
Parla del suo addio al Napoli
Oggi, 6 maggio, esce per Rizzoli il libro autobiografico del ct della Nazionale Luciano Spalletti, Pardadiso esiste… ma quanta fatica, scritto con Giancarlo Dotto.
Corriere della Sera e Repubblica hanno così dato alcune anticipazioni dei temi più caldi, come il rapporto con Totti e quello con il Presidente del Napoli Aurelio De Laurentis.
Siul Napoli e su De Laurentis, chiamato Sultano dice: «Sono andato via perché non avevo più la voglia di sostenere questo continuo conflitto caratteriale con un imprenditore capace, a cui la città deve tanto, ma con un ego molto, forse troppo grande. Aurelio De Laurentiis. Il presidente era quello che metteva la ceralacca sulle cose, su tutto, che certificava se una scelta era giusta o meno. Ero stanco di fare battaglie per ogni questione. Che fosse dare una maglia ai giocatori che la chiedevano per i loro figli o il dover cambiare gli alberghi di continuo per i motivi più disparati. Anche in questo, il Sultano sapeva sorprenderci».
Ad esempio racconta: «Il nostro albergo abituale era in corso Vittorio Emanuele. Arriva la Juventus e ci viene comunicato che dobbiamo cambiare «casa». Uno sfratto esecutivo. Noi veniamo dirottati in un altro hotel in centro, scomodo per lo spostamento verso lo stadio, con i naturali dubbi che una mossa del genere può far nascere nei calciatori. Tipo quello che sulle nostre abitudini comandino gli avversari».
«In tutta la mia storia a Napoli, ho giocato due partite contemporanee: quella con gli avversari e l’altra con il presidente». Con il quale doveva usare l’ironia: «La stagione dello scudetto, alla vigilia di una partita difficile, il presidente mi scrisse, secondo lui per motivarmi: “Puoi andare dodici punti da solo in testa, carica i ragazzi!”. Aveva aperto il rubinetto dell’acqua calda. Gli risposi: “Grazie del prezioso consiglio, presidente, ne terrò conto”».
Spalletto dice che De Laurentiis era: «troppo impegnato a giocare la sua partita personale sul prato festante del Maradona. Tutte quelle sterzate nel giro di campo in solitaria lo avevano distrutto – poi sul rinnovo – Esauriti in una riga e mezzo i formali complimenti per lo scudetto, mi sottoponeva la necessità di attenermi al contratto, rispettando il suo prolungamento automatico per un altro anno. C’era un’opzione che gli riconosceva il diritto unilaterale di avvalersene. Lui, alla firma del contratto, si era fissato che voleva fare due anni più due di opzione».
L’allenatore però voleva prima un incontro per il rinnovo cosa che non è stata gradita: «Se ci fosse stato più rispetto umano, più dialogo e più apertura su cosa ci volesse per rivincere, alla fine sarei rimasto. In ogni caso, lo ringrazierò sempre per avermi permesso di allenare il Napoli».
Su Repubblica si parla invece del rapporto turbolento con Francesco Totti: «Il nostro è stato uno scontro non fra due persone (personalizzarlo è stato, forse, un errore nostro, e soprattutto una perversione dei giornali) ma fra due prospettive opposte. Io dovevo pensare al bene della squadra. Lui, come tanti altri campioni prima e dopo di lui, non riusciva ad accettare che fosse messa la parola fine a quella storia grandiosa».
Non ha poi belle parole su Ilary Blasi: «Francesco per me sarà sempre come un figlio, allo stesso tempo la sua ex moglie non sarà mai per me come una nuora. Quando lei mi offese gratuitamente presi ancora più consapevolezza di quanto fossi un uomo fortunato ad avere al mio fianco una compagna molto intelligente, che mai mi ha messo in imbarazzo intromettendosi con così tanta arroganza e maleducazione nel mio lavoro. Può capitare, nel corso di una vita, di essere un piccolo uomo o una piccola donna. Certamente lo è stata lei quando si è permessa di rivolgersi a me in quel modo».