Sviscerando Viscerale di Mezzosangue

Ho scoperto solo di recente cosa si intenda per “a peso morto”. Non è ovviamente vero in senso generale, so credo da un numero piuttosto ingente di anni cosa significa “a peso morto”, ma non mi ero mai interrogato sul perché in effetti il “peso morto” fosse più consistente dell’altro peso. Altro peso che non si chiama “a peso vivo”, per inciso, ma peso e basta, credo. Come non si dice sono mezzo vivo”, per raccontare la versione ottimista dell’essere “mezzo morto”. Un modo più sintetico per dire “a peso morto” è “inerte”. Inerte deriva dal latino, dove la in iniziale nega la seconda parte della parola, come in inattivo, inoperoso, insospettabile, per intendersi, e erte deriva da ars, che nello specifico è la radice di arte come di attività, quindi significa sia senza attività, morto, che, senza arte, fate voi. Arte e vita, un’anima divisa in due, come in quel brutto film di Soldini.

Vabbeh, mi sto perdendo in sofismi. Ho scoperto solo di recente cosa si intenda per “a peso morto”, e credo di averlo fatto guardando come spesso capita distrattamente una serie tv, essendo visione distratta non ho ovviamente memoria di quale serie si tratti. In sostanza, quando una persona è priva di sensi, o morta, risulta più pesante a chi la volesse spostare o trasportare, faccio un esempio, concreto, perché non farà alcun ricorso ai propri muscoli per distribuire il proprio peso lungo tutto il corpo, così che risulterà assolutamente più pesante. Immagino vi sarà forse capitato di trasportare un corpo inerte e rendervene conto, altrimenti vi toccherà come sempre fidarvi di chi scrive, che questa esperienza ha fatto. Del resto, la nota faccenda che siamo fatti per oltre il 70% d’acqua, avrete visto qualche immagine generata col computer o da un grafico che mostra un corpo umano trasparente, una sorta di Dr Manhattan di The Watchmen, dove l’acqua è visibile al suo interno, laddove invece si trovano organi, ossa, muscoli e tutto il resto, ecco, la nota faccenda che siamo fatti per oltre il 70% di acqua potrebbe indurci in errore, perché nei fatti un corpo morto è davvero pesante da spostare, e chi è spettatore abituale di un qualsiasi medical drama, da Grey’s Anatomy a New Amsterdam, ben sa come il corpo sia infarcito di un sacco di cose, non è che quando aprono qualcuno per un intervento d’urgenza immergano le mani in una bacinella, semmai affondano nel sangue, nelle ossa, negli intestini, arrivano a prendere un cuore non più pulsante in mano cercando di rianimarlo stringendolo con vigore ma attenti a non romperlo. Infatti esiste un verbo, verbo assai poco di uso comune, eviscerare, che parla appunto di ripulire un corpo dalle viscere, tutto quello cioè che si trova nel corpo, le viscere, anche se è un verbo generalmente applicato agli animali, e non alle persone. Le viscere, però, ce le abbiamo anche noi, e sono dense, tortuose, piene di anse e di curve, al punto che se vogliamo studiare a fondo una faccenda diciamo che “vogliamo sviscerare”, lasciando intendere che sarà una faccenda complessa, come un aggirarsi per i vicoli stretti di certi borghi italiani, che ci passi, li ammiri, e ti chiedi come cavolo avranno fatto a portare lì i mobili al momento del trasloco.

Viscere, quindi, da cui deriva l’aggettivo viscerale, atto a indicare qualcosa che nelle viscere affonda, trova asilo, lontano dalla razionalità, ma profondamente, come le viscere, sentito.

Viscerale è il titolo del quarto disco, uso un’altra parola del passato, di Mezzosangue, talentuosissimo e spigoloso rapper romano, da qualche tempo romano di nascita ma non di residenza. Un lavoro che ce lo rilegala, diciamo così, in ottima forma, dove per ottima forma non ci si deve aspettare qualcosa di pimpante, è di Mezzosangue che stiamo parlando, ma di potente e a suo modo scontroso, viscerale appunto. Il tutto in bocca a un artista che è sempre stato così, sin dai suoi esordi, ormai tredici anni fa, lui che di anni ne ha trentaquattro, dove però una componente razionale ha sempre avuto un peso specifico, vivo, piuttosto forte. Fin qui, infatti, Mezzosangue, che di nome fa Luca e il cui volto è storicamente sempre coperto in pubblico da un passamontagna, fatto che indubbiamente ha inizialmente contribuito a farlo emergere, per la nota questione dell’essere notato di più se posto in ombra, raccontata perfettamente da Sorrentino in The Young Pope, parlare di papi di questi giorni è forse scontato, ma anche mainstream, ma che alla lunga sembra quasi averlo un po’ annoiato. Lo incontro negli uffici della Sony, in una rara giornata primaverile, rara perché la primavera arriva ma sembra non voler mai rimanere troppo a lungo. Due ore e mezzo di chiacchierata, ovviamente senza maschera e senza maschere, frastagliata da ripetuti cambi di location, immagino naturali quando si opta per una vita da indipendente, il momento in cui decidiamo finalmente di metterci seduti fuori, comodamente seduti a un tavolo appartato nel cortile della major, la saletta dove stavamo chiacchierando occupata da tale Drefgold, uno dei più bizzarri di sempre.

Nella nostra chiacchierata, che qui non vedrete riportata per due precisi motivi, è impensabile riportare una chiacchierata di due ore e mezzo in un unico pezzo, non sono uno che riporta chiacchierate coi virgolettati almeno dal 2005, venti anni precisi quest’anno, abbiamo parlato di così tante cose che difficilmente credo di aver affrontato nel corso di almeno una ventina di interviste prima di questa, a partire dalla schematicità delle città contemporanee, quelle da cui Mezzosangue è scappato di recente dopo una vita passata dentro un appartamento in un palazzo, un appartamento angusto dentro un palazzo squadrato, come tutti i palazzi, gli schemi geometrici precisi che l’uomo ha deciso di applicare alle città, contravvenendo al disordine e alle curve ma anche agli spigoli della natura uno dei motivi del nostro disordine interiore, dice, e anche del nostro modo di vivere a fatica. Ecco, siamo partiti proprio da qui, io incuriosito dalla foto di copertina di Viscerale, che ce lo mostra seduto, di spalle, quindi il volto non coperto dalla maschera sempre invisibile agli occhi, di fronte a un panorama bucolico, la campagna fuori Roma che sarebbe anche potuto essere lo Hampshire di Jane Austen, medesime inquietudini seppur raccontate con stili diversi. Voler abbattere quella schematicità lineare tipica delle città, e Mezzosangue viveva a Roma, intendiamoci, non a Torino, è stato un passo necessario, perché, questo un tema molto caro a Mezzosangue, e non certo da oggi, il non volersi assoggettare a una vita che tende di suo a incasellarci, noi a flaggare di volta in volta quel che gli altri si aspettano che noi si faccia, come topini da laboratorio dentro un labirinto, premio finale una scarica di piacere dovuta alla gratificazione che il nostro cervello, educato a questo, ci fornisce gentilmente. La dopamina, ne parlavo giorni fa, ricordate (qui https://361magazine.com/davide-amati-il-casatiello-mutonia-e-la-dopamina-un-viaggio-delirante/), uno dei tanti temi affrontati, il nostro povero cervello, composto anch’esso probabilmente al 70% d’acqua, ma tangibile a mano nuda, se uno potesse affondare le mani dentro il cranio, a allestire quel teatrino per ripagarci di una vita contronatura, fatta di gesti incomprensibili al nostro nascere animali, fai un gesto anche di routine e il cervello ci gratifica con la dopamina, medaglia sul petto pari alla caccia per un predatore. Di qui a parlare di come chi muove i fili del mondo, ma non aspettatevi nulla che potreste sentire in una diretta di Red Ronnie, attenzione, ci sia stata la volontà di creare un luogo dove quella gratificazione fosse schematizzata e pronta all’uso come i social, i Like a diventare la crocchetta per il cane di Pavlov, dubito che ci fossero crocchette in quell’esperimento ma avete capito benissimo, in una quotidianità semplificata dove tra noi e il diventare semplici pedine è davvero questione di attimi. C’è una canzone in Viscerale, che come disco di rottura in una discografia, quella di Mezzosangue, che andrebbe ripassata ogni tot giorni tanti sono gli elementi che ci fornisce per decifrare la contemporaneità, è un disco senza un vero fil rouge, un non-concept in mezzo a fratelli concept, c’è una canzone in Viscerale, dicevo, Merge et libera, che in qualche modo è la vera lettura perfetta dei giorni nostri. Ma essendo Mezzosangue uno che per sua natura, nonostante lo spostamento dalla città alla campagna, la volontà quindi disintossicarsi da quella linearità razionale imposta e atta a tenerci costantemente dentro le caselle, resta pur sempre uno forte nei tackle, pronto a entrare in scivolata sul nostro quieto vivere sbattendoci a terra, la voce profonda, cupa, assai poco bucolica, il linguaggio preciso di chi conosce come il topino di Kung Fu Panda che punti toccare per ucciderci, dopo averci paralizzati, lo fa prendendo come mirino con cui colpire il mondo l’evoluzione/involuzione del rapporto uomo donna, gli ultimi quarant’anni circa come campo di gioco. Uno scenario di divisione, dove la donna oggetto, questo in parole povere quel che lì è narrato con parole ricche, è divenuta donna al centro della scena, contrapposta all’uomo veicolo di patriarcato, oggi indebolito e spaventato. Un racconto che potrebbe far inarcare il sopracciglio a una femminista distratta, non fosse che il racconto non è certo atto a colpire le donne, semmai a sottolineare come lo storytelling cui siamo sottoposti altro non sia che l’ennesimo esempio di “divide et impera”, mica per niente in auge da millenni. Il politicamente corretto, del resto, non è parte di quel panorama bucolico che oggi si trova di fronte allo sguardo di Mezzosangue, pur con un dilemma che il nostro sembra non solo non aver risolto, ma non essere neanche in procinto di risolvere, argomento che nelle due ore e mezzo di chiacchierata è corso e ricorso, come certe battute nei programmi comici televisivi. La possibilità, volontà o capacità di trovarsi nel mainstream essendo se stessi, questo il dilemma. Il fare cioè i conti con l’essere dentro un flusso, forse, ma non essere al tempo stesso esattamente nel flusso, più a lato che dentro, pur volendo provare a esserci, perché il non esserci forse significa non aver trovato la formula per esserci, questo nonostante nel mentre il flusso sia diventato verbo ufficiale, diffuso, onnicomprensivo. Un discorso delicato, questo, da fare con un artista, perché la necessità, non si sta certo parlando di numeri, intendiamoci, di essere capito da e quindi di arrivare a comunicare con un numero sempre più ampio di persone, persone cui si vuole trasferire il proprio punto di vista non per narcisismo, figuriamoci, narcisi sotto una maschera, o per opportunismo, essere altrove oggi è per Mezzosangue parte della sua quotidianità, un paio di vicini neanche troppo vicini, frazione di un comune di provincia, quanto per necessità vitale, viscerale, di chi sa qualcosa e non può non dirla, e non dirla al numero più ampio di persone. Metterci la faccia, anche non mettendoci la faccia, seppur non metterci più il non metterci la faccia, parere mio, oggi, sarebbe un errore, un omologarsi e aderire a quelle linee regolari, schematiche delle nostre città. Un non voler essere come un Funko Pop, un Action Figure, quando ci siamo incontrati erano i giorni nei quali si era appunto appena passati da Studio Ghibli a Action Figure, tutti in fila indiana (di questo parlavo qui https://361magazine.com/black-mirror-7-action-figures-studio-ghibli-siamo-sicuri-che-le-apparenze-ingannino/), esattamente il contrario di quel che natura ci ha dato in dotazione, rughe, cicatrici, viscere e affini. Tutto il contrario di un Funko Pop, lì a dirci senza paura di dircelo, non fatevi fregare dalla voce profonda, questi sono versi di puro amore: “Senza il coraggio di dire quello che pensiamo, finiremo a pensare solo quello che non fa paura dire”. Se non è un atto d’amore e libertà questo, dimmelo tu cos’è.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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