Brame & Brani, una preghiera al limite della blasfemia: «Fa dell’Amore il tuo obiettivo!»
Brame & Brani: L’analisi di “The power of love”, il brano del gruppo britannico dei Frankie Goes to Hollywood che si è formato a Liverpool nel 1980
Il Brano: The power of love
Il Gruppo: Frankie Goes to Hollywood, Liverpool, Regno Unito – 1980 – William Holly Johnson (voce), Paul Rutherford (voce, tastiera), Brian Nash (chitarra), Peter Gill (batteria), Mark O’Toole (basso).
L’Album: Welcome to the Pleasure dome
Data di uscita: Dicembre 1984
Casa discografica: ZTT Records
L’opera d’arte: L’assunta di Tiziano Vecellio – Venezia, Basilica dei Frari – 1516/1518.
Discoteca sul mare, le due del mattino, la musica si placa dopo ore di balli frenetici, uno stacco che ha il sapore del sublime, anche le luci da psichedeliche diventano soffuse quasi inesistenti. Inizia il silenzio e il buio, come prima d’innamorarsi. Sullo sfondo, oltre le siepi, a cingere la scogliera, le luci della città, riflesse sullo specchio d’acqua calma, e la luna, piena naturalmente. La notte profuma di oleandri, pitosforo e alghe: insieme al moto continuo delle onde, due raggi laser che squarciano il cielo nero annunciano The power of love.
La voce di Holly Johnson scuote e trafigge i corpi sudati che però si stringono. Estate del 1985, ancora in pista si ballano i lenti e si aspettano con una certa trepidazione, bramato epilogo di corteggiamenti fatti di sguardi e ammiccamenti ancheggianti. Forse non si comprendevano appieno le parole del testo, ma quella musica, sintetizzata che fosse, non aveva bisogno di traduzioni, arrivava dritto al cuore e lì è rimasta con i ricordi intorno.
Il gruppo britannico dei Frankie Goes to Hollywood si forma a Liverpool nel 1980 e presto si ricava un posto d’onore tra le band più popolari ma controverse. Un’ascesa al successo rapida, una vita breve ma intensa – la band si scioglie nel 1988 – costantemente permeata dall’intento di sorprendere, provocare e stupire anche ricorrendo, come nel caso di The power of love ad una delicatezza romantica a tratti sensuale che, a distanza di quasi quarant’anni, ancora emoziona.
Il panorama in cui s’impone è quello del postmoderno, e da questa tendenza afferra le qualità più efficaci: sonorità accattivanti e testi semplici. Le loro produzioni non si possono di certo catalogare e recludere limitandosi a considerare esclusivamente gli aspetti della pratica musicale: strettamente ancorati alla diffusione del genere synth-pop, una derivazione della musica new wave, emerso alla fine degli anni ’70, i Frankies incoronano il sintetizzatore come strumento musicale dominante negli anni ‘80, già presente comunque negli anni ’60 e nei primi anni ’70 nel rock progressivo dei Pink Floyd, Genesis, Emerson, Lake & Palmer ed altri, pilastro della musica elettronica, dell’art rock, della disco e in particolare nel krautrock (musica cosmica di derivazione tedesca).
Senza nulla togliere alle prodezze dei maestri estimatori degli strumenti musicali tradizionali che con le loro esecuzioni virtuose tanto hanno dato alle nostre orecchie, che davanti al “macchinico” storcono un po’ il naso, corre l’urgenza di arretrare rispetto a giudizi affrettati e critiche forse troppo discriminatorie, sforzandosi di tenere nella giusta considerazione il valore del popular. Proviamo a contestualizzare. L’intento dei FGTH (acronimo della band) non è solo quello di fare musica ma di servirsene per veicolare dei messaggi chiari e importanti, spesso in contraddizione con la morale comune: deve trattarsi di pezzi orecchiabili, facili, suadenti, costruiti per risuonare continuamente in ogni luogo.
Forse non è proprio un caso che Liverpool abbia dato i natali ai Beatles, se ancora volessimo provare che, in fatto d’innovazione e divulgazione di nuove culture, anche massificate, i paesi anglofoni sono stati da sempre più avanti di altri, generatori di fenomeni interessanti e destinati a lasciare il segno. Se poi si guarda ai videoclip che accompagnano brani come Relax, già per il testo censurato da radio e televisione per via degli espliciti riferimenti sessuali – scandalo che però ne agevolò il successo – emerge la deliberata e spudorata voglia di mettere in crisi determinati sistemi di valori, colti come prodotti di egemonie politiche e culturali. Nell’arte postmoderna questo di fatto accade: la massificazione viene “usata” rimanendo incastrata nelle sue stesse maglie, messa al servizio di un pensiero autoreferenziale, relativo, ribelle, che ha il gusto di sovvertire ogni assetto consolidato che sia morale perfino scientifico, con un atteggiamento d’irriverenza provocatoria e sprezzante.
Dal punto di vista estetico, se il modernismo ci aveva abituato alla ricerca spasmodica dell’originalità e alla volontà, a volte illusoria, di creare forme nuove, insolite, il postmodernismo concede il riciclo delle forme preesistenti, collage di elementi eterogenei, senza armonia stereotipata, in due parole “caos strutturato”.
I riferimenti all’arte del passato sono frequenti, sia nei dettagli stilistici che nel rigore compositivo. Ogni citazione anche colta è intrisa di ambiguità e ironia.
La musica pop agisce come una sorta di memoria collettiva restituendo nel tempo e senza particolari pretese, atmosfere condivisibili e indimenticabili.
Fra il 1984 e 1985 i tre singoli dei Frankie Goes to Hollywood Relax , Two Tribes e The power of love riempiono le classifiche italiane.
I tre brani contenuti nell’album del 1984 Welcome to the Pleasuredome, il primo del gruppo, realizzato con il fondamentale supporto degli effetti in studio del produttore Trevor Horn amalgama sonorità tipiche del funky, della disco-dance e del rock.
Il doppio 33 giri non ottenne consenso dalla critica che lo giudicava “leggero, di poco spessore” rispetto all’esuberanza e le potenzialità degli interpreti, ma scalò senza sforzi la top ten del Regno Unito prima e poi anche in Europa.
Ma torniamo a The power of love: il testo esorta a fare dell’Amore il proprio obiettivo identificandolo con l’unico mezzo per sconfiggere l’oscurità del male e purificare l’anima. Non manca l’accenno alla carnalità, al piacere e nello stesso tempo all’immortalità del sentimento, alla forza che dà a superare ogni tipo di avversità. Il videoclip che accompagna il brano evoca la nascita di Cristo, ed è per questo che spesso viene associato al Natale. Ma la cornice dorata dalla quale cantano i FGTH è un boccascena teatrale che marca, attraverso la rappresentazione dell’evento biblico, il senso dell’epifania: il Figlio di Dio è l’incarnazione dell’amore assoluto, dell’incomparabile sacrificio compiuto in nome dell’Amore. Per smorzare l’atmosfera ieratica e riportare il tema ad una dimensione umana interviene una citazione alla pop art del cartoon di Hanna & Barbera Le avventure di Penelope Pitstop. Il personaggio creato nel 1969 solitamente accostato alle mitiche Wacky Races (le Corse Pazze) è la più bella degli stravaganti piloti ma anche la protagonista assoluta di una serie animata. Penelope Pitstop è un’affascinante ragazzina che sta per incassare una straordinaria eredità. Il malvagio Artiglio Incappucciato, è il suo fedele maggiordomo pronto a tutto pur di farla fuori e intascare il lascito.
L’epilogo parlato del brano: “Ti proteggerò dall’artiglio incappucciato” risuona come un monito a diffidare da coloro che mascherano d’amore l’interesse e l’opportunismo, vampiri di sostanze e di affetto. Poi si adagia nella descrizione delle emozioni sentimentali e alla rassicurazione che comunque il sogno amoroso, intriso di bene, tiene a bada il male e illumina la vita.
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