Speciale Giochi Olimpici di Parigi: Vanity celebra lo sport come riscatto

Un numero dedicato ai Giochi Olimpici di Parigi

Questo numero di Vanity Fair esplora l’importanza della tutela della diversità attraverso una serie di storie ispiratrici. Con l’avvicinarsi dei Giochi di Parigi 2024, la rivista mette in evidenza come lo sport possa promuovere inclusione e uguaglianza. In copertina, nove atleti olimpici e paralimpici raccontano il loro percorso di riscatto e crescita personale.

Tra questi, Ambra Sabatini, che ha trasformato l’amputazione della gamba in una sfida da vincere; Irma Testa, che ha trovato nella boxe una via d’uscita dalle difficoltà e un mezzo per affermare la propria omosessualità; e Zaynab Dosso, che lotta per l’uguaglianza economica e visibilità delle atlete.

Sul sito di Vanity Fair sono disponibili interviste e il podcast “Olympic Stories”, che approfondiscono le storie degli atleti e il significato dei Giochi. Il direttore Simone Marchetti invita i lettori a riconoscere i propri privilegi e a sviluppare empatia verso chi non li possiede.

Vanity Fair continua il suo impegno per la diversità anche online, condividendo testimonianze di artisti e attivisti sui valori dell’identità e della gratitudine sui propri profili social.

Le dichiarazioni

Ambra Sabatini, 22 anni, campionessa paralimpica di atletica: «Quando mi hanno detto che avevo subito l’amputazione, ho pensato a una sola cosa: tornare a correre. È stata la mia passione per il mezzofondo e per lo sport in generale a darmi lo slancio di andare avanti. Quando non avevo ancora la protesi da corsa, ho iniziato ad andare in bici e a nuotare. Da subito sapevo che qualcosa mi sarei inventata, non sarei stata ferma».

 

Irma Testa, 26 anni, bronzo olimpico nella boxe: «Quando sei omosessuale le occhiatacce le senti sempre. Non nel mondo sportivo che è molto aperto, anche se per gli atleti fare coming out è complicato. Le discriminazioni le vivi di più nella società dove avverti ancora oggi i pregiudizi. Magari un uomo che ti dice: “Ah è perché non hai ancora provato con me”».

 

Zaynab Dosso, 24 anni, velocista: «Da ragazzina battevo i maschi e vincevo sempre nei campionati di categoria. Negli assoluti facevo quarta o quinta e questi risultati mi hanno salvata dal fare baldoria e saltare gli allenamenti attorno ai 16-17 anni. Ho capito che poteva diventare il mio lavoro, un lavoro che è un privilegio perché non tutti hanno la fortuna di fare della propria passione un lavoro, anche se impegnativo. vedo mia madre che si sveglia tutti i giorni alle 5 del mattino per fare il suo lavoro, un lavoro vero, ma non la sua passione».

 

Tommaso Marini, 24 anni, campione di fioretto: «Dopo i Giochi di Tokyo, dove ero riserva, avevo un’estrema voglia di dimostrare a tutti che potevo gareggiare alle Olimpiadi, che avrei potuto dare una mano. La fretta, mista alla preoccupazione per i risultati, non mi ha fatto stare bene, ho pensato che quella non fosse la mia strada. Sentivo troppa pesantezza, non mi divertivo più, così ho confidato ai miei genitori l’idea di smettere. Poi invece ho deciso di darmi un’ultima possibilità, provare a vivere una gara in maniera differente, cercando di divertirmi senza troppe aspettative. È andata bene».

Eleonora De Paolis, 38 anni, canoista paralimpica: «La canoa mi dà un senso di libertà per il semplice motivo che nel momento in cui io salgo su una canoa lascio la sedia lì dove è sul pontile. È l’unico momento, in realtà, in cui mi stacco dalla sedia perché solitamente ci sono sopra, tranne quando vado a dormire che ce l’ho accanto al letto oppure quando entro in macchina, ma ce l’ha sempre dietro, è sempre lì con me. Invece quando vado agli allenamenti e salgo in canoa, è proprio l’unica occasione in cui io mi distacco dalla sedia in tranquillità e in sicurezza. In più quando sono in canoa riesco a fare tutto quello che fanno gli altri senza dover pensare al percorso».

 

Anna Barbaro e Charlotte Bonin, 39 e 37 anni, triatlete paralimpiche: «La prima barriera architettonica è la paura di ciò che non si conosce. Più le persone ci vedono e ci conoscono, meno sarà la paura del diverso».

 

Simone Barlaam, 23 anni, campione paralimpico di nuoto: «La mia “gambetta” ha fatto di me quello che sono. È la mia parte più debole, ma anche la più forte. Ringrazio chi ha creduto in me, prima ancora che ci credessi io».

 

Nicola Bartolini, 28 anni, ginnasta: «A lungo mi sono appoggiato soprattutto al talento: le cose mi vengono facili, imparo in fretta. Quando ho dovuto recuperare la forma dopo un brutto infortunio, però, ho capito che il talento non basta. Con quello arrivi fino a pagina 11, la fine del libro la fa il duro lavoro».

 

Alessandra Chillemi, 24 anni, campionessa di breaking: «Nel corso degli anni me ne hanno dette di tutti i colori, non le persone all’interno della scena, ma chi stava fuori. Era inusuale che una bambina di sei anni si allenasse alla stazione con i ragazzini. Mi chiamavano “maschiaccio”, ma io non li ho mai ascoltati più di tanto, anzi, ho sempre cercato di coinvolgere altre ragazze: il breaking è libertà, è un mezzo per esprimere il proprio stile e le proprie qualità, fisiche e caratteriali. Quando ho iniziato io in Italia eravamo circa cinque, sei ragazze, adesso in una gara nazionale.

Ph. credit: Toiletpaper – Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari

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