Calcio, Mancini: «Ho un conto in sospeso, voglio la Coppa del Mondo»
Il racconto dell’ex CT dell’Italia
Torna a parlare Roberto Mancini, in una lunga intervista a Il Giornale. Non è passata la voglia di tornare ad allenare l’Italia.
Non mancano anche i racconti dell’infanzia e di quel numero 10 sulle spalle: «a tirare la palla contro il muretto dai quattro ai sette anni. Poi sono arrivate le partitelle con gli altri in parrocchia».
Poi Mancini, si sofferma sul provino a Casteldebole per il Bologna: «Alla fine del primo tempo mi fecero uscire e non mi fecero più giocare. Pensai che mi avessero scartato e che non ero all’altezza. Era andata male. Ero molto triste. Mi avevano tolto per nascondermi. Non volevano che gli osservatori di altre squadre mi vedessero. Il provino era andato benissimo, avevano deciso di prendermi dopo neanche mezz’ora di gioco. Però tornammo a casa rassegnati, senza dire niente a mamma».
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Dopo un mese «arrivò la telefonata: “Preparate le valigie a Roberto perché deve trasferirsi a Bologna”. Una felicità che non dimenticherò mai».
Mancini si sofferma pure sull’esordio in Bologna-Cagliari a 16 anni e nove mesi arriva il primo gol: «Alla quarta di campionato, Bologna-Como 2-2, ancora non avevo 17 anni. Arriva una palla filtrante: esce il portiere, che mi pare fosse Giuliani, e io mi trovo faccia a faccia con lui. Decido di tentare il numero. Faccio il pallonetto. E vedo la palla che scavalca Giuliani, e poi seguo la traiettoria e la vedo entrare in porta e gonfiare la rete…».
Parla anche del trasferimento a Roma: «Sì, il presidente della Lazio era Cragnotti e io andai con Eriksson, che era allenatore della Samp e passò alla Lazio. Anche lì furono tre anni importanti da giocatore. Sette trofei. Dopo aver vinto lo scudetto e la Coppa Italia ho smesso di giocare e ho iniziato a fare l’assistente di Eriksson in panchina per sei mesi, nel frattempo ho preso il patentino d’allenatore».
L’avventura in panchina dell’Italia è stata accetta su consiglio di Vialli.
«Dopo un anno arrivò anche lui. Un’avventura straordinaria condivisa insieme. Il miglior coronamento di un’amicizia unica». Riportare l’Italia dopo cinquant’anni anni sul tetto d’Europa è stata un’emozione indescrivibile».
Impossibile non parlare della non qualificazione ai Mondiali: «un conto in sospeso con i tifosi».
Poi, anche se reticente parla delle dimissioni «quel saldo rapporto di fiducia che avevo con la Federazione si era reciprocamente incrinato». Eppure:«se potessi tornare indietro affronterei tutto in modo diverso, se io e il presidente Gravina ci fossimo parlati, spiegati, chiariti, probabilmente le cose non sarebbero andate così».
Mancini ha detto addio anche per motivi economici: Non nego che, per un allenatore, la proposta di una cifra così alta – anche se inferiore a quella raccontata dai giornali, eh -, ti metta in crisi. Però non è stata determinante. Ha inciso, ma non è stato solo per quello che ho lasciato la panchina della Nazionale».
Ora ha un sogno: «Alzare la Coppa del mondo. Ho ancora un conto in sospeso. Appena diventai ct della Nazionale dichiarai i miei due obiettivi: vincere un Europeo e un Mondiale».
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