Mi aspettavo un concerto e mi sono ritrovata a teatro, in un campo da calcio: i Tamango

Luglio, nonostante le piogge degli ultimi giorni, è alta stagione di concerti.

E quando la scelta è così vasta, soprattutto in città come Milano, è difficile individuare quali valga la pena vedere e quali siano solo perdite di tempo.

Sabato 5 luglio, zona Crescenzago, in un enorme campo da calcio (sì, avete capito bene, un campo da calcio), si è tenuto il concerto dei Tamango.

Io conosco ormai i Tamango da 3 anni, ma non avevo mai avuto l’occasione di sentirli dal vivo, essendo loro di Torino e ancora emergenti.

E non sapevo bene cosa aspettarmi.

Appena arrivata trovo una fila chilometrica, più di un centinaio di persone fuori, per entrare e ritrovarmi il campo completamente pieno, sia in attesa di un bel panino alla salamella, sia a rovanare nel loro mercato, perché sì i Tamango hanno anche creato un mercatino dei vestiti. (geniali)

Il posto era pieno, il palco incredibile, completamente made in home, con tende ricamate, cartongessi a forma di insolite figure attorno al pianoforte e un tronco di un albero, enorme, dal quale poi sarebbe uscito un sassofonista.

Insomma, tutto questo prometteva bene, ma non è nulla in confronto a quello a cui abbiamo assistito.

Il tutto inizia assieme a uno splendido tramonto, con il lancio di un pallone da calcio, seguito dall’avvento, sul palco, di una decina di persone, ragazzi e ragazze, con strumenti, con microfoni, con vernice rossa.

Pronti a cantare, a ballare, a suonare e a fare omologhi teatrali.

Perché quello che mi aspetterà non sarà un concerto, ma più uno spettacolo, uno spettacolo teatrale portato sul palco, in un campo da calcio, da una decina di ragazzi della periferia di Torino, che hanno insegnato cosa significa curare l’arte nei minimi dettagli, da cartelli per il parcheggio disegnati da loro, alla scenografia, interamente realizzata a mano, con macchine meccaniche, tavoli, alberi, cubi, hanno insegnato la condivisione di un palco, non c’era un vero protagonista, ma tanti componenti compatti, hanno insegnato cosa significa divertirsi e soprattutto, hanno insegnato che quando la penna è buona e l’idea è valida e originale funziona, funziona e al pubblico arriva, indipendentemente da chi sei, da quanto seguito hai, da quanti soldi hai e dove sei a farlo.

Quel concerto è sembrato gestito da veri professionisti, nonostante l’età media fosse tra i 23 e i 25 anni, e la gestione dei tempi, dei pezzi e dei monologhi, e dei cambi di scena, è stata impeccabile.

Lo spettacolo è durato più di 3 ore, nonostante i pezzi su Spotify fossero pochi, sono riusciti a creare uno spettacolo fatto non solo di musica.

Era da un po’ che non assistevo a un evento del genere, arte fatta solo per il gusto di fare arte, senza troppe pretese.

Arte non fatta per vendere, per seguire le mode, per stare dentro a degli standard, e forse per questo mi ha molto colpita, e non solo me.

Il pubblico era in delirio, cantava, ballava, piangeva, rideva, pogava, ogni canzone trasportava la gente nel suo universo personale.

So che luglio non è un mese facile per i concerti, caldo, sudore e zanzare allontanano anche me, ma sono uscita avendo fatto una vera e propria scoperta: i Tamango sono molto meglio dal vivo che via cuffia.

E no, non parlo di vocalità, su quello sono giovani, si può fare ancora di più, io parlo di creatività, che al momento è assente in Italia, vendono tutti lo stesso prodotto, e spesso fatto male.

I Tamango no, in quasi 10 hanno portato musica dal vivo, con mix di strumenti, di tonalità, di abiti, di melodie, di tematiche, che spesso anche cantanti più esperti, e con lunghe carriere, si sognano.

Ci lamentiamo sempre, tutti, di quanto la musica e l’arte, in generale, stiano avendo un declino, si stiano omologando e si stia perdendo l’essenza e lo scopo di ascoltare la musica, scoprire, sperimentare, conoscere, stupire e divertirsi.

I Tamango in una serata mi hanno riportato tutto questo, e come spesso succede quando non ti crei aspettative, uscita di lì, dopo 4 ore in piedi, ho pensato subito che avrei voluto rivederli dal vivo.

Non posso che quindi consigliarvi di andarli a scoprire e conoscere, specialmente dal vivo, perché temo che se entri in contatto con il loro universo strampalato, fatto di tutine attillate, richiami a canti popolari, e suoni sperimentali, non ne esci più.

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Lucia Monina, nata in Ancona nell'agosto del 2001, è una fotografa e scrittrice, che studia presso l'accademia delle belle arti di Brera, a Milano. Ha esposto le sue fotografie in varie occasioni, tra le quali il punto zero di Sesto, il Lock di Lambrate e il LatoB di Milano. Ha scritto una biografia di Taylor Swift, con Diarkos Editori. Scrive di musica, cinema e arte.

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