Terremoto ginnastica, interviene anche l’allenatore di Marcell Jacobs

Ha parlato Paolo Camossi, allenatore del campione olimpico

Il terremoto che ha travolto la ginnastica ritmica e non solo, italiana, non ha precedenti. La vicenda ha coinvolto e toccato tutti e a ‘Open’ ha parlato l’allenatore di Marcell Jacobs, Paolo Camossi.

L’allenatore ha conosciuto il velocista italiano quando aveva solo 22 anni e in qualche modo l’ha formato e costruito. Oggi i due, a livello tecnico e non solo, sono “inseparabili”.

«L’agonismo – ha spiegato Camossi – viene dal termine greco agone che vuol dire lotta. E lottare per un obiettivo deve essere una libera scelta dell’atleta. Lo sport è di tutti, ma non è per tutti. C’è una parte che garantisce il benessere fisico, che contribuisce al buono stato di salute di ogni essere umano. E poi c’è l’agonismo puro. E l’approccio nell’agonismo pure è lo stesso di chi vuole laurearsi con 110 e lode. Di chi vuole eccellere nel suo lavoro. Se il presupposto della libera scelta si rispetta, se l’obiettivo della medaglia è lo stesso per l’atleta e per l’allenatore allora niente è considerabile sacrificio».

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Poi sul ruolo dell’allenatore e sulla questione del controllo del peso si sofferma e spiega:

«La pesa quotidiana o altre pratiche che ho sentito raccontare in questo giorni credo siano del tutto inutili. Sia in quegli sport in cui il peso è un fattore che conta di più di altri, come la ginnastica o la danza, sia riferendosi ad altri parametri, come può essere quello dell’alimentazione sana per chi corre o del riposo, altrettanto fondamentale per atleti come Marcell. Non è mai giustificato e soprattutto utile agli obiettivi adottare un approccio di questo tipo, che ritengo appartenere alla categoria della violenza psicologica. Ma questa è una consapevolezza che bisogna pretendere dagli allenatori, soprattutto se ci si confronta con atleti molto giovani, che spesso cadono quasi in una sorta di sudditanza nei confronti di chi gli promette grandi traguardi».

E sul caso ginnastica, se l’età delle atlete, abbia in qualche modo influito, spiega.

«L’agonismo precoce è un ambito dello sport molto delicato che ha bisogno di figure che conoscono benissimo gli aspetti di quella precisa età e che quindi agiscono di conseguenza. Ma la ricerca del risultato da parte dell’allenatore talvolta può portare a spingere gli atleti su un campo che non li trova ancora pronti. Non dimentichiamoci anche che un po’ tutti gli atleti che arrivano a traguardi altissimi sviluppano quasi un’ossessione per il proprio sport, una condizione che soprattutto in giovane età bisogna saper gestire da parte di chi ha più esperienza. Su questo ci sono dei modelli nel mondo da cui poter imparare».

Infine chiarisce: «Ma vorrei non passasse il messaggio che fare sport sia un pericolo. Non è un caso se in molti paesi anglofoni d’oltreoceano spesso e volentieri le persone che hanno fatto sport anche a buon livello vengono presa nelle migliori aziende perché hanno imparato a darsi da fare, a compiere delle scelte e soprattutto a crearsi obiettivi»

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