Caso Garlasco, parla il professore della perizia sul DNA

Poggi

Fu lui a scagionare Sempio

Parla Francesco De Stefano, professore a cui venne affidata la prima perizia del DNA trovato sotto alle unghie di Chiara Poggi. Ha parlato dalle pagine di Corriere della Sera: «Sono sincero. Siccome io non ho verità in tasca inizialmente mi sono chiesto: ma davvero mi è sfuggita una cosa così grande? Sono andato a riprenderla e ristudiarla e vabbè, mi sono tranquillizzato. I risultati quelli sono e quelli restano».

Attualmente è in pensione e dice che nulla dovrebbe essere cambiato: «Come fa a cambiare? Quel che è scritto è risultato durante le operazioni peritali a Genova, tra l’altro in presenza e in accordo con i consulenti di Alberto Stasi. Se ci sono quattro marcatori su 16 quelli sono. Se c’è solo il cromosoma Y c’è solo lui. E vorrei ricordare che il cromosoma Y ci dice che la persona è di sesso maschile, non ci serve a identificare chi potrebbe essere. Tra l’altro, io ero e resto convinto che nei risultati ci sono almeno due cromosoma Y».

Poi sul Dna:  «In un marcatore abbiamo trovato due caratteri genetici e dovremmo trovarne uno perché la Y in un essere umano di sesso maschile è una. Erano marcatori frammisti a risultati incostanti, spesso diversi fra loro. In più abbiamo ripetuto l’esame tre volte e ci ha dato tre risultati diversi. Lo capisce chiunque che la replicabilità del risultato è importantissima. Quel giorno le assicuro che non c’è stata. Quel Dna non era attribuibile a nessuno».
Si dice scettico sul nuovo software in grado di dare esiti diversi: «Nella comunità scientifica c’è sempre stato una sorta di pregiudizio nei confronti dei software… Perché i software non fanno altro che elaborare le informazioni partendo dai dati che gli vengono forniti. E, per fare un esempio, se io trovo quattro marcatori sotto un’unghia, due sotto un’altra e tre sotto un’altra ancora non ne ho trovati nove da inserire tutti assieme nel software. Sono tre dati diversi. Glielo devi dire al software».

«E comunque, io non ho questa tigna, mi perdoni il termine, di voler difendere a tutti i costi quella perizia. Ci sono tecniche nuove, ne sono felice, grazie al cielo la scienza si evolve. Se mi smentiranno ne prenderò atto. Ma venirmi a dire che con quei dati si sarebbe potuta fare un’identificazione… mi cadono le braccia e dico: va bene, fate come vi pare. Poi le cose si riassumono dentro un’aula di tribunale. Io al giudice ripeterò quello che ho già scritto in quella perizia, compresa la questione del trasferimento».

Poi sul famoso Dna dice che sarebbe stato trasferito da contatto con oggetti: «Leggo che ci si chiede come è potuto rimanere così tanti giorni il Dna su qualche oggetto toccato dall’indagato e poi dalla ragazza. Faccio presente che il Dna non ha ali e non vola. Rimane lì, magari si degrada ma resta. Sulla tastiera o sul mouse di un computer ma anche su una maniglia, sullo stipite di una porta…».

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