I Red Hot Chili Peppers non hanno mai suonato alle falde del Monte Conero

Sono mesi che mi interrogo sul come rendere un determinato effetto sonoro che funge da colonna sonora principale di una serie tv che ho adorato. Parlo di New Amsterdam, il medical drama che ha improvvidamente chiuso dopo la quinta stagione per questioni di ascolti, ma che era nella mia personale top 5 delle serie ambientate in un ospedale, in ottima compagnia di E.R.- Medici in prima linea, Grey’s Anatomy, The Good Doctor e The Resident. Nel caso di New Amsterdam, titolo che indica l’ospedale intorno al quale si svolge la trama, il più grande ospedale pubblico degli Stati Uniti, il cui nome è a sua volta preso dal primo nome di New York, le vicende che hanno per protagonista principale i direttore sanitario della struttura, Max Goodwin sono sempre accompagnate da assoli di batteria vagamente jazzati, comunque decisamente poco composti. Una trovata geniale, che sulle prime non è così evidente, come il piano sequenza unico delle puntate di Adolescence, che qui ha lo scopo di rendere confusionaria la vita dei medici di un ospedale, non bastassero già le vicende che nell’ospedale si svolgono convulsamente, tra emergenze sanitarie e emergenze sociali, New Amsterdam è una delle serie tv più politicizzate a riguardo, o non bastassero le vite incasinate dei protagonisti. Rullate, tempi dispari, fill e variazioni, sempre e solo con la batteria a giocarsi la colonna sonora. A me l’idea di rendere nelle frasi la musica è sempre piaciuta, anche quando il mio fare i conti con la letteratura era per così dire dichiarato. Nel tempo ho provato a rendere i codici del rap, quelli del rock, ho provato a fare il verso a certa nostra musica cantautorale, infarcendo sempre e comunque di citazioni, più o meno comprensibili a occhio nudo. Ma provare con uno strumentale è altra faccenda, e ancora di più con uno strumentale che neanche è esattamente un brano musicale, quanto piuttosto degli sketch musicali atti a sottolineare determinati momenti di una serie tv, quindi di qualcosa che poggia prevalentemente sulla parte video e sulla recitazione.
Chiaramente non ci sono ancora riuscito, ma iniziare un pezzo come quello che sto scrivendo a partire da questo aspetto mi sembrava interessante, oltre che coerente. Era per me essenziale specificare sin da subito che quel che state leggendo non è un pezzo come tutti gli altri, sempre che esista uno standard dei pezzi che portano la mia firma, è qualcosa di diverso.
Perché oggi voglio parlarvi di un posto a mio modo di vedere magico, indubbiamente bellissimo, ma che ha dei tratti di selvaggitudine che ben starebbero con un sottofondo di stacchi di batteria. Del resto siamo in estate, direi che parlare di luoghi è perfettamente lecito, se non necessario, figuriamoci di luoghi addirittura magici per la loro sevlaggitudine.
Per selvaggitudine, parola che credo di essermi inventato al momento, intendo qualcosa che presenti una natura incontaminata, quindi selvaggia. Magari non tale da poter finire come location di un reboot di Into the wild, seguitemi e mi capirete, ma comunque distante dalla nostra idea di civilizzazione. Questo nonostante questo posto magico sia incluso dentro dei confini cittadini, credo per una mera faccenda di demanio, e sia comunque non troppo distante da abitazioni civili e anche da locali. Di qui, anche, il suo essere magico. Perché è facile essere selvaggi, che so, in mezzo ai fiordi norvegesi, o nell’Africa profonda, diverso è esserlo a due passi da Ancona, la città che incidentalmente mi ha dato i natali, nella quale sono vissuto per i primi ventotto anni della mia vita e nella quale torno con una certa frequenza, anche ora che scrivo, per dire, seoni qui, oltre che per rivedere i miei cari, confesso, anche per andare proprio in questo posto magico qui.
Posto magico che risponde al nome di Mezzavalle, e che si trova nella Baia di Portonovo, nel versante settentrionale del Parco del Monte Conero. La mia Big Sur, e se avrete la pazienza di seguirvi cercherò di spiegarvi nel modo più esaustivo e suggestivo possibile perché.
Per arrivare a Mezzavalle, lì a due passi dal mare degli anconetani, Portonovo, si deve fare una lunga camminata. Si parcheggia lungo la strada che porta verso Monte Conero, se si arriva da Ancona, due gli stradelli preposti alla discesa, e poi, portando attenzione a dove si mettono i piedi, si scende per circa una mezz’ora. La discesa che porta a metà della baia, chiamato dagli anconetani “lo stradello de Manti’”, perché Mantini era il proprietario del campo che si deve attraversare prima della discesa, il passaggio pubblico dovuto in quanto unico accesso dalla strada alla spiaggia, è più lungo, ma anche meno scosceso, e comunque in parte facilitato dall’essere all’ombra. L’altro, quello di Mezzavalle, poco prima della rotatoria che fa scendere a Portonovo, è ripidissimo, scosceso, impolverato, quindi con continue scivolate di chi lo affronta in infradito o ciabatte da mare, ma decisamente più breve. Essendo così ripido è molto utilizzato dai più giovani, meno da chi teme l’infarto. In fondo a questo secondo stradello c’è la sola prova tangibile del fatto che viviamo ancora in una società cosiddetta civilizzata, perché si trova un piccolo baracchino dove è possibile acquistare per cifre degne della Villa di Cernobbio dove si incontrano i potenti della Terra, una bottiglietta d’acqua o un pezzo di pizza al trancio, il resto della spiaggia è incivilizzato, selvaggio, quindi molto più bello. A dirla tutta ci sarebbe un terzo stradello, più a nord, detto del Trave perché sbuca a ridosso di un molo naturale che si vede a pelo d’acqua, una striscia di falesia scivolata dal monte a mare, ma credo che al momento sia interdetto al camminamento, quindi meglio non dire come arrivarci.
Verso sud, invece, si vede il resto della baia di Portonovo, giusto qualche turista incauto e ingenuo pensa sia possibile raggiungere una delle due spiagge dall’altra a piedi, senza fare la discesa dal monte, turista che in genere finisce in acqua non appena i sassi di Portonovo o di Mezzavalle, a seconda da dove si percorra il tragitto, finiscono sott’acqua, rendendo il tutto impensabile.
Da qualche anno, mi dicono gli amici anconetani, c’è chi in realtà affronta una specie di maratona marina, maratona che parte addirittura dal Passetto, che è poi la sola spiaggia balneabile dentro la città di Ancona, sotto il Monumento ai Caduti che si trova alla fine del Viale della Vittoria, entrambi lasciti del periodo fascista, evidentemente. Una maratona che prevede si cammini su rocce e sassi, poi si nuoti nelle vicinanze dei vari strapiombi, partendo dal Passetto ci sono prima le Grotte della Piscina, poi la Scalaccia, tanto per fare qualche nome, proprio in questi giorni al centro di una polemica cittadina, parlo sempre di Ancona, perché a sua volta interdetta al camminamento, ma comunque molto utilizzata, lì tutti sanno che si accede da un passaggio nei pressi della trattoria della Vedova, una maratona, dicevo, che prevede si cammini su rocce s sassi, poi si nuoti, poi si torni a camminare e poi a nuotare, in una sorta di Triathlon molto impegnativo. Le grotte cui facevo riferimento fugace, per intendersi, sono quegli antri scavati nella roccia della zona che si trovano sia al Passetto che sotto la Piscina Comunale, e prima ancora, prima a nord, sotto la Grotta Azzurra.
Sono spazi scavati ormai quasi un secolo fa, resi non dico abitabili ma quasi, quindi muniti di corrente elettrica, acqua corrente, bagni, gas tramite le bombole, e proprietà dei cosiddetti grottaroli, coloro che poi si prendono la briga di tenere quelle spiagge pulite, ma le trattano per contro come fossero un po’ roba loro. Le grotte sono molto caratteristiche, con quelle porte fatte di legno colorate, le barche che si vedono appese al soffitto o trovano spazio di fronte, le tavolate di amici che pranzano o cenano senza possibilità di distinguere pranzo da cena. C’è quindi gente che parte da qui, dal Passetto, e arriva fino a Portonovo, un tragitto lungo, in auto sono oltre dieci chilometri, che pretende una buona preparazione fisica. C’è chi azzarda anche di più, e circumnaviga il Monte Conero che a nord parte da Mezzavalle e arriva poi fino a Numana, passando la parte selvaggia del sentiero del Lupo, delle Due Sorelle, i caratteristici faraglioni simili a due suore che pregano, e poi Sirolo, con le varie spiagge dei Sassi Bianchi, dei Sassi Neri, la spiaggia del Cappuccino. Vado a memoria, perché io quelle spiagge le ho fatte tutte, ma arrivandoci dai parcheggi che si trovano poco sopra, mai via mare. Non ho il fisico e ho anche imparato a nuotare troppo da grande per reggere quello sforzo. Di tutti quei luoghi il mio preferito è Mezzavalle, il più selvaggio. Anche se poi a dirla tutta da che sono adulto a Mezzavalle ci vado una volta l’anno, raramente due. Quando ero giovane, con gli amici della mia compagnia, di andavamo spesso, e spesso ci dormivamo pure. In realtà è proibito dormire a Mezzavalle, e fare bivacco, perché la zona è parte del Parco del Conero, zona protetta nella quale non si possono accendere fuochi e mettere su campeggio, a parte quelli ufficiali. Siccome però soffro di insonnia noi non abbiamo mai corso il rischio di prendere una multa dalla Guardia Costiera, che arriva a Mezzavalle via mare, o dai carabinieri, che scendono per lo stradello con una 4×4. Sempre sveglio e vigile, anche quando gli altri si addormentavano, appena vedevo qualche luce svegliavo tutti, salvandoli da multe, vuole leggenda, altissime, fin sopra i mille euro, ai tempi un milione di lire. Perché a Mezzavalle di notte si può stare, senza fuochi accesi, e si può anche stare ficcati dentro sacchi a pelo, ma non si può dormire, la giurisprudenza è un posto magnifico.
Io ho sempre visto Mezzavalle come la mia Big Sur. Ne ho anche scritto a lungo, un mio libro piuttosto noto in quella zona si intitola “Seppellite il mio cuore sul Monte Conero”, rifacendomi a chi voleva che il suo cuore fosse seppellito a Wounded Knee. Un luogo che coincide col mio immaginario, e tutti sappiamo quanto sia difficile far coincidere realtà e immaginario, dove sarebbe bello avere una capanna nella quale poter andare, a volte, per rilassarsi, o anche per scrivere, esattamente come una porzione importanti di scrittori americani ha fatto nel tempo a Big Sur. Ci ho scritto anche io, a Big Sur, per una mezz’ora, quando nel 2000 ci sono passato durante il coast to coast fatto con Cristina Donà che ha poi portato alla stesura del libro “God Less America”. L’ho fatto proprio per poterlo dire, “ho scritto a Big Sur” e sapere che lì vicino c’era la biblioteca di Henry Miller, lui li ci ha vissuto e a Big Sur ha anche dedicato il romanzo “Big Sur e le arance di Hieronymous Bosch”, o che da quelle parti c’erano stati Jack Kerouac, che a sua volta lì è vissuto, a casa del poeta Lawrence Ferlinghetti, quello che ha fondato la casa editrice City Lights, e lì ha scritto il romanzo “Big Sur”, con protagonista il suo solito alter ego Jack Duluoz, Richard Brautigan, titolare del romanzo “Il generale immaginario”, il cui titolo originale era “A Confederate General From Big Sur”, Hunter S. Thompson, l’inventore del gonzo journalism cui sono evidentemente molto debitore, ecco, sapere tutto questo ha contribuito a rendere quella mezz’oretta, verso il tramonto di un ottobre che non aveva ancora conosciuto l’11 settembre successivo e tutto quello che ha comportato, una grande emozione.
A Big Sur è stata scritta, e di conseguenza lì è ambientato il videoclip che la accompagna, “Road Trippin’” dei Red Hot Chili Peppers. La band di Anthony Kiedis, Flea, Chad Smith e John Frusciante, per festeggiare il rientro di John nella band, il Jack che è uscito dal gruppo nell’omonimo romanzo di Enrico Brizzi si chiama in realtà John, e dal gruppo è uscito e rientrato più volte, ecco, Brizzi per altro quel libro l’ha rielaborato e pubblicato a pochi passi da Mezzavalle, al centro di Ancona, dove si trovava la sede della casa editrice di Massimo Canalini, suo scopritore, Transeuropa, tornando ai Red Hot Chili Peppers, la band per festeggiare il rientro di John nella line-up si è trasferita per qualche giorno a Big Sur, per fare surf, vera passione di tutti loro (non a caso Kiedis e Flea hanno anche interpretato i surfisti bulletti nel classico Point Break di Kathyin Bigelow, storia di una band di surfisti rapinatori capitanati da Patrick Swayze e sui quali indaga l’infiltrato Keanu Reeves. Road Trippin’, tanto per dar seguito al mio essere un critico musicale, è uno dei rarissimi brano della band californiana sprovvisto di batteria. Uscito nel 2000 come quinto singolo dell’album “Californication”, andato sul mercato l’anno precedente, è a tutt’oggi uno dei classici della band che più di ogni altra ha incarnato il concetto di crossover tra generi, seppur mai pubblicata negli USA e a solo appannaggio del pubblico europeo.
Da queste parti, l’estate scorsa, c’è stato Stanley Tucci, è stato visto mangiare pasta con le vongole da Emilia, in quella porzione della Baia di Portonovo che è limitrofa proprio a Mezzavalle. Immagino che fosse per il suo nuovo format culinario che va in onda su Disney+, Tucci in Italy, format che fin qui ha raccontato cinque regioni, Toscana, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Abruzzo e Lazio. Proprio parlando della vicina Abruzzo, vicina alle Marche, nella descrizione di queste prime cinque puntate, Tucci e Dinsey+ parlano di “nuove prelibatezze in questa regione selvaggia”. Conoscendo bene anche quella terra, se Mezzavalle è la mia Big Sur, Vasto è a lungo stato il mio altro buen retiro, direi che il termine è forse un po’ forzato, ma comunque coerente. Curioso, a questo punto, di capire che aggettivo userà per la mia regione, suppongo che nei prossimi mesi la mia curiosità verrà appagata.