Contestata Yuval Raphael a Eurovision, ma nessuno in Rai lo dice

Avevo deciso di non scrivere niente di Eurovision. E non certo perché io consideri questa manifestazione, nei fatti uno spettacolare programma televisivo che ha incidentalmente la musica come scusa per mostrare nani e ballerine, qualcosa di clamorosamente vicina alla mia idea di trash, figuriamoci, mai avuto problemi a occuparmi di trash, quanto piuttosto perché avevo deciso di boicottarlo. Per chi fa il mio mestiere, cioè quello di scrivere e di veder pubblicato quello che scrive, ignorare è spesso un’arma, e uso la parola arma non a caso, più potente che il criticare negativamente, perché il motto “bene o male purché se ne parli”, in epoca social, è tornato tristemente in voga, il silenzio si fa potente, quasi una forma di ghosting letterario.

Volevo boicottare Eurovision, e il fatto che io usi un verbo passato e stia qui a parlarne afferma in maniera incontrovertibile che ho cambiato idea, perché non sono affatto d’accordo che in quel contesto così in apparenza votato all’inclusività, la comunità LGBTQ+ ha una rappresentazione che manda letteralmente ai matti uno come il generale Vannacci, e a un’idea di Europa coesa e compatta, anche per questa messa in campo di diversità culturali e antropologica che a volte fa sorridere, credo che la presenza di Israele sia una crepa che nessun artigiano giapponese potrà mai aggiustare con un filo d’oro, al fine da evidenziarne l’importanza. Ecco, fossi infatti uno di quei tizi che evidenzia le crepe e le cicatrici ricorrendo all’oro, una faccenda che ai miei occhi è anche abbastanza stucchevole, forse addirittura inventata, un po’ come la questione del calabrone che non saprebbe che per una questione fisica non può volare e quindi vola, cazzate, se io fossi uno che evidenzia le crepe dei vasi, Eurovision nello specifico il vaso, o forse più l’idea stessa di Europa inclusiva che Eurovision vuole rappresentare il vaso, ora starei usando escrementi per sottolineare quella crepa, perché fuori di metafora questo è quanto mi arriva dalla manifestazione in questione. Sappiamo tutti come, a guerra tra Russia e Ucraina, Putin a lanciare l’attacco di Zelensky, Eurovision sia diventato una sorta di megafono del comune sentire, con la Stefania della Kalush Orchestra a vincere per i colori dell’Ucraina senza alcun reale motivo musicale. Che poi, è chiaro, la musica a Eurovision conta assai poco, ci sono canzoni che non ascolteremmo neanche se ci legassero a una sedia e ci costringessero come capita all’Alex di Arancia Meccanica con la Cura Ludovico, canzoni che giustamente scompaiono un attimo dopo che i coriandoli dorati che vengono sparati per proclamare la vittoria si appoggiano sull’Arena che di volta in volta ospita l’evento, vedete voi che fine ha fatto Nemo dall’anno scorso a oggi, ma in quel caso la vittoria era davvero annunciata, perché si voleva lanciare un segnale chiaro, con buona pace di chi partecipava magari convinto di avere una chance. Mentre Stefania diventava la canzone vincitrice dell’edizione del 2022 di Eurovision Song Contest, il concorrente o la concorrente della Russia, non ricordo ovviamente di chi si trattasse, se ne stava a casa a leggere Tolstoj, tanto per far contento Roberto Vecchioni, escluso dalla competizione per motivi legati appunto alla guerra. Scelta magari discutibile, per altro applicata anche alle olimpiadi e alle vicende sportive, ho amici che lavorano per aziende russe che si trovano costretti a fare riunioni in presenza coi propri capi a Dubai o in Turchia, per questa faccenda della guerra e della messa al bando dei russi. Mi sfugge, quindi, perché quest’anno, come l’anno scorso del resto, Israele non abbia subito la stessa sorte. Israele è in guerra contro un nemico che ha invaso e verso il quale sta compiendo un genocidio, vivo di parole e per me usare le parole corrette è una ragion d’essere. Una sorta di pulizia etnica, non c’è altro modo di chiamare chi rade al suolo scuole, ospedali, edifici abitativi, uccidendo civili, bambini, donne, infermi, il tutto con la scusa di essere stati attaccati da Hamas, e additando Hamas come vero responsabile del tutto, come se ci fosse bisogno di sottolineare che Hamas a sua volta è il male, ma tagliare la testa a qualcuno per risolvere il problema della forfora mi sembra un po’ eccessivo, affamare un popolo bloccando l’ingresso a Gaza di derrate alimentari da settimane, distruggere qualsiasi edificio ancora in piedi, uccidendo chiunque capiti, pure. Per non dire di quei video agghiaccianti, parlo di quelli nei quali la influencer israeliana percula una madre disperata che tiene in braccio il proprio figlioletto morto, o quelli che tutti abbiamo visto con orrore dei militari che fingono di festeggiare il prossimo arrivo di un bambino perché l’esplosione di un palazzo ha dato una fumata azzurra, come nel gender reveal.

Credo, e lo credo fortemente, che nel caso di Yuval Raphael, si sarebbe dovuta applicare la medesima messa al bando toccata a suo tempo al concorrente o alla concorrente russa, contando per altro sul medesimo oblio del caso. Il fatto che Israele abbia mandato a Basilea proprio una artista coinvolta nel massacro, le parole sono importanti, che Hamas ha compiuto il 7 ottobre 2023, ovviamente, è un atto politico. Eurovision mette al bando qualsiasi posizione politica, escludendo a priori la possibilità di dichiarazioni intorno al contesto, ma anche censurando eventualmente testi che abbiano riferimenti di tale fatta. Ma con Israele, ancora una volta, viene fatta un’eccezione. Del resto, lo abbiamo visto tutti, io involontariamente, giuro, arrivando su Rai2 proprio mentre cantava la cantante israeliana e smettendo di farlo subito dopo la sua esibizione, infastidito, la Raphael è stata accolta da fischi e bandiere palestinesi, poi rimosse, mentre quelle israeliane sono rimaste tutte lì, in bella vista. Su questo, cito Selvaggia Lucarelli, che è una delle poche voci attive in Rai che non si è mai tirata indietro a riguardo, anche la foto che vedete l’ho rubata a lei, grida clamorosamente come il quadro di Munch il silenzio di BigMama e Gabriele Corsi, chiamati a commentare le esibizioni. Passi Corsi, che non è solito esporsi su nulla, occupandosi di intrattenimento duro e puro, ma il core business di BigMama, spiace dirlo, è chiaramente quello del farsi voce di chi viene discriminato, a costo di risultare spesso stucchevole, lì a parlare di continuo di hating, di bullismo e via discorrendo. Ma di Israele e del genocidio in atto, invece, niente, come dei fischi ricevuti dall’artista che Israele rappresenta. Una censura ulteriore, non tanto verso la Palestina, assente, quanto rispetto a chi evidentemente vuole sottolineare l’orrore che Israele sta compiendo nei confronti degli abitanti della striscia di Gaza. BigMama, spiace dirlo, ha fatto esattamente quel che quei poliziotti diventati virali, quelli che hanno rimosso le bandiere palestinesi in casa di una ragazza di Lecce, perché di lì sarebbe passato il Giro d’Italia. Un atto, per altro, totalmente fuori da ogni logica, perché esporre una bandiera non rappresenta un reato di alcun tipo, né paventa possibilità di reati. BigMama, verrebbe da dire, ha fatto la medesima cosa, rendendosi complice di chi in effetti Israele lo ha comunque voluto a Eurovision.

Sono un estimatore di Lucio Corsi da tempi non sospetti, l’ho invitato con mia figlia al nostro podcast Bestiario Pop e ci ho anche fatto un talk/concerto a Villa Reale di Monza, nel 2023, quindi avrei anche tifato per lui, come magari per Tommy Cash, a sua volta assai interessante sotto il profilo situazionista. Ma continuerò a boicottare Eurovision, evitando di scriverne e di guardarlo, nella speranza di leggere, poi, magari, che almeno nella finale uno di loro due, o qualcun altro dei cantanti in gara, si sia deciso a dire o fare qualcosa che ricordi il genocidio in atto non troppo lontano da noi. Quanto a BigMama, spiace, ma capisco il voler portare a casa la pagnotta, ma la sua credibilità, per me, finisce qui. Imparasse da Enrico Ruggeri, che a discapito dei tanti che hanno paura di esporsi, su Gaza ci ha scritto una canzone, Zona di guerra, prendendo una posizione netta e precisa. Il resto sono chiacchiere vacue, come vacuo è lo spettacolo che Eurovision ha dimostrato di essere, torno quindi a non parlarne.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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