Ultimo è la nostra Taylor Swift, e potrebbe superare Vasco

Se piace a così tanta gente vorrà dire che ha ragione lei. Lo abbiamo sentito dire a più riprese l’anno scorso, quando Taylor Swift radunava a sé un pubblico immenso, il suo tour il più ricco di incassi della storia, pur non essendo lei titolare agli orecchi dei più di canzoni così significative. Una specie di mistero, Taylor Swift, amatissima dai suoi milioni di fan, indecifrabile per tutti gli altri. Troppo normale per essere identificata come una popstar, o forse una popstar proprio perché è facile per il suo pubblico immedesimarsi con lei, vallo a capire. Di fatto un fenomeno assoluto di questi tempi, capace come nessun altro e nessun’altra di fidelizzare il proprio pubblico, di compattarlo al suo seguito, specie nei momenti difficili, quelli in cui qualcuno prova a portare un attacco dall’esterno. Oltre due miliardi di dollari, questa la cifra incassata da Taylor Swift per l’Eras Tour, lo dici e ti scende la mascella, come al bulldog che in Tom e Jerry è nemico giurato del gatto, gatto che non ho mai capito se sia Tom, appunto, o Jerry, e a dirla tutta il bulldog con la mascella calata non sono neanche sicuro fosse il nemico di quel gatto lì e non, piuttosto, di Silvestro, il nemico giurato di Titti.

Credo che pensare che numeri giganteschi attestino un valore artistico, al punto dal doverlo riconoscere anche senza riuscire in effetti a identificarlo, non sto parlando nello specifico di Taylor Swift, fenomeno cui non ho mai prestato troppa attenzione, parlo in generale, sia una emerita sciocchezza. Il successo, il riscontro da parte di un pubblico anche di massa, i numeri miliardari, si tratti di stream, di biglietti venduti, di soldi incassati, ecco, tutto questo afferisce al campo del mercato, quindi appunto di un successo commerciale che, sfido chiunque a provare il contrario, non necessariamente ha qualcosa a che fare col valore artistico di un determinato progetto musicale. Con questo, attenzione, non sto certo dicendo che avere un successo conclamato comporti non essere di talento o non avere un valore artistico, ripeto, solo che il successo e il valore artistico non necessariamente vanno di pari passo. Qualcuno potrebbe però tirare in ballo le emozioni, spesso usate come colpo alla nuca per uccidere ragionamenti e discussioni, se uno è in grado di emozionare milioni, miliardi di persone, evidentemente ha ragione, è un artista. Anche qui, riuscire a emozionare è indubbiamente parte del discorso artistico, seppur spesso ci si limita, nei ragionamenti da bar, a parlare di quelle emozioni che riguardino solo e esclusivamente il campo amoroso, i sentimenti che spesso immaginiamo dipinti di rosa spinto, come se la rabbia, l’odio, la paura non fossero a loro volta emozioni. Solo che esistono dei modi sicuri per emozionare, modi che sono così abusati che ormai difficilmente sono riportabili nell’alveo dell’arte. Non sta certo a me qui dirlo, è già stato detto allo sfinimento, ma ci sono dei percorsi sicuri che portano dritti dritti a toccare certe corde emotive, quasi degli automatismi, qualcosa di meccanico che porta da una azione alla corrispettiva reazione. Scorciatoie, che potremmo identificare con gusti facilmente riconoscibili al palato, coi quali è facile preparare piatti veloci, di scarso valore, ma che funzionano, verbo che non si dovrebbe mai poter usare parlando invece d’arte, proprio perché ci risultano familiari. Dai un morso e ti ritrovi in bocca qualcosa che conosci, che non fatichi affatto a sentire come a te vicino, poco conta che questo avviene perché ci si basa su sapori inerenti a ingredienti preconfezionati, che non prevedano variazioni e quindi variabili, ripeto, automatismi, meccanica. Un panino da fast-food, quindi, non esattamente il prodotto di più alta qualità, e neanche quello più sano a disposizione. Certo, qualcuno, sempre quel qualcuno, potrebbe alzare il ditino dicendo che una canzone, un cantante, non potrà mai essere nocivo come un panino da fast-food, forse ignorando come quelle scorciatoie tanto quell’abituarci a trovare soluzioni facili che non prevedano mai un eccessivo utilizzo di attenzione, così come quel linguaggio spesso banale e scontato, non fanno altro che indebolirci, analfabetizzarci, renderci in qualche modo meno pronti a affrontare la complessità che invece la vita continuerà a porci di fronte, la musica e le canzoni servirebbero anche per questo, so che può suonare un discorso strano.

Tornando quindi al fatto che se un artista o una artista ha un grande successo vuol dire che ha ragione, perché il pubblico l’ha in qualche modo affermato a gran voce, e lasciando da parte Taylor Swift, che ai miei occhi e orecchi appare come un perfetto prodotto pop, assolutamente ben confezionato, con suoni e parole che si sposano alla perfezione e che colpiscono al cuore esattamente una tipologia precisa di pubblico, di cui non faccio parte, direi che è il caso di parlare degli oltre duecentomila biglietti in un’ora da Ultimo per l’evento Il Concerto degli Ultimi che si terrà a Tor Vergata il 4 luglio dell’anno prossimo. Un record assoluto, fatto da un artista di soli ventinove anni che di record ne ha abbattuti già parecchi, coi suoi quarantadue stadi sold out riempiti negli ultimi anni, questo compreso. Qualcosa che, mi sembra che nessuno lo stia facendo, immagino per rispetto nei confronti di Vasco, chiama alla memoria il Modena Park del 2017, duecentoventimila persone al Parco Enzo Ferrari per festeggiare quarant’anni di carriera del rocker di Zocca, io c’ero, ho lavorato a quell’evento scrivendo due libri a quattro mani con lui, direi che mi posso permettere di indicare l’elefante nella stanza. Perché Vasco ci ha messo più di un’ora a vendere gli oltre duecentomila biglietti, e perché Vasco ci è arrivato nel 2017, lui che è del 1952, mentre Ultimo sembra davvero bruciare velocemente le tappe, per di più in assenza di quella spinta stampa che Vasco ormai da anni ha, non credo sia necessario rievocare lo sbrocco a Sanremo 2019, né le gag fatte a San Siro sulla tribuna stampa vuota, Ultimo macina numeri pazzeschi ma su questa roba sembra rosicare come un esordiente. O forse no. Forse è anche questo parte di un discorso che unifica un popolo, in questo Vasco è stato un maestro assoluto, gli altri, quelli di Siamo solo noi per lui, gli Ultimi per Ultimo, contrapposti al loro, gli altri, tutti gli altri. Anche Vasco aveva Nantas Salvalaggio che gli dava del drogato, certo, una sola firma, ma diventata per sua stessa volontà, sua di Vasco, iconica, avendolo citato in Vado al Massimo, il famoso “quel tale che scrive sul giornale”. Ultimo sembra aver appreso velocemente la lezione, come ha appreso la lezione di Fabrizio Moro, fratello maggiore che quei numeri non se li è mai neanche sognati, la rivendicazione delle proprio origine borgatare, il Parchetto di San Basilio, lo stesso dove oltre settemila fan hanno potuto vedere la diretta da San Siro, gratuitamente, e anche quella di Venditti, una romanità pre-a-porter, quasi un piatto di carbonara da mangiare in trattoria per dieci euro, lì alla portata di chiunque, alla faccia di Achille Lauro che per diventare qualcosa sbiaditamente del genere ci deve lavorare di gomito.

Ecco, io non capisco come Ultimo possa avere un successo del genere, lo dico, e lo dico sottolineando quanto io apprezzi i vaffanculo rivolti ai giornalisti musicali, sia chiaro, pratico anche io lo stesso sport, pur da altra posizione. Non lo capisco perché trovo le sue canzoni praticamente tutte uguali, stessa struttura, stesso piagnisteo di fondo, stesso romanticismo da fast-food, stesso modo di arrangiarle e di cantarle. Non che Ultimo sia il solo a fare qualcosa che sia raccontabile con un classico “fa sempre la stessa canzone”, ma è indubbiamente il solo che facendo sempre la stessa canzone ha un pubblico così ampio e fedele. Con grande distacco dal secondo in classifica. Dirò di più, se tanto mi da tanto, questo sarà il concerto di un singolo artista con più biglietti venduti al mondo, fatto che spingerà Vasco a provare poi a superarlo, nessuno mette in un angolo Vasco, e raggiungere un record del genere a ventinove anni è davvero qualcosa di sorprendente, soprattutto farlo così, senza dietro una major, senza la stampa dalla propria, senza bisogno di chissà quanti featuring, in canottiera e via discorrendo.

Non credo che questo comporti che, pur non capendolo, lo dico da critico musicale, io debba ammettere che il valore artistico di Ultimo è comunque presente, certo lui si scrive le canzoni da solo e lo fa al pianoforte, lui non usa l’autotune e in pratica da solo va contro tutte le mode del momento, ma continuo a pensare che siano canzonette senza particolare spessore, e non mi meraviglio del successo incontrato solo perché non ho mai pensato che la massa, i famosi grandi numeri, debbano per forza avere anche buoni gusti musicali. Mettiamola così, Ultimo è la nostra Taylor Swift, giusto un filo meno bionda e più di borgata, ma quelli, in fondo, sono dettagli.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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