
Non credo che riposarsi in vista di una vacanza sia esattamente normale. Nel senso, le vacanze sono in genere il momento in cui si stacca dal lavoro, per riposarsi e rilassarsi. Certo, anche per conoscere il mondo, se si è tra quanti intendono le vacanze come momento per viaggiare davvero, ma comunque qualcosa posto tra un lungo periodo di lavoro e un altro lungo periodo di lavoro. Torni da una vacanza e vai a lavorare, non vai in ferie. Ecco, anche allenarsi in vista di una vacanza non credo sia esattamente normale. Esattamente per i medesimi motivi di cui sopra, l’allenamento prevede poi un impegno fisico di un qualche tipo, impegno fisico che comporterà stanchezza fisica, dalla quale non ci si riprenderà certo durante il ritorno al lavoro, a meno che non facciate un lavoro poco impegnativo, lungi da me fare qualche esempio che mi è però chiarissimo in mente.
Per poter fare il Cammino di Santiago è necessario allentarsi prima della partenza, perché si camminerà tutti i giorni e non ci saranno giorni di detox, nei quali recuperare, e quindi è necessario riposarsi, perché poi il nostro fisico sarà sottoposto al solito sforzo impegnativo.
Niente che io ritenga normale, quindi, ma tant’è.
Nei fatti, nelle settimane precedenti alla nostra partenza, che è coincisa con la settimana di Ferragosto, ci siamo spostati nelle Marche, nella città che ha dato i natali a quattro di noi, Ancona, a me, a mia moglie Marina, e ai nostri due figli maggiori, Lucia e Tommaso, i gemelli Francesco e Chiara sono nati a Milano. Qui non ci siamo allenati, perché io e Marina lavoravamo, almeno fino alla fine di luglio, e perché inizialmente faceva caldissimo, poi pioveva. Quando infine siamo entrati in ferie, ovviamente, essendo i soli giorni nella città che ci ha dato i natali, e nella quale abbiamo ancora amici e parenti, e essendo anche una città di mare, mare che difficilmente faremo poi alla fine del Cammino di Santiago, essendo previste alcune giornate nel nord della Galizia, tra Ferrol e A Coruna, l’acqua dell’Atlantico, da quelle parti, è freddissima, abbiamo optato per andare tutti i giorni possibili a fare giornata al mare, cambiando anche spesso spiaggia, Portonovo, Marcelli, la spiaggia del Frate a Numana, la spiaggia San Michele a Sirolo, ci è giusto sfuggita Mezzavalle, di cui ho più e più volte parlato, la mia Big Sur, perché lo stradello è franato e sarebbe stato impossibile accedervi, e quello sì che sarebbe stato un allenamento, finendo poi per passare serata a cena con amici, dormendo pochissimo e stancandoci allo sfinimento, roba da stare con la lingua fuori dalla bocca. Anche la sera prima di partire per Milano, e poi per Porto e via discorrendo, siamo stati a cena sul Conero, con amici, finendo per dormire poche ora prima di partire. Niente allenamento, quindi, e niente riposo. Esattamente quel che tutti ci avevano consigliato. Riposo che non è arrivato neanche il giorno della partenza, perché abbiamo scoperto che ci siamo sbagliati a prenotare i bagagli per l’aereo, abbiamo preso valigie da cabina e non da stiva, quindi non troppo grandi, anche perché Easy Jet ha misure tutte sue, finendo poi per prenderne una all’ultimo per metterci shampo e bagnoschiuma, che in cabina non sarebbero entrati, poi dobbiamo comunque fare i conti col fatto che l’agenzia che ci porterà le valige di tappa in tappa ha un limite di quindici chili a testa, e che non siamo conoscenza della macchina che abbiamo preso a noleggio, sulla carta una Mercedes V a sette posti, ma magari è altra 7 posti senza bagagliaio. Insomma, provateci voi a preparare valige per sei, per un cammino di dieci giorni e poi una settimana in Galizia, stando in parametri stretti e non volendo, siamo appunto sei ma di adulti siamo meno, lavare ogni giorno mutande e calzini. Anche perché, chi usa portarsi dietro poca roba, lavandola negli ostelli, tende poi a farla asciugare sullo zaino, con una sorta di stendino alla bene e meglio, posto sulle schiena mentre cammino. Ecco, semmai vi dovesse capitare di vedermi andare in giro con uno stendimo sulla schiena, con su mutande e calzini bagnati siete autorizzati a spararmi un colpo in nuca, va bene l’allenamento e il non riposo, ma a tutto c’è un limite.
Io di gente che si stende le mutande sullo zaino, in questa prima tappa, tappa che da Tui porta fino a Porrino, ne ho visto giusto uno, forse perché di pellegrini, per oggi, ne ho vjsti abbastanza ma non tantissimi. Ci siamo alzati alle sette, all’Albergue Ideas Peregrinas dove eravamo arrivati ieri sera verso le venti e qualcosa, due taxi a coprire la tratta da Valenca do Minho fin lì, valico del confine compreso, arrivo cui ha fatto seguito una cena spartana, al bar dell’albergue, dopo essere stati trattati malissimo da una cameriera di un locale nelle vie limitrofe, Ideas Peregrinas, che è fighissimo, tutto giocato su tinte gialle e col logo che ricrea un vinandante con tanto di barba (nello shop di fianco alla reception si vendevano,tazze e calzini griffate a quindici euro, t-shirt a venticinque e una mattonella con la conchiglia della capasanta gialla, simbolo del cammino, a sette euro, tutti souvenir che non ci è sembrato troppo spirituale pendere ancora prima di partire). Essendo noi sei, siamo stati così divisi, i quattro figli in una stanza assieme al secondo piano, che poi è il primo, visto che il primo è in realtà appena rialzato,e io e mia moglie in condivisione con altre tre persone al primo piano. Rientrati dalla cena, panini a jamon mangiati sul sagrato della cattedrale, a circa venti metri dall’albergue, Tui, che ha l’accento sulla i anche se non è segnato, è davvero bellissima, rientrati, dicevo, abbiamo scoperto che con noi in stanza c’erano tre giovani donne spagnole, io unico uomo della stanza, tre giovani donne spagnole che hanno fatto casino fino a oltre mezzanotte, e che stamattina si sono alzate, facendo casino, alle sei e mezza, per poi partire prima di noi. Noi abbiamo fatto colazione al bar dell’albergue, cinque pretzel al cioccolato e un cinnamon, abbiamo lasciato i bagagli ingombranti in un apposito sgabuzzino, li ritroveremo poi al prossimo albergue, a Porrino, e siamo partiti. Ieri, sul Flixbus, abbiamo scoperto che tutte le info che l’agenzia ci ha fornito sulle tappe, a partire dai chilometri, erano un po’ fantasiose, in una pagina dicevano una cosa e due pagine dopo un’altra. Per dire, sapevamo che la prima tappa sarebbe stata la più lunga, sedici chilometri,e domani ne avremmo avuto una assai più breve, in una virtuosa alternanza di sforzi, invece la tappa è stata di quasi diciotto chilometri, complice la variante complementaria che a un certo punto abbiamo deciso di fare, un chilometro e passa più del previsto, inizialmente in mezzo a un bosco, con ponti romani e fiumiciattoli da favola, poi sull’asfalto, sotto un sole cocente, quella di domani dovrebbe essere di quindici, alternanza virtuosa un ciuffolo. Inizialmente, entusiasti e quasi commossi, era tutto bellissimo, a partire alla parte periferica del centro storico di Tui, su tutto il convento delle clarisse, ma anche i boschi, i prati, uno con tanto di cavallo allo stato brado, la gente che camminava con noi, una famiglia di toscani, una coppia madre e figlia francesi, due anziani, lui con una lunga coda di cavallo, due giovani italiani, coppie di uomini a volte iper atletici, molti dei quali ce li siamo lasciati alle spalle, seminandoli, entusiasti, comprese le tre spagnole ciarliere, per amore di quieto vivere non vi ho detto di come mia moglie, mentre le tre in questione parlavano facendo casino in stanza, mi ha svegliato, sapendo che se perdo il primo sonno, che da insonne spesso manco arriva, poi non dormirò mai più, perché, diceva, stavo russando, salvo poi addormentarsi beatamente e russare, come le tre spagnole quando finalmente taceranno, io lì a rigirarmi nel letto a cuccetta, una tenda a impedire al faro nella strada di sotto di abbronzarmi ulteriormente, lo sguardo fisso sulla presa della corrente che, complice una spina multipla comprata ad hoc su Amazon, stanno attaccati il telefono, il power bank e l’iPad sul quale vergo queste parole tutti i giorni. Un primo tratto del cammino, quindi, molto bello sotto il profilo ambientale, non per nulla abbiamo vestito decine di striscioni degli autoctoni che accusavano, immagino il governo, di voler aprire qui non so che industria, i cartelli e i teli parlavano di Crime Ecoloxico, poi, arrivati sull’asfalto e soprattutto arrivato il caldo, e capito che i chilometri sarebbero stati almeno tre più del previsto, e saremmo quindi arrivati verso l’una, cioè nell’orario più impervio, la faccenda, almeno per me, è un po’ cambiata. Forse anche per mia moglie, che incarna però non solo la più ottimista e positiva della coppia, ma anche quella che ha spinto di più per fare il Cammino, quindi non ha diritto di lamento. Intendiamoci, a parte sbuffare per il caldo, uno sbuffare direi legittimo, e per la sete, giusto un paio di fontane lungo il cammino, non ho detto nulla, ma ho ripreso a chiedermi il senso del Cammino di Santiago e più in generale del camminare e basta. Perché sottoporsi a sforzi, camminare, appunto, stare al caldo sotto un sole cocente, poi tornerò sulla faccenda del caldo e del perché il Cammino portoghese, quando uno potrebbe passare le vacanze steso in una spiaggia caraibica, per altro per cifre non troppo divergenti, ma qui forse parlo perché noi siamo in sei e già solo affittare una macchina per il giro finale in Galizia ha un peso, come i biglietti aerei. Cioè, va bene l’esperienza, ma al momento la mia è una esperienza di sofferenza, male ai muscoli, i tredici chilometri di ieri a Porto, quattordici col giro a Tui, sommati ai diciotto di oggi, che col giro che faremo stasera diventeranno almeno ventidue, ventitré, sono una fatica, cui spero seguirà altro, altro che al momento mi sfugge. Cioè, capisco che sentire le cornamuse mentre siamo in un bosco in Galizia è qualcosa di sorprendente, e poco conta se il suonatore di cornamuse è arrivato lì con una macchina e chiede soldi per la sua performance, ma al momento ho caldo e sento l’acido lattico, niente ascesi.
Sono però uno abituato a studiare, in altra epoca avrei detto serenamente di essere un intellettuale senza per questo essere inusitato o accusato di flexare,quindi è nello studio che cerco la soluzione, almeno momentanea, prima di trovare la risposta nella faccia gioviale di mia moglie, che nonostante i trentacinque gradi sprizza buonumore da tutti i pori. Arrivo quindi a ripensare a un film che ho visto anni fa, del regista del film L’uomo che cadde sulla terra, Nicolas Roeg, film questo, L’uomo che cadde sulla terra, tratto dal romanzo, non eccelso, di Walter Trevis, ma con un gigantesco David Bowie, da poco dismessi i panni di Ziggy Stardust ma di nuovo a fare i conti con la fantascienza, ma il film di Nicolas Roeg cui ho pensato non era quello, bensì, L’inizio del cammino, film ambientato in Australia, e che narra le tragiche avventure di una coppia di fratelli, una ragazzina e un bambino, sopravvissuti al suicidio del padre nell’outback australiano e costretti a camminare come i nativi locali, gli aborigeni, in una metaforica ricerca del raggiungimento dell’età adulta, della ‘civiltà, forse, il film tende a dirci che non è certo la nostra occidentale la civiltà che andrebbe inseguita, il tutto raccontato con una curatidue, ventitré, alla fotografia incredibile, Roeg aveva già lavorato con Truffaut e in questo film è al suo esordio alla regia.
Il cammino, quindi, come rito di conoscenza di sé, come ricerca del proprio posto nel mondo, niente di particolarmente strutturato, ci potrebbe arrivare anche un uno di quelli che vengono erroneamente scambiati per i miei colleghi critici musicali.
Non a caso il film, del 1971, badate bene, si intitola nella versione originaria Walkabout, richiamando proprio i viaggi rituali degli aborigeni australiani.
Mentre ormai sono arrivato all’albergue Sendasur di Porrino, struttura brutalista o più semplicemente brutta all’esterno, molto gradevole dentro, qui ci sono camerate ampie, con all’interno stanze più riservate, una delle quali, a quattro, è stata assegnata ai nostri figli, io e mia moglie condividiamo la nostra con due donne, stavolta meno giovani, diciamo intorno ai cinquanta, svedesi o giù di lì, e mi rendo conto che il racconto di come ci siamo sistemati negli ostelli sembra sempre l’incipit di un film porno, roba non esattamente spirituale, comunque, mentre ormai sono arrivato, siamo arrivati all’albergue Sandesur di Porrino, io a scrivere confortato dall’aria condizionata nella sala dove si trova lo spazio comune e la reception, gli altri a riposarsi a letto, aver citato Nicolas Roeg, Woakabout e gli aborigeni non può che portarmi a chiedere questo capitolo del mio diario del Cammino di Compostela, citando un noto pezzo di Corrado Guzzanti, quando parlando dei miracoli e le possibilità praticate da Internet diceva qualcosa che suonava così, “Ma lo sai che con Internet hai modo di veicolare un numero infinito di informazioni in un microsecondo, mettiamo il caso a un aborigeno dell’Australia dalla parte opposta del pianeta?”, salvo poi concludere, “ma il problema è: aborigeno, ma io e te che cazzo se dovemo di’?”. Ecco, per oggi è tutto, direi.