Cuoricini e piedi neri: la musica al tempo dei social media

Per motivi che in realtà mi sfuggono, sembra che in estate sia lecito occuparsi anche di argomenti del tutto effimeri dei quali non ci si occuperebbe impunemente durante le stagioni più rigide. Lo dico perché in genere, quando ti occupi di qualcosa che non sia esattamente da indicare come “serio”, parlo per me che non mi occupo di gossip, per dire, né di notizie di costume, la cosa mi viene puntata contro, salvo poi riuscire a giustificarmi col dire che in estate è lecito appunto occuparsi anche di argomenti del tutto effimeri. Per questo non ho particolari indugi nell’andare a parlare di un problema che per qualche ora ha attanagliato i social, qualche giorno fa, e se ne ho parlato solo oggi non è perché io abbia dovuto metabolizzare la cosa, ma perché d’estate, vivaddio, posso prendermi il lusso di appuntarmi di cosa parlare ma poi farlo quando lo ritengo opportuno, e nei weekend, converrete con me, ci sta pure che io non scriva o non scriva di argomenti che non mi appassionano particolarmente.

Il fatto è che Annalisa, artista che stimo, pur non rientrando la sua musica recente tra quella che tendo a ascoltare per mia scelta, ha pubblicato un post sui social. I post sui social in estate seguono un po’ l’andamento di cui sopra, nel caso di Annalisa, sembra, da un po’ di tempo a questa parte anche d’inverno. Nel senso che capita spesso di vederla particolarmente ammiccante, sexy, fatto che se fosse capitato in passato ci avrebbe assolutamente stupito. L’abbiamo più volte vista in shorts, in bikini, in pose sensuali, e seduta sul letto. Nel post in questione era appunto sul letto ma in ginocchio, con indosso quella che potrebbe essere una felpa, quindi un indumento decisamente fuori stagione, o forse un pigiamone, lo stesso più invernale che estivo. Il testo del post, con una partenza poetica che tirava in ballo luglio, i risvegli, le valige da fare, i bianchi e i neri, oltre che i grigi, andando poi a ringraziare tutti per la diciottesima settimana in Top 10 della Fimi. Fin qui, direbbe il tizio che si buttava da un grattacielo di cinquanta piani nell’intro de L’odio di Matthieu Kassovitz, tutto bene. Quel che non è invece bene, stando almeno alla mole di commenti tra l’ironico e l’indignato, il colore della pianta del piede di Annalisa, diciamo in una gamma che sta tra il bianco e il nero decisamente più verso il secondo. Apriti cielo, una cantante che mostra piedi sporchi evidentemente è qualcosa di inaccettabile, specie in un’epoca come questa che di faccende inaccettabili ne propone poche di suo, tra guerre, femminicidi, ingiustizie sociali e via discorrendo. Migliaia di commenti, tutti a parlare di piedi sporchi, chi scherzandoci su, chi consigliando una lavata. Era già capitato a Noemi, non troppi mesi fa, anche lei a mostrare la pianta di un piede sporco in una foto posata, e anche lì non solo commenti su commenti, ma anche post e, lo sto facendo anche io adesso, è estate, articoli su articoli. Noemi, recentemente, ha pubblicato una foto, credo parte di un servizio uscito su Grazia, dove le si vedevano chiaramente i capezzoli attraverso un body trasparente. Qualcosa che i social avrebbero potuto o dovuto bannare, ma che ovviamente i social non hanno bannato, ma che ha comunque dato pane per i denti di quanti quelli che non aspettavano altro che alzare il ditino per andare a lasciare commenti accesi suo social, signora mia.

Nali, così tutti i fan e chi la conosce chiama Annalisa, è una donna decisamente raffinata, per un lungo tratto della sua carriera anche piuttosto distaccata, quasi algida, sia nel cantare che nel porsi agli altri, oggi decisamente più aperta e empatica, forse anche per questo quei piedi sporchi, sicuramente giustificati dal fatto che in estate si cammina scalzi, e magari nell’albergo dove la foto è stata scattata il servizio di pulizie delle camere non era poi così efficiente, forse anche per questo, dicevo, quei piedi sporchi hanno fatto clamore.

Ecco, il clamore. A nessuno che sia passato per l’anticamera del cervello che quella foto con quei piedi sporchi sia stata fatta apposta per farne parlare. Intendiamoci, non sto sostenendo che le cose siano andate esattamente così, ma guardandola io a questo ho pensato, e ci ho pensato perché ho una minima idea di come funzionino i social.

Faccio un esempio, vi sarà capitato di vedere uno di quei tanti meme che girano, tra Instagram o Facebook, che so, il rebus che mostra un osso e un paio di scarpe tacco 12 da donna, con le lettere GR prima dell’osso, e le lettere NO sulla punta della scarpa. La soluzione è “grosso tacchino”, niente di particolarmente complicato, ma il fatto che la scritta sia messa nel posto sbagliato sembra lì appositamente per attirare i contrariati rimbrotti dei commentatori, che infatti sottolineano l’errore. Oppure, sempre per dire, una foto di Barbara D’Urso in bikini, da ragazza, con su scritto “ecco una giovane Barbara D’Urso a ventiquattro anni nel 1995”, chiaramente cannando la data e facendo indignare i commentatori seriali. È un vecchio trucco, mettere un errore marchiano sotto gli occhi di tutti e lasciare che tutti commentino, sottolineino la cosa, si sentano anche dei piccoli fenomeni per qualche secondo, che sentirsi dei fenomeni per chi fenomeno non è non fa mai male, ma soprattutto portare il post in alto, farlo diventare virale. Una foto di una cantante, Noemi, prima, Annalisa, ieri, coi piedi sporchi potrebbe serenamente rientrare in questa tipologia di post, e quindi di comunicazione. Il famoso, bene o male purché se ne parli, e poco importa che nessuno abbia neanche vagamente espresso un complimento per il risultato raggiunto, le diciotto settimane in Top 10 della Fimi con Maschio, intanto si è parlato di Annalisa in un caldo weekend di luglio, il risveglio, le valigie da fare, i bianchi, i grigi e i piedi neri.

Che poi magari era altro l’intendo di Annalisa, o di chi gestisce per lei i social, l’idea che ci sia qualcuno che non solo ti prepara i post, ma decide che tu debba posare coi piedi sporchi per alzare l’hype, confesso, mi mette forse anche più a disagio che il sentire una voce splendida come la sua al servizio di canzoni leggerissime, mai spiacevoli, sia chiaro, ma comunque decisamente non all’altezza del suo talento, ma tant’è. I piedi sono un argomento molto attenzionato, sui social. Nel senso che ci sono persone che smaniano per vedere i piedi delle persone, specie di quelle famose, pagine come WikiFeet mica stanno lì per caso, quindi questa foto potrebbe essere invece un tentativo neanche troppo nascosto di compiacerli. Mi raccontava tempo fa Andrea Delogu, presentatrice, scrittrice, attrice e chi più ne ha più ne metta, e anche donna molto bella, che i suoi piedi sono spesso al centro dell’attenzione di un gruppo volitivo e attivo di feticisti dei piedi. Gente, per intendersi, che le chiede con fare sempre gentile, ma immagino anche un po’ inquietante, di poter vedere i suoi piedi tramite foto, di poter avere accesso alle sue calzature che non indossa più, roba del genere. Che esistano i feticisti dei piedi, del resto, non è certo una scoperta recente, esiste tutta una bibliografia a riguardo, tra l’altro uno dei testi chiave a tal proposito è l’ormai vecchio classico L’adorazione del piede di Berarda Del Vecchio, edito da Castelvecchi diciannove anni fa, e motivo per il quale io e l’autrice ci siamo conosciuti e siamo divenuti ottimi amici, lo so, faccio studi strani, sono uno scrittore, del resto. In quel testo, ripeto, un classico, Berarda spiegava non solo le basi dell’interesse che da sempre l’uomo, inteso come essere umano, ha nei confronti dei piedi, in particolar modo gli uomini nei confronti dei piedi delle donne, ma raccontava come tutto questo avesse impattato con le varie forme d’arte, andando a raccontare qualcosa che in genere sta lì, in un angolo buio e del quale difficilmente si sente parlare a tavola durante una cena di Natale. Non credo di dire nulla di particolarmente sorprendente, quindi, nel raccontare come a alcuni feticisti dei piedi, che credo rientri in una qualche forma anche di parafilia, quindi a volte anche di un vero e proprio disturbo, piacciano anche i piedi sporchi, non voglio entrare nello specifico perché non ho alcun motivo per sostenere che quella foto sia un omaggio di Annalisa a una eventuale porzione della sua fanbase che sia feticista dei piedi, e per di più feticista dei piedi sporchi, ma era giusto per fare una di quelle chiacchiere estive, che non si farebbero mai durante il resto dell’anno.

Quando ero piccolo, parliamo degli anni Settanta, e ancora la faccenda dei cowboy e degli indiani non ci era stata raccontata con troppa precisione, lasciando che per tutti i buoni fossero i primi, sarebbe servito poi Kevin Costner e il suo Balla coi Lupi, preceduto a livello politico da Marlon Brando, che nel 1973 non si presentò a ricevere il Premio Oscar come Miglior Attore Protagonista per il film Il Padrino di Francis Ford Coppola, mandando al suo posto Sacheen Littlefeather, una nativa americana della tribù degli Yaqui e degli Apache, lì a evidenziare i maltrattamenti che gli americani avevano tributato ai nativi americani, ecco, quando ero piccolo io ho sempre simpatizzato per gli indiani, mi stava sul culo John Wayne, col suo fare rigido, trovato l’estetica dei cowboy improponibile, con quei fazzoletti al collo, le camice dentro i pantaloni, i cappelli a falde larghe, vuoi mettere gli indiani, i capelli lunghi, gli orecchini, i vestiti esotici, ero un fricchettone assai prima di sapere cosa fosse la cultura freak e la controcultura, è un fatto, e ero anche un gran bastian contrario, è altrettanto evidente. Vuoi mettere quanto era più figo Zagor di Tex Willer? Non c’era proprio storia.

Chiaramente il nativo più famoso è Geronimo, anche se oggi pronunciarne il nome mi evoca quello del neoeletto presidente dell’ACI, Geronimo La Russa, figlia della seconda carica dello stato, quindi provo un po’ meno simpatia per il fu capo degli Apache, ma anche i Toro Seduto e Cavallo Pazzo che hanno guidato le proprie tribù contro i confederati nello scontro di Little Big Horn, tanti saluti al Colonnello Custer. Quindi c’erano gli Apache, i Sioux, i Cheyenne, gli Arapaho e i Piedi Neri. Tutti o quasi nomi piuttosto musicali, a pensarci bene, Sioux ricorda ovviamente Siouxie Sioux, colei che con i Banshees a accompagnarla è stata una delle più importante artiste nella scena punk e new-wave, Cheyenne è il nome di una nota speaker radiofonica e vj, Arrapaho, con la doppia erre per giocare neanche troppo vagamente con l’ambiguità, il titolo di un film e quindi di un album degli Squallor, i Piedi Neri, quindi i Blackfoot a dare il nome a una delle più importanti band di southern rock. La cosa curiosa, riguardo i Blackfoot, è che il loro leader, Rickey Medlocke, cantante e bassista della band, per un certo periodo in forze anche ai più noti Lynyrd Skynyrd, è sì di discendenza nativa americana, ma essendo nato in Florida ha antenati nei Lakota Sioux e nei Cherokee, non nei Blackfoot o Piedi Neri che dir si voglia, ubicati in Montana e in parte anche in Canada.

Ricordo che anni fa ho letto un libro di un autore nativo americano, appartenente alla tribù degli Spokane, Sherman Alexie, che parlava di una band nata all’interno di una riserva, il titolo del romanzo era Reservation Blues. Ho letto parecchi libri Alexie, dalla iniziale raccolta di racconti “Lone Ranger fa a pugni in paradiso” fino al più recente Danze di guerra. A dirla tutta avevo già letto il racconto che dà il titolo alla sua raccolta in Panta- I Nuovi Americani, anche se lì nel titolo si citava Tonto e non Lone Ranger, Tonto era il nativo americano aiutante del Lone Ranger, eroe caucasico col vestito da con la mascherina nera alla Zorro, Panta- I Nuovi Americani, quel gioiello edito da Bompiani nel 1994 che conteneva scritti di tante firme che avrei poi amato, da David Foster Wallace a William Vollmann, da Jeffries Eugenedis a Jennifer Egan, da Donna Tartt a quello che indubbiamente allora era il mio preferito di questa covata, Mark Leyner, il geniale autore di “Mio cugino il mio gastroenterologo”. Questa antologia, in realtà una rivista sotto forma di libro, qualcosa che anni dopo Dave Eggers avrebbe esploso nel suo McSweeney’s, e la antologia edita da Theoria “Nuovi narratori americani”, di quattro anni dopo, dove si trovavano racconti sempre di David Foster Wallace, se non ricordo male proprio La ragazza dai capelli curiosi, del quale mi innamorai follemente eleggendolo a mio autore assoluto di riferimento, ma anche Don De Lillo, Rick Moody o Safran Foer, vado a memoria, a chiudere questa trilogia ideale “Schegge d’America”, tirata fuori nella collana Avant Pop di Fanucci, curata da Luca Briasco e Mattia Carratello, raccolta più generosa delle tre, come numero di autori, tra questi anche Bruce Sterling, Paul Auster, Stephen Wright, Paul Di Filippo, quello della Trilogia Steampunk, Steve Erickson, Marc Laidlaw, oltre ai soliti David Foster Wallace, Mark Leyner e William Vollmann, uscita sempre nel 1998.

Ecco, quello cui avete appena assistito, gentilmente offerto da me, è un palese e goffo tentativo di ricostruzione dell’imene intellettuale. Parlo del mio imene intellettuale, quindi potete fidarvi. Contravvenendo proprio alle indicazioni proprio dei tanti autori citati, tutti appartenenti a quel genere un tempo indicato come avant-pop, comunque ascrivibile al post-modernismo, quindi intenti a tenere insieme alto e basso, senza distinzioni di massima, tanto il capitalismo ci aveva già sottratto definitivamente qualsiasi possibilità di certezza e quindi di futuro, tanto valeva scherzarci su e scombinare le carte sul tavolo, ho iniziato mettendo le mani avanti, cioè sottolineando come di certi argomenti io parlo solo in estate, quando tutto è permesso, sono poi andato in effetti oltre, parlando dei piedi sporchi esibiti da Annalisa in una foto apparsa come corredo a un post sui social, ho provato a dare un paio di spiegazioni plausibili, una più cinicamente professionale, l’uso dei social da parte delle popstar in questa epoca iperconnessa e velocissima sempre alla ricerca dell’hype, una più pruriginosa, con la faccenda del feticismo dei piedi, spiegazioni plausibili senza con questo poter dire certe, e poi sono corso a dimostrare che sono una persona colta, che ha studiato, che conosce chi prima di lui ha affondato le scarpe nel basso, lasciando però che la cosa prendesse il sopravvento, e finendo quindi per sembrare come un paravento incapace di nascondermi. Non avrei dovuto, perché non avrei dovuto, evito di dare ulteriori spiegazioni che risulterebbero davvero come la classica exusatio non petita. A dirla tutta, quando parlando di Noemi e del suo secondo post apparentemente sbagliato ho chiuso la frase con quel “signora mia” stavo già cominciando questa operazione di delicata chirurgia estetica riparativa, seppur nel mio caso riparativa intellettualmente, andando a citare quell’Alberto Arbasino, ex Gruppo 63, che su questi temi leggeri ha giocato come credo nessun altro in Italia. E lo so, “Oops, baby, I Did It Again”, o “Ci son caduto di nuovo” che dir si voglia, non riesco proprio a fare il post-moderno al 100%, non ci riesco proprio.

Per la cronaca, si fa per dire, tutto questo discorso sul rapporto tra musica e social media, perché di questo abbiamo in realtà parlato fin qui, un rapporto non esattamente sanissimo, sarebbe potuto partire anche dalla vicenda dei Coma_Cose, impegnati in un tour estivo che li vede suonare in lungo e in largo per lo stivale, seppur qualche data sia stata soppressa, immagino per scarsità di biglietti venduti. Su di loro, sempre giorni fa, hanno iniziato a girare voci davvero sgradevoli, molto di più di un paio di piedi sporchi esibiti in una foto, una tizia ha detto che aveva visto Francesca, cioè California, baciarsi con un altro, come in Mon Amour di Annalisa, per altro, lasciando intendere a un tradimento e quindi a un imminente divorzio tra i due. Le date saltate, ha detto qualcuno, sarebbero appunto l’effetto di quel bacio. Peccato che mentre la tizia diceva questo i due erano a Trento per un concerto, e poi nella mia Ancona, ancora per un concerto. Nessuna smentita, perché immagino smentire un gossip sia peggio che subirlo, ma di fatto anche quel gosspi è servito a far parlare di loro, magari spingendo qualcuno a andarli a vedere pensando che le prossime date potrebbero essere le ultime prima di un imminente, li cito, Addio. Anche quella azione di un social media manager senza scrupoli? Vallo a sapere, in fondo proprio all’ultimo Festival hanno portato Cuoricini, canzone che parla dell’ossessione dell’essere sempre attenzionati sui social. Nel dubbio meglio parlare di piedi sporchi, è sempre imbarazzante, ma meno crudele.

Tra qualche giorno qualcun altro tirerà fuori qualcosa che sembrerà un errore, ma che in realtà errore non è. O magari sarà proprio un errore, tanto poi ci sarà qualcuno che come me proverà a spiegare che errore poi non era. Per fortuna, poi, tornerà un altro inverno, cadranno mille petali di rose, la neve coprirà tutte le cose e non ci penseremo più.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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