Achille Costacurta, il figlio di Martina Colombari rompe il silenzio: il buio della droga e il tentato suicidio

Dai deliri da mescalina al metadone ingerito in un centro penale minorile, fino al ritrovato equilibrio familiare. Il ventenne figlio di Billy e Martina racconta il suo inferno personale e la speranza di una nuova vita
Un nome pesante, due cognomi che suonano come una condanna per chi nasce sotto i riflettori. Achille Costacurta, unico figlio della coppia più elegante e discreta dello showbiz italiano – Martina Colombari e Billy Costacurta / ha deciso di raccontare, ancora una volta, il lato più oscuro della sua giovane esistenza. Un’intervista cruda, rilasciata a Repubblica, in cui il ragazzo non fa sconti a se stesso, né al dolore che ha attraversato.
Dopo mesi di silenzio, Achille ha svelato il suo precipizio. Parole forti, che rimbombano: un tentato suicidio, un’overdose di metadone e quel senso di smarrimento che, a soli diciassette anni, lo aveva già portato al limite. “Non si sa come io sia ancora vivo”, ha detto, ricordando i momenti in cui la vita sembrava averlo abbandonato, tra le mura di un centro penale minorile di Parma.
Il percorso verso l’abisso, a quanto pare, era iniziato prima. Appena maggiorenne, Achille era già dentro un giro pesante di droghe. Tra le sostanze che consumava abitualmente, anche la mescalina, allucinogeno messicano noto per alterare la percezione della realtà. “Ti senti Dio”, ha confidato. E in quel delirio divino, il giovane si credeva un salvatore: regalava collane d’oro ai senzatetto, accoglieva in casa sconosciuti con problemi di crack. Ma sotto l’apparenza di generosità, la sua anima stava crollando. “Le droghe sono il demonio, e il demonio ti porta via”.
Quel demone lo aveva condotto nel cuore della notte. L’episodio più grave, l’ingestione di sette boccette di metadone, l’equivalente, ha spiegato, di quaranta grammi di eroina. Un gesto disperato dentro un contesto già tragico. Era recluso da più di un anno, con alle spalle un arresto a soli quindici anni per possesso di coltelli trovati nel suo armadietto scolastico. Nessuna intenzione violenta, tiene a chiarire, solo un adolescente pieno di paure e paranoie.
Oggi però qualcosa è cambiato. La voce di Achille ha un tono diverso, non più solo rabbia o confessione, ma voglia di riscatto. Le droghe sono un ricordo tossico, e il rapporto con i genitori, una volta esplosivo, ha trovato un nuovo equilibrio. “Ora li chiamo quando torno tardi”, ammette quasi con pudore, come un piccolo gesto di normalità diventato simbolo di rinascita.
Nel futuro immagina un progetto speciale: un centro dedicato ai ragazzi con sindrome di Down. Non per redenzione, ma per amore. “Aiutare gli altri mi fa sentire le farfalle nello stomaco”. E forse, dopo tanto buio, è proprio quella leggerezza nuova a fare la differenza.