Giulia Mei della musica ne capisce eccome (non fidatevi dei titoli)

L’altro giorno ho avuto una epifania. Ero in chiesa, ultimamente ho spesso epifanie in chiesa, capiterà prima o poi che abbia anche un’apparizione, chissà, in caso, giuro, sarete i primi a saperlo. Comunque, l’altro giorno ho visto una signora molto ma molto anziana, bassina, tonda, una tipica signora anziana con non troppo cura del suo aspetto fisico, vestita in maniera quasi sciatta, i capelli con la messa impiega che necessitava una rinvigorita, ma che aveva un dettaglio che spiccava alla vista, decisamente fuori posto. Nel suo essere vestito tra il nero e il grigio scuro, non roba tipo lutto, per intendersi, più un volersi adeguare a un clima invernale che non ne vuole sapere di lasciare legittimamente spazio alla primavera, aveva un paio di scarpe da tennis eccessivamente colorate. Una cosa che non si poteva non notare, proprio per il contrasto con tutto il resto, e a dirla tutta anche per quell’essere fuori contesto, tra i banchi di una chiesa, nello specifico della Basilica di Santa Maria Bianca di Casoretto. Scarpe da tennis giocate tutte su un giallo accesso, come il sole quando lo dipingiamo da bambini coi pennarelli Carioca, rosse e blu. Il giallo a prevalere sul resto. Non scarpe qualsiasi, a dirla tutta, e qui l’epifania si è fatta ancora più epifania, ma scarpe da tennis di quelle che ha tirato fuori a pochi euro qualche tempo anno fa la Lidl, e subito divenute oggetto di collezionismo, battute anche qualche migliaio di euro su Ebay e ancora oggi in vendita a quasi cento euro su Amazon, lo dico a ragion veduta, perché sono andato a cercarle per aver conferma che fossero esattamente quelle. Scarpe di quattro anni fa, quindi, il caso venne fuori nel 2021, assolutamente ben tenute, quasi luccicanti, fatto che contrastava con la sciatteria del resto.

Ora, qualcuno potrebbe anche pensare che il mio andare in chiesa, fatto assolutamente privato che diventa pubblico solo per l’utilità che il parlarne porta al mio scrivere, sia solo una faccenda di osservazione, come uno che vada allo zoo con lo scopo di guardare gli animali da vicino. Due fatti per me curiosi visti in chiesa a distanza di pochi giorni, seppur in due chiese diverse, potrebbe in effetti legittimare un tale pensiero. Di più, visto che in entrambi i casi oggetto del mio guardare erano delle scarpe, non indossate, quando giorni fa ho parlato di Patrizia Laquidara (qui https://361magazine.com/patrizia-laquidara-la-cantautrice-scalza/), indossate ma assolutamente fuori luogo, oggi. In caso si tratterebbe di uno stranissimo caso di feticismo, proprio di chi vuole vedere scarpe dentro le chiese, roba con meno casistica di certe malattie rare, di quelle per cui neanche i centri più sperimentali trovano o peggio cercano una cura.

Il fatto è che quelle scarpe sgargianti già mi avevano colpito di loro, lì nella penombra di quella antica basilica, lo scoprire che si trattavano di scarpe con un alto valore economico, ai piedi di chi per il resto non sembrava indossare capi costosi, anzi, palesava una certa modestia, mi ha colpito ulteriormente. Un po’ come vedere qualcuno portare in giro, che so?, un oggetto di particolare valore senza averne piena coscienza, lasciando che gli altri se ne accorgano, meravigliandosi, ma senza mai venire a conoscenza della cosa. Roba che se fossimo dentro un film qualcuno proverebbe a sottrargliele con l’inganno, magari provando anche a capire se la signora ha in casa qualche altro oggetto di valore, che so?, un Caravaggio appeso al muro convinta che sia una macchia di un qualche pittore della domenica, di quelli cantati da Paolo Conte. Questo ho cominciato a pensare mentre ero a Santa Maria Bianca, la basilica di Casoretto. Capite perché nella vita ho sposato un atteggiamento straight edge, lontano da ogni tipo di droga e di alcool, non ne ho affatto bisogno, fa tutto il mio cervello da solo. Da un paio di scarpe della Lidl sono arrivato a ipotizzare un Caravaggio appeso in casa, magari su una parete con la carta da parati.

Figuratevela casa di quella signora, vi prego, un vecchio frigo di quelli che ronzano tutto il giorno, lampadine ancora col diodo dentro, a poche candele, impianti elettrici assolutamente fuori norma, vecchi caloriferi di ghisa, e un Caravaggio alla parete.

Ecco, noi siamo quella signora. O meglio, lo è la nostra discografia, il nostro sistema musica. È una signora modesta, con abiti sciatti, di poco conto, che però indossa scarpe che da sole valgono probabilmente quattro mensilità della sua pensione minima e con al muro di casa sua, una casa a sua volta di poco conto, un Caravaggio. Sì, perché a pensarci bene l’esempio delle scarpe del Lidl potrebbe anche funzionare come punto di partenza, ma non va bene per quel che voglio dire, quindi lasciatelo da parte, mollatelo proprio, e concentratevi sul Caravaggio, messo lì, sopra la televisione ancora col tubo catodico e un centrino con su una piccola gondola portata da non si sa bene chi da Venezia, il decoder a fianco, dove sono i due telecomandi. Un tesoro che potrebbe risolvere tanti problemi, non solo della signora, e qui sto davvero andando avanti veloce con la fantasia, ma ormai ho intrapreso questo discorso, tirarsi indietro equivarrebbe a dovermi inventare qualcos’altro. La nostra discografia, il sistema musica non sa dare un giusto valore a quel che ha tra le mani. Anzi, spesso neanche trattiene tra le mani quel che di valore le passa sotto, preferendo concentrarsi su finti idoli, pronti a essere bruciati come legnetti di incenso nel giro di poche ore. Prova ne è stata l’ultima edizione di X Factor, la diciottesima, vinta dalla meteora Mimì, presto tornata là da dove era arrivata, u luogo non ben precisato. Non certo per mancanza di talento, ci mancherebbe, ma perché da sola interprete assolutamente acerba per poter ambire a entrare in circolo nel mercato. Mercato che invece si appresta a accogliere, almeno si spera, il vero talento che in questa edizione è passata, o meglio, sarebbe passata, se Achille Lauro non l’avesse lasciata andare, lui puntava ai Patagarri, signori miei, baby, parlo di Giulia Mei. La ricordate, vero? La ragazza siciliana che si è presentata alle audtion eseguendo un proprio inedito, al pianoforte, Bandiera. Una canzone che parte lenta, pianistica appunto, per poi diventare quasi techno e con un testo che è un vero manifesto di woman empowerment, femminista fino alle pause tra una nota e l’altra, quel “della mia figa farò una bandiera che brillerà nella notte nera” divenuto a ragione slogan gridato nelle piazze. Una canzone che ha macinato milioni di stream, proiettando giustamente Giulia Mei, cantautrice che già chi segue la musica d’autore ben conosceva (e se non la conosceva, beh, forse dovrebbe scegliere meglio che musica ascoltare) tra i nomi da tenere assolutamente d’occhio nel panorama del cantautorato italiano, legittimamente chiamata anche a parlare laddove si parla di femminismo e di femminile, oltre che a cantarne. Un vero peccato che X Factor se la sia lasciata sfuggire, complice ahinoi la mia amica Paola Iezzi, indispettita non ho ancora capito perché dalla cover fatta da Giulia dei Pink Floyd, perché almeno avremmo visto una artista già a fuoco, non uno dei tanti wannabe che in genere da quelle parti passano per poi bruciarsi di lì a poco. Infatti Giulia ha tanto cantato e suonato in giro, e tanto ha lavorato con Ramiro Levy dei Selton e Alessandro Di Sciullo, fino a tirare fuori, adesso, Io della musica non ci ho capito niente, suo secondo album, un vero gioiello. Un lavoro che tiene insieme la vecchia Giulia Mei, quella che già aveva colpito la critica di settore ai tempi dell’esordio con Diventeremo adulti, e la nuova splendente Giulia Mei, quella che abbiamo amato per Bandiera, e prima ancora per H&M, qui contenuta, come qui è contenuta la successiva, bellissima, La vita è brutta. Un album pianistico, quindi, con melodie ricercate e al tempo stesso orecchiabili, con una cifra comunque molto riconoscibile, che però si fa spesso elettronico, sonorità spigolose, come spigolosi sono i testi, ironici, certo, ma carnali, dolenti, spiazzanti e spiazzati, mai rassegnati ma semmai incazzati. Un album importante, con ospiti importanti, perché se il Rodrigo D’Erasmo che si muove sullo strumentale brano che regala il titolo al tutto, è comunque una garanzia di qualità, la presenza in due brani cantati di Anna Castiglia, presente nel brano Un tu scuiddari, Anna Castiglia che come Giulia ha provato a entrare a X Factor e X Factor ha rifiutato, com’era la faccenda che perseverare nell’errore è diabolico?, e quella Mille che a X Factor invece c’è entrata, ma con la sua band, i Moseek, per poi spiccare il volo, e che volo, da solista, qui ospite della bellissima Cara Allegria (qui presente se uno si prende il vinile, va detto). Un album vario, generoso, con tanta musica, chi si aspetterebbe mai degli instruental nel 2025, qui invece ce ne sono addirittura tre, le due che portano il titolo dell’album, poste come intro e outro, e Mozrat, che ci porta in un luogo a metà strada tra il rave e la claustrofobia, e tante parole che pretendono attenzione, e chi siamo noi per non concedere attenzione a chi la pretende in maniera così radicale e ostinata? Un album importante, di quelli che si aspettano con curiosità, parlo per me e per chi conosce già Giulia Mei, ma in realtà parlo anche a nome di chi passa il tempo lamentandosi che la musica d’oggi è tutta uguale, e in effetti molta musica d’oggi è tutta uguale, ma in realtà ignora che ci sono diamanti in giro, basta solo sapere dove andarli a cerca. Il famoso Caravaggio appeso alla parete con carta da parati della signora con le scarpe da tennis del Lidl, lì in chiesa, come la attuale discografia in possesso di un tesoro inestimabile, ma ignara di averlo. Giulia Mei è una artista, con una personalità complessa e ricca, molte cose da dire e la capacità di dircele in maniera avvincente e affascinante. Una cantautrice in un paese di maschi e di discografici che giudicano le persone dalle scarpe da tennis che indossano. Vogliatevi bene, almeno voi, andatevi a ascoltare Io della musica non ci ho capito niente, fatevi un regalo.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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