Ho intervistato i Coma_Cose a Bashee

Parliamo di scambi di identità. C’è tutto un filone di film e romanzi che partono da uno scambio di identità per sviluppare trame che possano essere divertenti, noir, da commedia. Davvero un sacco di film e romanzi. Solo che, sarà che è primavera ma fuori sta ancora una volta piovendo, sarà che è sabato e il cantiere di fronte casa mia ha cominciato a fare casino alle otto, incurante del weekend, sarà che anche sopra casa mia ho un cantiere, per cui dentro casa ho avuto tutto l’inverno diciotto gradi, oltre che un casino che manco a un concerto dei Ramstein in prima fila sotto le casse, non me ne viene in mente neanche uno. Intendiamoci, sono sicurissimo che esistano, ce li ho, si dice, sulla punta della lingua. Allora, come si fa in questi casi, vado su Google, non sono tipo da ChatGPT, e non so neanche perché, ci ho anche scritto un libro sull’Intelligenza Artificiale. Vado su Google e provo con qualche ricerca, tipo “film su scambio di identità”, che però sortisce il solo risultato di farmi comparire un tot di pagine sul film “Scambio di identità”, una commedia romantica del 1996, leggo su Wikipedia, con Shirley MacLaine e Brendan Fraser, che poi è il tipo che ha vinto il Premio Oscar come miglior attore protagonista di The Whale, il film di quel genio di Darren Aronofsky, lì a interpretare un professore di duecentocinquanta chili recluso dentro casa. Film, Scambio di identità, di cui non ho memoria, e non ne ho memoria perché suppongo di non averlo mai visto, grazie a Dio. Cambio ricerca, e metto “film o romanzo su scambio di persona”, ma la cosa non va meglio, perché mi compaiono titoli di film o romanzi noir o gialli di cui, idem, non ho alcun ricordo. Mi dispero, allegoricamente, quanto cioè ci si può disperare perché non ci viene in mente qualcosa, ma neanche con quella punta di fastidio che si prova, io almeno la provo, quando pensi al nome di un attore, un calciatore o un compagno di classe delle medie e non riesci a ricordarti qual è, roba, quella sì, da perderci il sonno. No, una disperazione composta, gestibile. Perché questa cosa dello scambio di identità, in fondo, è una idea per un incipit, e me che cerco questi tanti, tantissimi film o romanzi sugli scambi di identità e non li trovo, converrete, è già un incipit. Poi però ho una illuminazione, sarà entrato in circolo la moka di caffè che mi sono sparato, il resto della famiglia ancora dorme, io come Jack Nicholson amo scrivere di mattina presto, e comunque quei maledetti del cantiere del palazzo in costruzione di fronte a casa mia mi hanno svegliato, “il mattino ha l’oro in bocca, il mattino ha l’oro in bocca, il mattino ha l’oro in bocca”, e l’illuminazione è Bashee, che poi scopro, sempre su Google, si intitolava in realtà Banshee- La città del male. Una serie trasmessa una decina di anni fa, ma ancora presente su qualche piattaforma, che racconta la storia di un delinquente, un criminale, che arriva in una cittadina di provincia americana, dopo aver scontato un sacco di anni in galera, per una rapina finita male. Uscito si mette alla ricerca della sua ex, e la rintraccia proprio qui, a Banshee, in Pennsylvania. Essendo la Banshee una figura mitologica irlandese femminile che porta sfiga, questo l’ho letto su Wikipedia, è ovvio che le cose non andranno a finire bene neanche questa volta. Per farla breve, il tizio, interpretato da quell’Antony Starr che più avanti sarà il cattivissimo Patriota nella serie The Boys, uccide in uno scontro a fuoco il nuovo sceriffo del paese, come lui appena arrivato in zona. Con lui uccide anche tutti i testimoni, e decide quindi di prenderne l’identità. Da quel momento sarà un bordello di scazzottate, sparatorie, nazisti, clan segreti, sotterfugi, tanto, tantissimo sesso abbastanza esplicito, le serie americane in questo sono pazzesche, perché o tagliano tutti i nudi come avessero photoshop sulle telecamere, non vedi neanche un capezzolo per sbaglio, o ti pare di essere sul set di un film porno, Bashee è più da queste parti. Ma non è entrare nei dettagli nella trama di Bashee- La città del male, quella che era mia intenzione, so che non ve ne siete forse accorti, ma questo è il resoconto di una chiacchierata con California e Fausto dei Coma_Cose, certo un resoconto post-apocalittico e postmoderno, decisamente avant-pop, ma tant’è. Quindi è lì che mi sto per spostare, non prima di aver notato che in fondo Bashee- La città del male, è una sorta di cover metallara di Lo chiamavano Trinità, immortale film del 1970 con Bud Spencer e Terence Hill, il fischio della magnifica colonna sonora composta dal maestro Franco Micalizzi che appena lo cito mi si manifesta nelle orecchie. Una storia simile, priva però di morti e sesso, quella era una commedia rivolta anche ai più piccoli. Io, per la cronaca, nato l’anno precedente all’uscita del film, credo di averlo visto una trentina di volte almeno, so ancora buona parte delle battute e delle scene a memoria. Lì è Bud Spencer, nei panni di Bambino, che ha preso il posto dello sceriffo, e quando in città arriva suo fratello Trinità, Terence Hill, ne succedono anche lì di tutti i colori. I due a vestire involontariamente i panni dei buoni, come poi nel seguito Continuavano a chiamarlo Trinità. Tra scazzottate e padellate di carne e fagioli direi che era impossibile non citare la matrice, prima di passare oltre.

Il motivo per cui ho deciso di partire, più o meno, con uno scambio di identità, è duplice. Perché credo che i Coma_Cose siano al momento involontari protagonisti di una situazione analoga, e lo siano per via di Cuoricini, a sua volta oggetto di uno scambio di identità. Non esattamente in questi termini, l’intervista è al telefono, mentre i due sono in giro credo per Milano, io a casa a schivare i martelli pneumatici tipo Einstürzende Neubaten che lavorano sulla mia testa, maledetti cantieri, e tocca essere concisi. Il fatto è, credo lo sappiate tutti, che Cuoricini è diventata una delle supermegahit uscite dell’ultimo Festival di Sanremo, supermegahit che fa seguito alla sorella, a voi stabilire chi è Bambino e chi Trinità, Malativa, Posti vuoti appena un passo indietro.

Cuoricini è diventata una supermegahit perché è una supermegahit, ma le supermegahit hanno due caratteristiche fondamentali, sono orecchiabilissime e ruffiane, ti entrano in sostanza nella testa e come accade nel film, questo me lo ricordo perché nel mentre mi sono completamente svegliato, Tutti contro tutti, di e con Rolando Ravello, dove un muratore rientrando a casa scopre che è stata occupata da una famiglia di meridionali che non ne vuole sapere di andarsene, decide di rimanere lì a vita, uno pensa a altro e ecco che parte il refrain “Cuoricini, cuoricini, volevi solo cuoricini”, prima caratteristica, tendenzialmente diventano talmente popolari da essere privati di tridimensionalità, li ascolti sempre e ovunque e finisci per non ascoltarli davvero, come i cani di Pavlov lì a scodinzolare sapendo che a azione deve conseguire reazione, in questo caso ascolto equivale a movimento. Però Cuoricini, e qui entriamo nell’oggetto della chiacchierata, è sì una supermegahit, ma è anche una canzone che in realtà affronta un tema importante, la voglia di essere accettati dagli altri, la necessità di essere accettati dagli altri, anche, il ricatto di dover essere accettati dagli altri al punto da ritrovarci a fare qualcosa che non vorremmo magari fare, così è la vita oggi, anno del Signore 2025. Una canzone quindi con un testo profondo che, complice una musica ritenuta anche qui erroneamente estremamente in linea coi suoni di oggi, quelli che ci sono talmente familiari da apparirci onnipresenti, è diventata una canzone fraintesa, come Bambino o il protagonista di Banshee che arriva in città e tutti pensano sia lo sceriffo, magari anche perché ha addosso la stella a cinque punte. E infatti, state sempre leggendo il resoconto di questa chiacchierata, sappiatelo, Cuoricini è una canzone che in realtà è costruita su suoni che affondano le radici negli anni Novanta, altro che 2025, certo riveduti e corretti facendo i conti con l’oggi, una canzone new-wave, in pratica, che però sembra molto contemporanea, su un tema importante, che pone al centro della scena una coppia, California e Fausto, i due Coma_Cose. E infatti andiamo oltre, perché il resto del loro nuovo album, Vita fusa, titolo quantomai emblematico, i titoli non è che si trovano lì per caso, fate attenzione, è una sorta di diario pubblico della vita della coppia più contemporanea del indie-pop italiano, e prendete questa definizione, indie-pop, come mio estremo tentativo di passare per quel che non sono, uno di quei critici che devono necessariamente ricorrere a categorie e generi per farsi capire. Perché i due, insieme artisticamente e nella vita da dieci anni, proseguono nel loro unico, unico nel senso che non ha eguali, non nel senso che la sola volta che lo fanno, tentativo di raccontarsi senza filtri in pubblico, e questa faccenda dei filtri a breve entrerà in scena, come qualcosa che distrarrà la trama. Si sono messi insieme, hanno avuto una crisi, hanno trovato una quadra, hanno deciso di raccontare per una volta una storia che non fosse la loro, Malavita è questo, e ora tornano a parlare tanto di loro, aggiungendo ai tre singoli già usciti, l’ultimo appunto Cuoricini, sei brani che rallentano il ritmo, suonano ancora più suonati dei precedenti, ma ripeto, Cuoricini è molto suonato, perché anche una batteria elettronica va suonata, e soprattutto provando con successo a raccontare con apparente leggerezza la storia di una coppia che, parole loro, non necessariamente ha sempre qualcosa di eccezionale da raccontare, circondata da storie viste intorno a loro, Honolulu, per dire, parla di tossicodipendenza. Io sto con mia moglie dal 1988, sono trentasette anni fatti l’8 febbraio, e so bene che il più della vita insieme non è scintille o scossoni, ma equilibrio, complicità e dedizione, la parte clou del testo Costruire di Niccolò Fabi, per intendersi, e capisco che decidere di raccontarsi come le canzoni fossero le pagine di un diario è faccenda complicata, ma encomiabile, perché le canzoni raccontano quasi sempre l’inizio o la fine di un amore, Costruire docet, ma anche perché la vita di coppia, oggi come oggi, sembra diventata assai poco à la page, specie nell’immaginario che esce dalle canzoni. E qui arriva la faccenda dei filtri, perché a precisa domanda, “ma avete mai preso in considerazione l’idea di mentire?, nel senso di raccontare qualcosa che non sia esattamente aderente al vostro vissuto”, Fausto e California mi dicono di no, perché secondo loro è già difficile trovare punti di vista interessanti per raccontare una storia che è di suo unica ma anche come tante, figuriamoci se dovesse entrare in scena la distrazione di potersi inventare passaggi della trama, suggestioni o quel che è. Senza togliere poi che c’è la faccenda del pudore, che evidentemente nel momento in cui si decide di raccontarsi deve venire meno, ma che se uno poi dovesse mischiare realtà e finzione sarebbe ancora più difficile da gestire, perché vai a capire cosa penserebbe gli altri di quel che stai dicendo. Anche se, e qui strappiamo in avanti, evidentemente una volta che decidi di essere “sincero”, di quel che pensano gli altri ti interessa poco. Al punto che ti può anche andare bene di essere frainteso, Cuoricini è una canzone commerciale senza significato, i Coma_Cose hanno abbandonato le velleità di essere artisti ricercati e sono diventati semplicemente pop, perché tanto le canzoni stanno lì, e basta ascoltarle con attenzione per coglierne non solo la profondità, essere leggeri e anche apparentemente superficiali, lasciando però intravedere la profondità che si trova sotto la tavola da surf che sfiora le onde è cosa che è possibile solo ai grandi artisti, ma anche la ricercatezza nei suoni, le batterie spoglie che ricordano i Beatles, per dire, certe virate neo-psichedeliche che guardano a Oklahoma City, alla voce Wayne Coyne, una ricercatezza anche volta a apparire pop, certo, ma che comunque è perfettamente in linea con quanto fatto fin qui, i Coma_Cose sono sempre stati su un loro mood, rimanendo al tempo stesso immobili e mobilissimi, mai un disco uguale al precedente, Vita fusa non fa eccezione, ma un disco che non fosse incredibilmente riconoscibile come loro.

Non abbiamo parlato di Mia Khalifa, che è noto ha endorsato Cuoricini mentre sfrecciava su un Uber durante la Milano Fashion Week, pensando si intitolasse Arancini e fosse il jingle di un ristorante, reel su reel a rendere il brano popolare anche oltreoceano, e dire che mi avrebbe dato il là per buttare lì l’operazione Maria Magdalena di Sevdaliza con Irmãs De Pau, Sevdaliza, come altre artiste internazionali a lei vicine poeticamente, penso a Arca, per fare un nome, sull’apparenza e l’essenza sta dando molto, di questi tempi, Mia Khalifa una delle protagoniste del video di questo nuovo brano, per essere chiari.

Ora, la chiacchierata il cui resoconto avete incredibilmente letto fin qui sta volgendo al termine, che palle ‘ste interviste fatte di virgolettati, domande e risposte, c’è il tour estivo, col finalone del Forum di Assago e il Palazzetto dello sport di Roma a fine ottobre, poi, dicono all’unisono, arriverà il momento di fare cose in solitaria. Non cose inerenti alla musica, non sono previsti brani o album di California o Fausto senza il marchio Coma_Cose, quanto un ritorno momentaneo a quel che i due amavano fare, nel caso di Francesca, questo il nome di California, magari lavorare il legno, fare zaini, la sua vita prima della musica, in quello di Fausto un lavoro sulla parte video, sempre stata parte del suo repertorio ma ovviamente legata fin qui a doppio filo al duo in questione. Un modo, i trentasette anni con mia moglie, ventisei da sposati, cui facevo riferimento prima me lo hanno insegnato, per esserci anche mentre non si è necessariamente parte di un duo o di una coppia. Vita fusa, chiudo, è un lavoro importante, quando oltre duemila parole fa ho usato il termine a me molto caro di post-moderno non l’ho fatto a caso, è nel postmoderno che si fonde, come la vita del titolo, alto e basso, generi differenti, realtà e finzione, nel loro caso solo realtà, l’idea di mettere una pezza a una contemporaneità malconcia che parte della teoria e si fa pratica. Poi, ovviamente, possiamo anche continuare a canticchiare Cuoricini come fosse una canzoncina scanzonata, e credere che quel tizio con la faccia da delinquente che si spaccia per lo sceriffo in effetti sia lo sceriffo.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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