazione Toscana Life Sciences ed entro la metà di maggio comincerà la fase 2 e 3, che necessiterà almeno di un altro mese, oltre ai tempi di autorizzazione emergenziale.
L’anticorpo monoclonale umano Mad0004J08 prodotto per conto di Tls da Menarini Biotech nello stabilimento di Pomezia, e poi infialato dall’Istituto Biochimico Italiano Giovanni Lorenzini di Aprilia, pare essere il più promettente in risposta all’infezione da Sars-CoV-2. Sinora la sperimentazione clinica ha dimostrato, in vitro e in vivo, che basta un basso dosaggio per ottenere un’alta potenza di neutralizzazione, tanto da poter essere somministrato con un’iniezione intramuscolare, modalità decisamente più veloce e meno invasiva dei trattamenti attuali. Anche AstraZeneca è impegnata nello studio degli anticorpi monoclonali ed ha realizzato l’Azd7442, una combinazione a lunga durata d’azione che imita gli anticorpi naturali e ha il potenziale per trattare e prevenire la progressione della malattia da Covid.
I monoclonali sono degli anticorpi artificiali. O meglio, delle copie sintetiche di anticorpi umani che si sono dimostrati particolarmente efficaci per guarire dall’infezione. La somministrazione avviene per via endovenosa, con flebo della durata di un’ora, a cui ne deve seguire un’altra di osservazione, preferibilmente entro tre giorni dall’esordio dei sintomi e mai oltre il decimo. Questo perché contro Covid-19 si sono dimostrati efficaci solo se assunti precocemente e diventano inutili quando la polmonite è ormai conclamata o è iniziata la tempesta di citochine infiammatorie.
Non tutti al momento possono accedere a questa terapia. Il trattamento costa fra i 1500 e i 2000 euro a persona. E a beneficiarne al momento sono solo persone che hanno fattori di rischio che fanno prevedere un aggravamento che può portare alla morte. L’Agenzia italiana del farmaco ha stilato l’elenco di tutti coloro che possono accedere a questo tipo di cure: stiamo parlando di anziani con almeno un’altra patologia o di pazienti sopra i 12 anni con malattie gravi.
I candidati non devono essere ospedalizzati o sotto ossigenoterapia e presentare alto rischio di complicanze gravi che interferiscono nella risposta immunitaria. Stiamo parlando di obesità, diabete mellito, malattie cerebro e cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, insufficienza renale e stati di immunodeficienza dovuti anche a cure chemioterapiche o trapianti.
Sono i medici di medicina generale, i pediatri e gli specialisti delle Uscar sul territorio a selezionare i pazienti per l’uso degli anticorpi monoclonali. Potendo accedere alle cure solo pazienti non ospedalizzati, a fare la selezione possono essere solo “i medici che abbiano l’opportunità di entrare in contatto con pazienti affetti da Covid di recente insorgenza e con sintomi lievi-moderati e di indirizzarli rapidamente alla struttura presso la quale effettuare il trattamento”. Secondo quanto scritto sulla Gazzetta ufficiale del 6 febbraio, la somministrazione “deve avvenire nel rispetto dei criteri fissati dalla Commissione tecnico scientifica di Aifa”, la quale ha richiesto anche l’istituzione di “un registro dedicato all’uso appropriato e al monitoraggio dei medicinali a base di anticorpi monoclonali”. Inoltre i medici e gli altri operatori sanitari, “nell’ambito della propria attività, sono tenuti a segnalare, entro e non oltre le 36 ore, le sospette reazioni avverse dei medicinali utilizzati”.
“Gli anticorpi monoclonali prodotti da Eli Lilly e Regeneron, per i quali la Fda ha rilasciato un’autorizzazione per l’uso in emergenza, sono quelli attualmente più progrediti nello sviluppo clinico”, ha spiegato la Commissione Tecnico Scientifica dell’Agenzia Italiana del Farmaco. “I dati degli studi pubblicati indicano l’assenza di beneficio nei pazienti ospedalizzati con fase avanzata di malattia, mentre l’utilizzo in contesti più precoci è stato associato a una riduzione della carica virale con evidenze preliminari di riduzione del numero di ospedalizzazioni, visite e accessi in Pronto Soccorso”. Ma pur rilevando l’esistenza di prove di efficacia, “i dati sono ancora preliminari e c’è incertezza rispetto all’entità del beneficio offerto”. Gli esperti hanno comunque deciso che “in via straordinaria e in considerazione della situazione di emergenza, possa essere opportuno offrire comunque un’opzione terapeutica ai soggetti non ospedalizzati che, pur avendo una malattia lieve o moderata risultano ad alto rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19 con conseguente aumento delle probabilità di ospedalizzazione e morte. Si tratta, in particolare, di un setting a rischio per il quale attualmente non è disponibile alcun trattamento standard di provata efficacia”.
Insomma, meglio percorrere tutte le strade disponibili pur di non star fermi. “Si ribadisce tuttavia l’assoluta necessità di acquisire nuove evidenze scientifiche che consentano di stimare più chiaramente il valore clinico degli anticorpi e definire le popolazioni di pazienti che ne possano maggiormente beneficiare. In particolare, dal momento che tali farmaci non possono essere attualmente considerati uno standard di cura, la Commissione ritiene fondamentale sia la prosecuzione degli studi in corso sia l’avvio di nuovi studi clinici, anche comparativi. A tal fine si ritiene che gli studi indipendenti promossi dall’Agenzia con l’attuale bando potranno rappresentare un’utilissima fonte di ulteriori evidenze”.
Ci sono stati purtroppo diversi insuccessi: per esempio vecchi antivirali, ivermectina, colchicina, la combinazione azitromicina-idrossiclorochina non hanno retto alle verifiche di sperimentazioni rigorose sebbene avessero dato speranze in studi osservazionali limitati a poche decine o centinaia di soggetti.
E poi: “In realtà – prosegue – non è strano perché questi studi possono avere valore se generano ipotesi, ma le ipotesi però vanno poi verificate in studi prospettici rigorosi, altrimenti si rischia di dare tossicità ai pazienti. Serve cautela, ancora di più se queste sperimentazioni non vengono pubblicate da riviste scientifiche accreditate. Un altro caso paradigmatico è stato quelle del siero iperimmune sul quale il National Health Institute americano ha sospeso la sperimentazione nei pazienti ambulatoriali per mancanza di efficacia”.
Leggi anche: Decreto Covid: cosa cambia, niente zone gialle fino al 30 aprile
Infine proprio sugli anticorpi spiega:
Aspettiamo i risultati di sperimentazioni rigorose in proposito. Per gli anticorpi monoclonali la situazione è in divenire, ma le combinazioni di monoclonali sono già più di una promessa. Il sogno che tutti abbiamo è di disporre di una pillola come quelle per il virus Hiv, che riesca a tenere sotto controllo l’infezione, e ci sono composti in fase 2 di sperimentazione che ci danno motivi di speranza in questo senso. Se le cose andranno bene, per la fine dell’anno forse potremo avere un armamentario di strumenti studiati in protocolli seri fra i quali scegliere in base sia al paziente sia alla fase dell’infezione.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.