
In giro per i social è tutto un proliferare di video di vocal coach che danno voti ai cantanti italiani e non. Sono tutti uguali, nella forma, spesso anche nei contenuti. C’è lo schermo diviso a metà, come nelle live condivise, ma stavolta uno dei due protagonisti non è stato avvisato e coinvolto direttamente. Infatti da una parte c’è il vocal coach che fa cenni con la faccia, inarca un sopracciglio, sorride, muove il collo a tempo, sempre e comunque molto convinto e compiaciuto di sé, dall’altro c’è il cantante o la cantante famosi che cantano, in un qualche evento dal vivo, fanno cioè il loro lavoro. In genere le scene sono accompagnate da scritte sovraimpresse, che spiegano che tipo di interpretazione sta facendo l’artista, citando note spesso nella nomenclatura inglese, anche un po’ a caso, come fossimo in una scena di Amici miei e si stesse per fare una supercazzola, non certo con il fine di far ridere, quanto piuttosto di impressionare, di dimostrare una qualche competenza, come quando si spiega se il cantante o la cantante sta cantando di petto, che note tocca, come passa al falsetto, il tutto sempre accompagnate da facce più o meno seriose, o più o meno stizzite. Poi, sul finale, arriva un giudizio, spesso tranchant, che si conclude con un voto, non sempre sopra la sufficienza, dato anche a artisti con chiarissima carriera alle spalle e soprattutto dati a una qualche performance scelta ad hoc per poter sfoggiare quelle facce lì, quei commenti lì, quei voti lì.
I vocal coach che si esibiscono in questi video, tutti identici a loro stessi, cioè identici agli altri video presenti sulla pagina del vocal coach in questione, come nelle pagine di altri vocal coach che fanno lo stesso tipo di video, sono spesso seguiti da qualche decina di migliaia di followers, vai a sapere se reali o fake, e nelle loro pagine pubblicizzano i loro corsi di canto, spiegando come grazie a loro Tizio sia riuscito a ottenere un risultato incredibile, o come Caia sia riuscita a fare qualcosa di impensabile anche solo qualche settimana prima. Quasi sempre questi vocal coach sono perfetti sconosciuti, anche per chi, come me, si occupa da una vita di musica.
Ho sempre visto questa faccenda del dare i voti, un tempo nelle recensioni, ultimamente quasi solo nelle pagelle di eventi specifici, da X Factor al Festival di Sanremo, come una aberrazione, se presa sul serio. Come un gioco, almeno per come lo intendo io, se fatto per adesione coerente a qualcosa che comunque serio non è, la musica non dovrebbe mai essere una competizione, e chi svolge il mio mestiere, comunque, non è né un maestro né un professore, i voti non li sopporto neanche pensando alla scuola, figuriamoci alla musica.
Capirete quindi bene come io possa guardare ai voti sprezzanti di chi, in realtà, neanche avrebbe la scusa del gioco, men che meno della consuetudine o routine cui aderire. Prendere un qualsiasi momento nella vita professionale di chicchessia, e star lì a giudicarlo, decontestualizzato, è esercizio non solo sterile, ma anche dannoso e doloso. Perché se dovessimo giudicare anche le nostre vite per momenti presi da chi vuole dimostrare che siamo degli incompetenti, dei cialtroni o peggio degli impostori, lì a ammantarci di un successo immeritato, è ovvio, ne usciremmo tutti con le ossa rotte. Saremmo, in pratica, il corrispettivo di quelle schermate cui ci aveva abituato Emilio Fede ai tempi del suo TG4, quando per far apparire gli avversari politici di Berlusconi come gente da poco, non solo ne storpiava il nome, ma li mostrava sempre in brutte pose, una smorfia, una faccia goffa, un atteggiamento sciatto.
Non bastasse questo, resta la risibilità del gesto in sé. L’autoproclamarsi esperti non equivale mai all’esserlo, come il dirsi alti, belli e biondi non ci trasforma tutti in misconosciuti Brad Pitt. Dirò di più, anche fossimo tutti misconosciuti Brad Pitt, ci mancherebbe sempre l’essere attori di talento e famosi, quella famosa patente che non ci si può certo dare da soli.
Sapere, cioè, che Tal vocal coach pensa che Giorgia si meriti un 7,5 o che Rose Villain raggiunge a stento la sufficienza, mi sembra più che un abuso di potere autoconferitosi, l’esternazione di una patologia narcisista figlia proprio di questi tempi bui, quelli dei social e dei Cuoricini cantati dai Coma_Cose, perché solo un megalomane potrebbe pensare dall’alto di un piedistallo nel quale si è eretto da solo e su una pagina Facebook di dire la propria sulla tecnica di canto di chi presumibilmente canta per mestiere seguito da un altro vocal coach, Mogol almeno ha dalla sua la scusante di essere un quasi novantenne da sempre noto per la sua modestia e simpatia.
Questo detto, a scanso di equivoci, proprio per rispetto dei veri vocal coach, che fanno il loro mestiere senza star lì a fare i maestrini, alzando un sopracciglio dentro un reel di Instagram nella speranza di trovare nuovi allevi.
Non bastasse neanche questo, metterei questa faccenda, quella cioè di un tecnico o sedicente tale che si esprime dando giudizi feroci nei confronti di un genere, il pop, che spesso non pretende di rientrare nei canoni della perfezione, ragionando ormai su un tot al chilo, tanto poi gli ascolti sono distratti e fatti attraverso device non preposti all’alta definizione, tra gli effetti più devastanti dell’aver concesso un palco a tutti gli stocazzo del mondo, come se già non bastassero artisti e sedicenti artisti a intasare l’etere col proprio ego. Il fatto è che il calcio ci ha detto che a volte un pessimo calciatore, o addirittura chi calciatore non è mai stato, potrebbe diventare un buon allenatore, volendo anche un ottimo allenatore. Mestieri diversi, appunto, che non necessariamente devono essere consequenziali. Quindi potrebbe anche esserci un ottimo vocal coach che, di fatto, non ha una carriera importante da cantante, e non necessariamente perché gli ha detto male. Anzi, ci sono vocal coach che, esattamente come certi allenatori, hanno deciso di votarsi a questa pratica, senza tentare per niente o più di tanto una propria carriera sul palco. Il problema, però, è che i bravi allenatori, come i bravi vocal coach, non stanno sui social a dare voti ad minchiam a calciatori o cantanti, sperando poi di trovare allievi per i propri corsi. Di più, il bravo allenatore avrà indubbiamente una buona squadra da allenare, come il vocal coach avrà cantanti da assistere e magari anche una scuola, frequentata non tanto perché vomita voti su Facebook o Instagram, quanto piuttosto per i buoni o ottimi risultati fatti raggiungere a chi ha usufruito dei suoi servigi. Nel senso, chi mai andasse da un allenatore o da un vocal coach perché lo ha visto fare le faccette sui social, forse, non è un bravo allenatore o un bravo vocal coach che sta cercando, quanto piuttosto un imbonitore che, come coloro che vendevano intrugli nel vecchio west, giocando più di illusionismo e di magia che di scienza, promettendo miracoli che poi si rivelavano sempre e soltanto come emerite cialtronate.