Samantha Cristoforetti in copertina sul numero di fine anno di Vanity Fair

E’ Samantha Cristoforetti la protagonista dell’ultimo numero dell’anno di Vanity Fair

«È strano, a quell’altezza, viaggiando a 28.000 chilometri all’ora, ti accorgi che non è importante dove sei o dove stai andando, ma con chi sei e con chi stai andando. Nello spazio è tutto maestoso e lento. Ma è dalla Terra che viene la felicità».

 

Milano, 20 dicembre 2022 –  È tornata sulla Terra dopo 200 giorni nello spazio. Samantha Cristoforetti, la prima astronauta italiana ed europea a diventare comandante della ISS, la Stazione spaziale internazionale e una degli astronauti più celebri del nostro tempo, si racconta a Vanity Fair intervistata dal direttore Simone Marchetti, con cui ha parlato della sua vita «senza confini»: dalla sua ultima missione alla passeggiata spaziale (in realtà, spiega, si fa con le mani), la paura, i suoi genitori, i figli, TikTok, l’importanza del rapporto umano per gli astronauti e i Terrapiattisti. Chi è, che cosa cerca nello spazio infinito (la sua valle sulle Alpi, per esempio) e che cosa si prova  a viaggiare a 28 mila km all’ora e atterrare «in una palla di fuoco».

 

Ha mai avuto paura lassù?

«No. O meglio, una sola volta. La sera prima della passeggiata spaziale, fuori dalla stazione, qualche pensiero me lo sono fatto. Ma non era paura. Piuttosto la consapevolezza di correre un rischio significativamente più grande di quello a bordo».

 

Com’è camminare nello spazio?

«Beh, intanto non si cammina ma ci si muove con le mani. Tutti parliamo di camminata spaziale, ma sono le mani a farti muovere. Diciamo che si provano due sensazioni opposte. La prima è famigliare ed è data dall’odore della tuta spaziale: ti ci addestri per anni e il suo odore ti regala una sensazione di memoria, sensazione amplificata dal fatto che tutti i rumori e i suoni vengono attutiti. (…) L’altra sensazione è quella del pericolo e della relativa attenzione che devi prestare nel muoverti: il rischio più grosso, infatti, è staccarsi dalla stazione. La tuta americana è dotata di un cavo che ti tiene sempre ancorata. Quella russa, invece, che ho usato io, funziona come una via ferrata e sta a te staccarti e attaccarti a ogni movimento».

 

Cosa si prova ad ammirare la Terra e lo spazio profondo?

«Quando ci hanno chiesto di rientrare, dopo circa sette ore, il mio collega sembrava quasi non voler terminare l’uscita. Ci siamo trattenuti per un tempo che mi è sembrato infinito, forse 15 minuti. E lì non avevo più nulla da fare e mi sono davvero goduta tutta quella bellezza».

Il suo curriculum, parla chiaro: passione, dedizione, scelte, promozioni, crescite…

«Lo sa, spesso le persone guardano il mio curriculum e pensano: chissà quanti sacrifici, quanta sofferenza! In realtà ho sempre fatto quello che istintivamente mi veniva di fare, quello che mi faceva stare bene. Ho una personalità che sente il bisogno di cercare nuove sfide, di fare esperienze nuove. Quindi non ci sono motivi segreti o sacrifici estremi: sono fatta così. Per stare bene, ho dovuto fare quello che ho fatto».

 

A chi deve dire grazie?

«(…) In primis ai miei genitori. Per le opportunità che mi hanno dato. E per il dono della libertà di pensare al mio futuro. Sono cresciuta in un piccolo paese di montagna e loro due avevano un albergo. Il che vuol dire, nella maggior parte dei casi, avere una vita segnata da albergatore. Sarò loro grata per sempre. (…)».

 

È la prima donna europea a capo di una stazione spaziale. Cosa pensa dei progressi delle donne nei ruoli di potere?

«È una domanda difficile. Perché generalizzare non è giusto visto che ci sono diversi Paesi con diversi gradi di progresso. Però se penso a com’era la situazione femminile due generazioni fa, allora avverto un cambiamento positivo. Poi, ovvio, se si compara tutto con una situazione realmente egualitaria, allora siamo lontani. È la vecchia storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto».

 

Sua figlia oggi ha sei anni. Cosa pensa della mamma nello spazio?

«È tutto normale per lei, ci è cresciuta con una mamma che fa questo lavoro. Penso che poi abbia preso veramente coscienza del mio ruolo dai discorsi sentiti all’asilo. In quel momento ha iniziato a processare che c’era qualcosa fuori dal comune. Mentre ero in missione, ho voluto fare un piccolo collegamento con la sua scuola. All’inizio ho esitato perché non mi andava di metterla così al centro dell’attenzione. Però è andato tutto bene».

 

Quali sono i suoi eroi, i suoi punti di riferimento oggi?

«Guardi, io non credo negli eroi. Ho sempre avuto molta consapevolezza che i miei punti di riferimento fossero le persone che conosco veramente bene. Il rischio delle persone che non conosci bene, esattamente come nel mio caso, è che la comunicazione che li circonda li fa diventare bidimensionali. Mentre le vite sono sempre più complesse di quello che appare: ci sono luci e ombre e infinite altre varianti».

 

Com’è sapere nello Spazio che sulla Terra c’è chi pensa che il globo sia piatto?

«È un fenomeno interessante. E non ho una risposta. Non è un problema scientifico, perché la forma della Terra è una questione risolta. È invece un problema di scienza sociale che non ha per forza a che fare con una mancanza di conoscenza ma forse con un desiderio di identità, di appartenere a una certa comunità di pensiero. E non è questione di intelligenza: a me è capitato di avere conversazioni bizzarre su questi temi con persone che erano magari molto competenti in altri campi».

 

Dalla stazione ha mai cercato il suo paese d’origine?

«Sempre».

 

E l’ha trovato?

«L’Italia non bisogna nemmeno cercarla. È uno dei luoghi più facili da trovare. Dopo un po’ di tempo, era diventato facile anche trovare le Alpi e poi riconoscere la mia valle».

 

Com’è stato, invece, il viaggio di rientro dalla Stazione alla Terra?

«Intenso. E più intenso del lancio perché vieni da sei mesi in assenza di peso. (…) Quando arrivi a 1G, ovvero al tuo peso normale sulla Terra, a te invece sembra di pesare come un elefante. E non è certo finita qui perché arriva l’attraversamento del plasma. In questo momento, quando guardi fuori dalla finestra vedi fiamme, e ti accorgi di stare in una palla di fuoco. Poi si apre il paracadute e inizia una discesa tranquilla per alcuni minuti. Infine, puoi atterrare sulla terra o sull’acqua. Io sono atterrata sull’acqua, dove c’erano onde significative, vicine ai limiti di certificazione del veicolo.. Ovviamente si prendono farmaci anti nausea per sopportare tutto questo».

 

Ha mai fatto qualche errore?

Ho letto tantissima fantascienza e alla famosa domanda “Cosa faresti se dovessi tornare indietro nel tempo”, bene, ecco, cambiare la linea temporale è sempre un azzardo, magari le cose non andrebbero come sono andate e vai a capire che cosa succederebbe! Alla fine, guardando alla mia vita, sono felice di tutto quello che è successo. Perché la mia vita non è altro che il prodotto delle scelte che mi sembravano giuste».

L’intervista completa è sul n. 1 in edicola dal 21 dicembre 2022.

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