Anna Tatangelo ritorna con un Inferno che non fa paura

Guarda, è facile, c’è scritto lì: Gratta e Vinci. Devi grattare e vinci”. Mentre sto andando a prendere la metropolitana, diretto alla sede di Artist First, vicino all’Ambasciata Americana di Milano, assisto a questo dialogo. In realtà è un monologo, fatto da un balordo seduto a uno dei tavolini all’aperto del bar gestito dai cinesi che si trova all’angolo della piazza a fianco del palazzo dove vivo, altri tre balordi il suo uditorio. Sono seduti fuori, la primavera sta arrivando e fa decisamente caldo non appena smette di piovere, e sul tavolino di fronte a loro, in metallo, ci sono una trentina di Gratta e Vinci. Sento questo discorso senza senso e sarei quasi tentato di fermarmi e dire che no, le cose non stanno esattamente così. Gratta e Vinci è un auspicio, non una certezza. O forse è una pubblicità ingannevole, basata su un buon senso che evidentemente non è universale. Certo, se si fosse chiamato Gratta e Forse Vinci avrebbe funzionato meno, il dubbio non è mai un grande incentivo a spendere, figuriamoci a spendere per chi cerca fortuna.

Ovviamente non dico nulla e passo oltre, sorridendo, appuntandomi mentalmente la scena, convinto che prima o poi la userò. Più prima che poi, visto che il tutto è successo poche ore fa, il tempo di arrivare in Artist First, fare la mia intervista, riprendere le due metro che dividono la mia meta da casa, aspettare che la compagna di classe con cui mia figlia sta facendo i compiti liberi la scrivania dove solitamente scrivo e iniziare a digitare sul computer. Nel mezzo, e non è un dettaglio irrilevante, un passaggio in lavanderia, dove ho ritirato la trapunta matrimoniale, lavata, e qualche minuto passato a lavare e tagliare in piccoli pezzi simmetrici due vassoi di fragole, cui ho aggiunto zucchero e succo di limone, pronti per cena.

Tra la semplice e semplicistica spiegazione di come dovrebbero funzionare i Gratta e Vinci e io che mi metto al computer a scrivere, a parte le azioni che ho descritto, ho fatto una chiacchierata di circa cinquanta minuti con Anna Tatangelo, qui a Milano per il lancio del suo singolo Inferno, il primo da circa quattro anni a questa parte. Anna è stanca, mi dice, perché ieri ha fatto tardi al release party del brano, tipo le tre di notte, ma a vederla non sembra, è impeccabile. Conveniamo che non ci vediamo da prima del Covid, quando a Sanremo era venuta ospite dell’attico che avevo affittato per farne il mio studio televisivo, Attico Monina. Del resto, nel mentre, ha fatto molto poco in musica, per motivi legati alla sua vita privata, storie che tutti conoscono e che non troveranno spazio in queste mie parole. Quattro anni, in musica, sono ere geologiche. Oggi, al tempo di Spotify e di Daniel Ek, il Ceo dell’azienda svedese, che chiede, o forse impone, che si esca con un singolo al mese, qualcosa che è troppo grande per essere descritto, ere e ere geologiche, c’erano i Dinosauri e i T-Rex e siamo direttamente sulla Luna a camminare a mezzo metro da terra mangiando pillole colorate. Il fatto è che Anna ha voluto resettare la sua carriera, e anche la sua vita- Difficile stabilire se le due cose siano andate in parallelo, o se l’una sia figlia dell’altra. Nei fatti oggi Anna sembra come liberata, nel senso di libera e quindi padrona del proprio destino, e anche da quelle sovrastrutture che in realtà le sono state appioppate e appiccicate addosso. La carriera di Anna Tatangelo, trentotto anni, per intendersi tre più di Elodie, due meno di Annalisa, è cominciata quando lei era poco più di una bambina, quindici anni, quando non c’era Spotify, appunto, forse esistevano ancora le audiocassette e non come oggetto di modernariato, non c’erano i social e chi andava a Sanremo ci andava per onorare un’idea di bel canto che era anche il nostro vanto nel mondo. Pensateci, una trentottenne che abbia alle spalle non qualche anno, quindi qualche disco, quindi qualche concerto, ma qualcosa come ventiquattro anni di carriera, tanti ne sono passati da che ha partecipato all’Accademia di Sanremo, vincendo e accedendo quindi a Sanremo Giovani 2002. Pensateci, e pensate a come si tenda in genere a considerare più grandi anagraficamente quegli artisti che abbiamo imparato a conoscere quando erano giovanissimi, che so?, Cesare Cremonini, Tiziano Ferro, entrambi quarantacinquenni ma che tendiamo a accomunare ai cantautori della generazione precedente, quei Daniele Silvestri, Samuele Bersani, Niccolò Fabi, che nei fatti hanno oltre dieci anni più di loro. Per lei il discorso è diverso, perché, vuoi anche per le sue vicende private, si è a lungo parlato di lei come di una giovane adulta, anche quando era ancora in età adolescenziale, in qualche modo non solo rubandole il diritto di essere giovane, e quindi di guardare alla musica anche con un certo carico di leggerezza, ma anche di non dover sentire il peso di avere una voce impeccabile, di avere in repertorio canzoni che sono diventate presto popolarissime, di essere sotto i riflettori senza con questo inficiasse il reale valore del suo talento, presto bollata come la compagna di. Ora, avendo io stabilito di non nominare mai l’elefante nella stanza, nonostante io sia amico fraterno dell’elefante in questione e forse anche per questo, consapevole che non è di lui che si parla qui e ora, e che forse se ne è sempre parlato troppo parlando di Anna Tatangelo, preferisco concentrarmi sulla scelta di un brano come Inferno come veicolo di un proprio ritorno. Un brano volutamente leggero, giocato sulla passione più che sul peccato, l’inferno non è certo un luogo di patimenti, in questo caso, semmai dove la gradazione è decisamente alta, una canzone che segna una virata decisa rispetto al repertorio precedente della cantante di Sora, preludio a quel che sarà il suo nuovo album, lei non me l’ha detto, ma immagino previsto a ridosso delle due date del Tatangeles, l’11 novembre alla Casa della Musica di Napoli, il 12 ai Magazzini Generali di Milano. Due concerti lanciati con una certa epica, il titolo dice molto, l’immagine di una Anna vestita da angelo, un elmo da guerriero lasciato lì in terra, dice il resto, il fatto che nel mentre lei abbia studiato ballo e che il tutto confluirà nello show ulteriore motivo di curiosità, già non bastasse pensare a come le canzoni che hanno segnato il suo repertorio fin qui possano convivere coi suoni di Inferno, dove la sua voce bella e educata, che non necessita di autotune perché è intonata di suo, e non è certo una scoperta dell’ultima ora, sarà indubiamente il fil rouge a tenere insieme il tutto, ma i brani nuovi finiranno per suonare decisamente più giovanili dei primi, una Benjamin Button meno bionda di Brad Pitt, ma non per questo meno bella. Ecco, di questo non abbiamo parlato, di corpi. E non ne abbiamo parlato non per pudore, abbiamo affrontato temi come la morte, i figli che crescono, la percezione che gli altri hanno di noi, anche se in realtà è di lei che si parlava, ma perché il tempo è andato più veloce di quanto non ci sembrasse, la collega che sarebbe dovuta entrare dopo di me di fuori a aspettare per oltre un quarto d’ora. Avrei voluto chiederle del suo corpo, perché mentre è stata via, in questi quattro anni, anche i corpi hanno in qualche modo cambiato il loro modo di stare sotto i riflettori, parlo di corpi femminili. Senza star qui a tirare fuori il solito Gino Paoli che tempo fa ha parlato a sproposito del culo di Elodie, è evidente che dopo un lungo, lunghissimo black out sui corpi femminili, a riguardo ci ho scritto un libro, Venere senza pelliccia, uscito nel 2017, ci ho fatto un Ted-X col medesimo titolo l’anno successivo, a Matera, e anche un monologo teatrale, Cantami Godiva, lei si sarebbe ritirata di lì a breve, quando ancora un certo oscurantismo ammantava non solo l’estetica, ma anche i testi, totalmente desessualizzati come se le donne dovessero sempre e solo cantare di sentimenti e null’altro. Oggi la faccenda è diversa, e lei, trentotto anni, un fisico statuario, si sarebbe detto in passato, sembra del tutto intenzionata a vivere anche questo aspetto sgravata dal peso di dover fare i conti con lo sguardo giudicante degli altri. Mica è un caso che la copertina del singolo Inferno ce la mostra sinuosa a ballare di bianco vestita con un velo altrettanto bianco tra le mani su quella che potrebbe essere una duna del deserto, ma che a sguardo più attento si dimostra essere una chiappa, l’effetto dune dato dall’incavo dello schianto, quella di fronte a lei è infatti un gomito. Corpi, appunto.

Tra una chiacchiera e l’altra si è parlato anche di patriarcato, come a dover flaggare una casella oggi di un certo rilievo, e se ne è parlato guardando alle origini, ma anche al mondo della musica, e anche a quel che ancora oggi passa il convento, il mio buttare sul tavolo con nonchalance il fatto che in casa da qualche tempo sia io a stirare, in effetti, uno squarcio di anomalia che fai il paio con questo mio ostinato incaponirmi a non voler mai parlare delle vite private degli artisti.

Un ritorno importante, quello di Anna Tangelo, una che ha comunque una carriera alle spalle che molti dei nomi che oggi spopolano nelle Playlist si sognano la notte. Un ritorno con tempi non da Playlist, certo, un singolo ora, prima dell’estate, ma che non è esattamente un tormentone, non per resa ma per intenzione, un album non si sa bene quando, intanto due date fissate per l’autunno inoltrato. Un ritorno che è figlio della voglia di rimettersi in gioco, dove la parola gioco ha ovviamente un senso letterale ma anche letterario, un tempo si sarebbe detto “riprendersi quel che è suo”, ma forse suonerebbe un po’ troppo epico. Il fatto è che, Anna lo sa, la vita e la carriera mai come oggi va affrontata con le spalle larghe, perché non funziona come pensano i tipi seduti al tavolo del bar gestito dai cinesi nella piazza di fianco a casa mia, gratti e quindi vinci. Cosa di meglio che indossare le ali esibite nella locandina di Tatangeles per dissimulare quelle spalle larghe? Bentornata, Anna.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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