Roberto Saviano e la perdita della zia Lalla: «Come una madre»

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Il ricordo dello scrittore

Lo scrittore Roberto Saviano in una lunga intervista a Corriere ha aperto il suo cuore parlando della zia Lalla, ovvero Silvana.

«Non si era sposata e aveva insieme a sua sorella — mia madre — scelto di accudirmi. Aveva quindi scelto me e mio fratello come figli: non le eravamo capitati. Tutto ciò che sono porta la sua traccia, tutto ciò che non sarò mai più è segnato dalla sua assenza».

Poi Saviano: «Mi ha rimpinzato di frullati, mi ha lavato e disinfettato le sbucciature; mi ha insegnato a rompere le uova di cioccolato con un pugno. Abbiamo costruito imperi di Lego, collezionato insieme le squadre di Subbuteo».

Lo scrittore racconta come la zia gli abbia insegnato tanto. «Un’etica rigorosa, a volte severa, ma che non voleva imporre a nessuno. Era la sua, e la praticava soltanto su sé stessa. Aveva rifiutato di lavorare in banca e persino di sposarsi, per non dover cedere ad altri alcun potere su di sé. Era lei, il suo spazio, la sua vita, che aveva voluto trascorrere con noi, in una dinamica che accade in molte famiglie italiane: due sorelle che diventano due madri per i nipoti. Io sono stato allevato così».

Saviano ha anche raccontato come la zia abbia preso le sue scelte di vita.

«Non era mai riuscita davvero, dentro di sé, a comprendere quello che mi era capitato, né perché avessi deciso di finirci in mezzo: camorra e processi, minacce e accuse politiche. Non voleva troppo indagare nel mio animo; ha sofferto in silenzio, come tutta la mia famiglia, travolta da ciò che mi era accaduto. Ero solo un ragazzo, e tutto è andato in pezzi. Sono andate via da Caserta lei e mia madre, dove vivevano: pressioni, illazioni, dossier. Tutto veniva setacciato per trovare un appiglio contro di me, ma loro, di rigorosissima famiglia ligure, non offrivano nulla. Eppure pativano il vedermi bersaglio».

Infine, «Addio Zia Silvana, madre amata. Non sono stato capace di trovare parole che riuscissero davvero a incontrarti nel profondo, perché non erano le parole che volevi da me. Tutti pretendevano le mie parole, non tu. Noi ci trovavamo nei silenzi, fissandoci negli occhi, mangiando insieme, vedendo la tua smorfia per un mio vestito sbrindellato: smorfia sorniona identica a quella che ho ritrovato sul tuo volto poco fa, l’ultima che ho visto prima che il legno sigillasse la tua pace. La mia vita — quella silenziosa che per essere compresa non necessitava parole ma solo sguardi — è finita con te».

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