Black Mirror 7, Action Figures, Studio Ghibli, siamo sicuri che le apparenze ingannino?

Sarà capitato anche a voi, seppur lo neghereste veementemente in pubblico, di incappare in una di quelle foto che circola costantemente negli anni su Instagram, una foto che sembra lasciar intravedere, che so, una chiappa o l’incavo tra due seni, la pelle abbronzata e levigata di, si suppone, una gran bella ragazza, ma che nei fatti è invece, che so?, la piega dell’ascella di un tizio o il ginocchio piegato di un altro. Uno va lì a ingrandire giocando con indice e pollice e tac, ecco svelato l’arcano. Del resto è da ben prima dell’invenzione malefica di Instagram, dei social e di internet che si dice “l’apparenza inganna”, dando per altro una indicazione apocalittica sull’oggi assai prima che qualcuno pensasse di inventarsi Black Mirror o una qualsiasi serie tv catastrofica. L’apparenza inganna, appunto, e affidarsi solo all’apparenza, o molto all’apparenza sembra non esattamente la mossa più assennata possibile, poveri stolti che siamo.

Nei fatti io, parlo per me, come sempre, sono molto affascinato dall’apparenza, e anche da come si possa apparire altri da sé, anzi, ci si ritrovi costantemente a apparire altri da sé, volenti o nolenti. Questo non perché io sia un appassionato di doppio o di psicologia, quanto piuttosto perché lavorando da sempre con la scrittura, e con la scrittura dedicata alla rappresentazione, il concetto di apparenza mi è caro, come a un artigiano può essere caro un attrezzo col quale si trova a avere a che fare da chissà quanto tempo, certo che non lo tradirà al momento del bisogno.

Prendiamo come esempio Milano. Dopo anni in cui se ne parlava con grande enfasi, la sola metropoli internazionale della nazione, la città che non si ferma, i turisti che di colpo erano presenti tutto l’anno, come tutto l’anno si susseguivano incessantemente le varie “week”, da quella della moda a quella del Design, passando per Music, Art, Tech e chi più ne ha più ne metta, negli ultimi tempi, complice l’assenza ingiustificata di un sindaco che ha già da tempo tirato in remi in barca, quel Beppe Sala eletto a proclamazione popolare grazie al successo dell’Expo e sulla scia dell’onda arancione di Pisapia, Milano è diventata una sorta di Gotham City, vittima di gang di latinos, di narcotrafficanti violenti, tutta una rissa, una rapina, tra una notte brava alla Gintoneria e uno scontro di ultras in un privè, alla presenza di qualche rapper. Fossimo in una partita di Taboo, il popolare gioco da tavola dove si deve indovinare un nome senza che i nostri compagni di squadra possano dirci una delle cinque parole che principalmente quel nome ci farebbero capire, “violenza” sarebbe la prima parola proibita, tanto è diventata legata al capoluogo lombardo, seconda forse solo alla parola “palazzinaro”, al limite sostituita da quella “cemento”. Certo, i trecento e passa chilometri di piste ciclabili che negli ultimi anni sono spuntati ovunque, a fianco a una politica in fatto di urbanistica e circolazione quantomeno discutibile, l’idea che cancellare di colpo migliaia di posti auto in strada sia un disincentivo all’utilizzo dell’automobile, converrete, è un filo bislacca, perché se uno la macchina ce l’ha da qualche parte deve pur metterla, tanto più se non ne fa un uso quotidiano, ma vedere quella che si spacciava per la “nuova Amsterdam”, a discapito di New York, che quel nome in effetti portava ai suoi albori, diventare la Nuova Dubai ti fa venire in mente l’attacco di una delle più note canzoni di Giorgia, “strano il mio destino”, ma da uno che vive a Milano, e che per lavoro è “costretto” a muoversi anche in orari notturni, i concerti per quanto inizino a orari umani, a differenza che in altre latitudini, sono pur sempre calato il sole, tutta questa violenza non la vedo, e non la percepisco. Con questo non voglio certo negarla, ma a volte mi sembra più oggetto di una esasperata narrazione, la famosa storiella che a furia di raccontarla diventa più vera di quanto non sia.

Ieri, real life, sono andato a piedi alla Pinacoteca di Brera. La Pinacoteca di Brera, lo dico a chi non fosse pratico di Milano, si trova appunto nel quartiere di Brera, in centro. Dista circa quattro chilometri da casa mia, e siccome camminare mi fa bene, perché sono mesi che sto lavorando per buttare giù i chili di sovrappeso, ci sono andato passeggiando. C’è la Design Week, in questi giorni, quello che un tempo era chiamato Salone del Mobile, nome decisamente meno accattivante e anche sviante, perché qui si vede tutto tranne che mobili, quindi, mi sono detto, avrò sicuramente modo di vedere qualcosa di interessante in giro. Senza star qui a indicare con precisione dove abito, sia messo agli atti che la mia passeggiata prevedeva il passare in zone piuttosto “centrali” per la Design Week, sempre che esistano ormai zone di Milano, almeno zone non periferiche, che non siano coinvolte in queste settimana. Alla Pinacoteca di Brera, che è anche sede della nota e prestigiosa Accademia di Belle Arti che porta il medesimo nome, in questi giorni ci sono diverse istallazioni, la più famosa è la Biblioteca di luce, una sorta di otto volante gigantesco che occupa tutta la corte subito dopo l’ingresso, quella dove si trova la statua nuda e muscolosa di Napoleone, vai a capire perché, un gigantesco scaffale aperto pieno di libri a permetterti di guardarsi intorno attraverso quella singolare lente. Io sono qui, invece, perché in un’altra corte, il Cortile Magnolia, ci sono esposte tre opere di mia figlia Lucia, e voglio vederle. Per arrivarci, quindi, ho camminato per poco più di un’ora, attraversando una parte importante di Milano, e seppur per mia natura trovi le lunghe code di gente che ha in mano depliant, indossa scarpe che in qualsiasi altro contesto considererei “da pagliaccio”, e che parla di argomenti a dir poco effimeri quanto di peggio possa esserci in circolazione, devo dire che rispetto al quadretto che emerge dalle pagine di cronaca cittadina e da una serie tv come Gangs of Milano è tutto decisamente più veritiero e edificante, poco conta che per giustificare il tutto abbiano buttato in giro opere d’arte considerabili tali solo se si è sotto la soglia dei cinque anni e si crede che i Teletubbies esistano davvero, e se il tutto è poi pagato in termini di traffico e di prezzi (parlo di affitti, ovviamente, ma anche di caffè al bar, per essere spicci) degni di Tribeca, invece sono a pochi passi da casa, che diamine. Metteteci pure che attraversando i giardini pubblici dedicati a Indro Montanelli, altre scelta discutibile di questa città nella quale vivo da metà esatta della mia vita, per scelta, ho visto uno scoiattolino correre felice neanche fossimo in un episodio della serie Chipmunks, quelli di Alvin Superstar, e che in serata, poi, rientrando da una bella presentazione del disco Ad una stella chiederò un passaggio, di Paolo Marrone e Massimo Germini, di nuovo assieme dopo il primo album dedicato a canzoni di Roberto Vecchioni, stavolta allargano lo sguardo, mettendo tra le otto tracce dell’album Il poeta di Bruno Lauzi come Quanto forte ti pensavo di Madame, con quel che poi andrete a scoprire, spero, nel mezzo, il tutto in un parterre importante, da Mauro Pagani a Pippo Kaballà, passando per Francesca Incudine, Renzo Chiesa, Umberto Labozzetta e altri addetti ai lavori, Sergio Sgrilli e Massimo Poggini nei panni dei moderatori, un incontro nel quale si è parlato di un sacco di cose, dal senso del fare oggi canzoni da interpreti, al senso di farle con sole voci e chitarre, così i due hanno lavorato, e hanno lavorato assai bene, passando, ma di questo mi occuperò in altro momento, nei prossimi giorni, per una lettura della contemporaneità a mio avviso novecentesca, si è infatti sottolineato come le tracce fossero prese una dagli anni sessanta, una dai settanta, due dagli anni ottanta e quattro dagli anni duemila, così, come se gli anni duemila fossero un decennio e non ormai ben venticinque anni di storia, e al ritorno da lì, eravamo in una vineria in piazzale Baracca, stavolta in metro, al ritorno ho fatto parte del viaggio con la Banda Comunale di Cernusco sul Naviglio, invitata da alcuni viaggiatori a suonare, invito accettato con una versione da Brass Band di New Orleans di Strangers in the Night di Frank Sinatra. Vista così, oggi, Milano appare solo una gran bella città, viva, frizzante, piena di input, quale in effetti è, magari nel mentre ci sono latinos che si prendono a bottigliate, gente che scippa altri, e fuori della Stazione Centrale ci sarà il solito giro di spacciatori in attesa di mettere le mani in faccia all’”amico delle guardie” Brumotti, ma le cose cambiano da come le si guarda, è evidente, il punti di vista e le apparenze sono dettagli di rilievo, qui come altrove. Quelle medesime apparenze che ingannano, e dalle quali, si direbbe, mai come oggi ci piace lasciarci ingannare. Al punto da lasciare che le distrazioni prevalgano sui reali punti di interesse, mentre tutto scorre, canterebbe Giuliano Sangiorgi, noi siamo tutti qui a rifarci il maquillage fumettizzandoci alla Miyazaki con le nostre foto trasformate dallo Studio Ghibli, o trasformate in pupazzi, con tanto di oggetti identificativi a fianco, grazie alla funzione Action Figure di OpenAI, quella di ChatGPT-4. Niente di fisico o reale, intendiamoci, non è che poi ne esista una versione 3D, che so?, come i Funko Pop o quella roba lì, no, Action Figure virtuali, quanto virtuali erano le immagini dello Studio Ghibli. Come se di colpo fossimo tutti delle star, Action Figure di personaggi famosi ce ne sono sempre stati, di ritorno da Brera, che emozione vedere le foto di mia figlia esposte lì, per altro, sono passato da via Tadino, dove si trova lo storico negozio Yamato, e troppe ne ho viste, e d’altra parte come se tutti volessimo in qualche modo trovarci in un luogo rassicurante, omologato, dove tutto è uguale a se stesso, senza spigoli e spunti di divergenza. Esattamente il contrario di come il mondo appare oggi, mai così frammentato e ostico, Doland Trump alla guida del più clamoroso movimento No Global mai apparso sulla faccia della Terra dai tempi degli scontri di Seattle. Quello stesso Donald Trump che del resto ha postato in piena campagna elettorale foto sue circondato da decine di gatti, o il famoso video su Gaza trasformata in una esclusiva località turistica del tutto. L’AI può questo e altro, anche per noi comuni mortali, di colpo inscatolati dentro confezioni tutte uguali di Action Figure. Il tutto senza tener conto di come, era già successo quando tutti correvamo a regalare le nostre immagini alle app che ci rendevano di colpo dei bambini o degli anziani, oppure dei personaggi in stile Simpson, oppur qualcosa di non troppo diverso da Sims o quel tipo di cartoonizzazione lì, di come si stia lavorando tutti alacremente per regalare nostre immagini alla tanto temuta AI, non parlo certo per me che sono un accelerazionista convinto, Nick Land il mio vate, e non aspetto altro di vedere finalmente l’evoluzione da homo sapiens a cyborg transumano, non bastasse quel che facciamo già quotidianamente sui social, dove carichiamo foto di ogni singolo passaggio della nostra vita, o forse sarebbe più corretto dire di ogni singolo passaggio della nostra vita che vogliamo far apparire, tutto filtrato, preciso, sotto un’ottima luce. Vi sarà capitato di vedere una qualche collezione dei Lego o della Playmobil che ricrea personaggi famosi, reali o di fantasia, e guardandoli, sorridendo, avrete pensato che sì, ovviamente per certi dettagli rimandano a chi vorrebbero in qualche modo replicare, ma sempre di una miniatura della Lego o dei Playmobil si tratta. Bene, noi, in qualche modo, stiamo lavorando per diventare tutti esattamente come quelle miniature lì, omologate e prive di reali personalità.

Oggi, proprio oggi, esce la settima stagione di Black Mirror, come spesso immagino capace di dipingere l’oggi e il domani come poche altre realtà in circolazione. Se non siete abbonati a Netflix non preoccupatevi, per vedere quello che i sette episodi ci raccontano basterà farvi una passeggiata in giro per la vostra città, o scrollare sulla vostra timeline di Instagram, è tutto lì, a colori e in bella vista, alla faccia delle apparenze che ingannano.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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