Sanremo, l’indagine sui titoli, parla Michele Bovi: “Aspettiamoci accuse di plagio”

L’esperto di  diritto d’autore, Michele Bovi, ha condotto un’indagine sui titoli dei brani in gara alla 71esima edizione del Festival

Sanremo aprirà i battenti dal 2 al 6 marzo e da un’indagine portata avanti da Michele Bovi, esperto di diritto d’autore, risulterebbero decine o centinaia di titoli uguali ai precedenti. L’indagine è stata condotta oltre che da Bovi, autore anche del libro ‘Ladri di canzoni’ (Hoepli editore)  da Grazia De Santis.

L’indagine è stata anticipata da Adnkronos. L’esperto spiega: “Il Festival di Sanremo resta il più oggettivo strumento di valutazione dello stato della creatività musicale degli autori italiani. Dopo 70 anni di canzoni orecchiabili diventa sempre più arduo comporre una melodia capace di sorprendere per originalità: aspettiamoci nuove accuse di plagio per l’edizione 2021”.

E ancora, Bovi dice: “Il canone del copia-copia – chiarisce Michele Bovi – vale invece per ‘Ora’, il brano di Aiello. Adottò questo titolo nel 1966 Bruno Martino per il motivo iniziale del varietà televisivo ‘Aria condizionata’, poi surclassato dalla popolarità della sigla finale ‘Se telefonando’ di Mina; dopo Martino incisero canzoni intitolate ‘Ora’ Eros Ramazzotti (1985), Dora Moroni (1986), i jazzisti Giorgio Gaslini (1988) e Avishai Cohen (1998), Ludovico Einaudi (2004), Chiara Civello (2005), il gruppo Dirotta su Cuba (2005), Jovanotti (2011) e per ultimo Gigi D’Alessio che ha intitolato ‘Ora’ il brano guida del suo album del 2013. Idem per ‘Voce’ di Madame: Bungaro cantò ‘Voce’ nel 2012 e Lara Fabian si esibì con lo stesso titolo al Festival di Sanremo 2015 e un anno dopo un’altra ‘Voce’ emerse dall’album di Arisa. Anche ‘Parlami’, titolo del brano di Fasma, conta diverse decine di precedenti, alcuni illustri come ‘Parlami’ di Peppino Gagliardi del 1972, seguito da incisioni con identico titolo di Anna Oxa (1985), Laura Pausini (2004), Marco Carta (2012), Lorenzo Fragola (2016)”.

Bovi si è confrontato con due esperti di diritto d’autore, ecco cosa dicono sulla questione sollevata da Bovi:  “Il titolo serve proprio per differenziare un’opera dalle altre, se più opere sono identificate con lo stesso titolo si crea una confusione – chiarisce l’avvocato Giorgio Assumma, ex presidente della Siae – Chi può ribellarsi all’uso di un titolo? L’autore dell’opera originaria o i suoi parenti o i suoi eredi. E questa reazione può avvenire anche quando l’opera non è tutelata e quando è caduta in pubblico dominio perché essa continua a esistere senza limitazioni di tempo. Spesso accade che non venga impugnato l’utilizzo di titoli successivi al primo, perché non ci sono più i parenti legittimati ad agire. In tal caso nell’interesse pubblico è il ministero dei Beni Culturali che può fare un’azione presso il magistrato affinché la seconda opera non sia intitolata come la prima, proprio perché è interesse della collettività distinguere le varie opere anche se non più protette”.

L’avvocato Gianpietro Quiriconi spiega che la Siae dovrebbe rifiutarli: “I titoli simili sono confondibili e la Siae dovrebbe rifiutarli innanzitutto per il rispetto dovuto alla proprietà intellettuale che secondo me è la più sacra delle proprietà – dice l’avvocato – e poi perché alla confusione consegue la possibilità del drenaggio dei profitti da opere celebri e altamente remunerate a composizioni modeste con lo stesso titolo. Quando un tempo nei locali da ballo si compilavano i borderò per la Siae alcuni capi orchestra inserivano propri lavori titolati come canzoni famose per sfruttare l’equivoco. Il titolo andrebbe considerato come segno distintivo non soltanto dell’opera dell’ingegno ma anche di un prodotto aziendale in quanto bene economico. Pertanto un titolo che imita servilmente il segno distintivo di un prodotto altrui andrebbe considerato in base allo stesso principio giuridico di un illecito civile per concorrenza sleale“.

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