Elio ci dice che Troia sta per essere rasa al suolo (c’entra Olly e anche Atena)

I tempi sono cambiati. Credo che non ci sia frase più balorda di questa. Perché il tempo è appunto un concetto che prevede un continuo cambiamento, pur dentro una struttura rigida fatta di frazioni meccanicamente scandite. Che i tempi e il tempo non siano esattamente la medesima cosa, ovviamente, non mi sfugge, ma che i tempi siano legati all’incedere del tempo è altrettanto ovvio, non essendo dentro il flusso prestabilito di un videogioco anni Ottanta nulla può essere ciò che è stato, quindi i tempi cambiano, sì.
Lo dico a partire da quel che si sta dicendo in queste ore sui social, riguardo certe legittimissime esternazioni di Elio, quello degli Elio e le Storie Tese a Andrea Spinelli del Giorno, riguardo l’inesistenza della musica d’oggi, l’imbarazzo provato per Olly che ha vinto il Festival cantando con l’autotune e tutte quelle faccende lì. Qualcuno sta dicendo, molti, i tempi sono cambiati. E grazie al cazzo, verrebbe da aggiungere, a mo di piccata risposta. Ma che i tempi cambino puntando a una involuzione invece che a una evoluzione non è fatto di per sé naturale, anche se la Storia ci sta in partendo dicendo questo. E comunque provare a sovvertire l’ordine innaturale delle cose, se l’ordine innaturale delle cose porta verso una involuzione, credo che non solo sia plausibile, ma da guardare con stima, forse anche con affetto.
Per dire, poche ore fa ero in uno dei poli ospedalieri milanesi più eccellenti. Ero lì con mia moglie, per una cosa di routine. La prima cosa che mi ha colpito, dopo aver parcheggiato, era l’assenza della possibilità di pagare con una app, tipo Easy Park, come ormai è fattibile praticamente ovunque, anche in quei posti ameni che poi vengono premiati come Borghi D’Italia per il loro essere sopravvissuti incontaminati al progresso. Lì è possibile, qui no. Devi cercare un parcometro, e Dio grazie che almeno lì si può pagare con la carta di credito e non con le monetine. Altra cosa che mi ha colpito, più lentamente, molto più lentamente, il fatto che pur essendo un’eccellenza, arrivati poco dopo l’alba, e trovandoci già settanta persone davanti, va sottolineato, abbiamo dovuto aspettare un’ora e mezza per fare l’accettazione, una roba che ti fa rimpiangere di non essere in coda alle Poste per ritirare la pensione. A un certo punto, quindi, siccome ottimisticamente avevo pensato di metterci molto meno, sono dovuto uscire, per rifocillare il parchimetro. Tornando, seguendo le linee colorate a terra, quelle che mi avrebbero riportato da mia moglie, ancora seduta in attesa che arrivasse il nostro numerino, mi sono trovato davanti un robottino rettangolare, alto poco meno di un metro, che pulendo a terra come un Roomba più grande, eseguiva a un volume accettabile la musichetta dei Muppet Show, facendo in qualche modo intrattenimento in un luogo di malattia e dolore. I tempi cambiano, ho pensato, anzi, i tempi sono cambiati. Quando poi è finalmente arrivato il nostro turno, un’ora e mezzo dopo il nostro arrivo, attenzione, ci ha accolto allo sportello quattro un tizio dal look decisamente poco associabile, sulla carta, alla cassa di un importante ospedale privato. Braccia completamente tatuate e scoperte, orecchini vistosi ai lobi delle orecchie, una collana il cui ciondolo era costituito da una manetta, manco fossimo nei club di Scuola di Polizia. I tempi sono cambiati, ho pensato, provando a immaginarmi l’effetto che la vista di un cassiere così vestito avrebbe fatto a un mio avo. Certo, probabilmente anche io, cinquantacinque anni, quasi cinquantasei, la cravatta indossata tre volte in vita mia, i capelli lunghi, spesso spettinati, non avrei fatto una bella impressione ai miei avi, a meno che i miei avi non fossero, che so?, dei pirati, cosa per altro non del tutto implausibile, arrivando io da una famiglia sviluppatasi in una città di mare.
I tempi sono cambiati, ripeto. E nel cambiare prevedono sviluppi positivi, l’età media di quanti erano in coda con noi, nel secolo scorso, anzi, un secolo fa, non sarebbe stata plausibile, troppo orientata verso gli ottanta. E a dirla tutta anche la presenza dei pochi giovani sarebbe stata implausibile, molti impegnati in guerra. Non ci sarebbe proprio stata questa struttura, più che altro, e se anche ve ne erano di simili, in scala ridotta, non erano aperte al pubblico, alla gente. Insomma, non è tutto da buttare. Ma molto sì, il fatto che spesso ci si ritrovi qui per malattie dovute allo stress, a una cattiva alimentazione figlia dell’industrializzazione della filiera alimentare, e che comunque abituatici a un certo tenore di vita anche solo l’idea di star male ci risulti irricevibile, rendendo ancor più faticoso qualcosa che di suo non è esattamente una passeggiata, tutto depone a sfavore dell’oggi, non bastassero le varie guerre, i cambiamenti climatici e tutto il resto. Dico questo non per fare il boomer che difende un boomer, Elio, perché tanto è scritto che andrò a parlare di musica, lo sapete benissimo anche voi, quanto perché il tema dell’involuzione/evoluzione della musica, intesa non tanto quanto intrattenimento ma in quanto forma d’arte, mi sta molto a cuore, e credo sia parte portante del mio lavoro. Ne parlavo giusto oggi, nel pezzo “Lucio Corsi e il valore armonico di un Gin Fizz”, lo trovate in archivio, affrontando il tema di come a ben vedere l’amore che sta accogliendo in queste ore Lucio Corsi, in realtà artefice di una musica che affonda abbondantemente le radici negli anni Settanta, siano essi gli anni Settanta dei cantautori o quelli del glam rock inglese, e provando a sottolineare come questa musica, di colpo al centro dell’attenzione di un pubblico decisamente esteso, sia in netta contrapposizione a quella figlia dell’algoritmo, una accozzaglia di pezzi di canzone scritti in serie da autori che proprio i dettami dell’algoritmo seguono. Un ragionamento, il mio, partito da un discorso sentito mentre ero in cassa al supermercato, che ben si sposa con quello che Elio ha detto a Spinelli, il rischio di boomerismo lì dietro l’angolo, ma in fondo chi se ne frega dei rischi di essere scambiati per altri da ciò che si è. Elio tira in ballo artisti del passato che, con la loro arte, appunto, hanno provato a scardinare i canoni vigenti, da Jannacci a Gaber, per citare i due più famosi, ma anche Cochi e Renato o i Gufi, tutti al centro del suo ultimo spettacolo, Quanto un musicista ride, così da provare a fugare un altro rischio davvero onnipresente in casi come questo, quello di sentirsi dire che tutti gli artisti si son sentiti dire che era meglio quel che c’era prima, e ciò nonostante hanno resistito e sono poi diventati i classici che qualcuno ha usato poi per fare i medesimi ragionamenti.
Vero, ma fino a un certo punto. Perché quando l’arte asseconda un algoritmo, come succede ora, spostando tutto il mercato su canzoni che un tempo avremmo detto “scritte a tavolino”, le canzoni di plastica che ci facevano rabbrividire negli anni Ottanta, per dire, il rischio reale è che non ci sia più spazio per chi prova a fare arte, un mercato saturo in ogni suo spazio e quindi incapace di accogliere qualcosa che suoni non dico originale, ma quantomeno divergente rispetto al flusso. Roba che davvero viene da sperare che l’arrivo dell’AI anche nelle piattaforme di streaming, quelle i cui algoritmi hanno dettato la linea negli ultimi anni, acceleri clamorosamente il tutto, scalzando i vari autori in serie, portandoli a un’estinzione più veloce del loro arrivo sulle scene, con conseguente implosione del mercato, invaso da milioni di canzoni tutte uguali, per scrittura, composizione, suoni e interpretazione.
Elio non cita la retromania canonizzata da Simon Reynolds, la sua è pur sempre un’intervista, mica un saggio, ma è indubbio che la musica sia oggi come oggi quasi sempre un rifarsi al passato, sia esso remoto, come nel caso di Lucio Corsi, sia esso a noi tanto vicino da sembrarci addirittura l’oggi, a Sanremo mi è capitato di parlare di suoni vintage e revival con Sarah Toscano, in gara con una canzone che richiama gli anni Ottanta e che si intitola non a caso Amarcord, e lei mi ha steso dicendo che ama rivolgersi al passato, chiosando poi “mi sono rifatta agli anni duemila”, uccidendo il cinquantacinquenne che è in me. Dopo un’escalation, quasi un crescendo wagneriano di generi che si sostituivano ai generi dominanti, questo dall’arrivo del rock’n’roll in poi, di colpo ci siamo fermati negli anni Novanta, già il grunge un giocare con quanto hard rock e psichedelia avevano fatto in passato, lasciando che a dettare la linea divenissero di volta in volta più che i suoni, la poetica o comunque quanto concerne la parte artista, il modo di fruizione, con l’assurdo attuale che vuole siano le piattaforme di streaming a decidere un po’ tutto quel che è permesso o non permesso, alla faccia della creatività. Discorsi da boomer? Può darsi, ma in caso viva i boomer. Anche quelli di appena vent’anni che si ostinano a fare il loro, penso alla cinquantina di artisti che sono venuti da noi a CasaBontempi durante il Festival, passati per i tre format Morning Leaks, Punkremo e a parlare con me a Musicleaks, penso a quanti stanno arrivando al Germi di Manuel Agnelli, ospiti della rassegna Carne Fresca, e penso ai tanti, tantissimi che non si rassegnano a accontentarsi di essere “quel che passa il convento”, perché non si può arginare l’aria, figuriamoci la fantasia.
Quindi ha fatto bene Elio a rompere gli schemi, anche indicando nel modo di cantare di Olly, che ha usato l’autotune non per cifra stilistica, per quello andatevi a sentire Kamikaze di Lucio Dalla, per dire, non certo Balorda nostalgia, ma per necessità, il famoso aiutino da casa di certi giochi serali che vanno ancora in scena dentro la nostra televisione. Cassandra diceva che Troia sarebbe stata attaccata, e mentre Troia invasa dai greci va alle fiamme è lì inascoltata, lei che aveva ragioni da vendere. Certo, la fine di Cassandra, stuprata, rapita, ridotta al ruolo di concubina e infine uccisa non è magari il migliore che potevo fare, fermiamoci quindi al momento in cui grida al pericolo, fingiamo che Atena sia riuscita a salvarla da Aiace, ci si fossero fermati anche i troiani, è storia, la faccenda sarebbe sicuramente finita diversamente per loro. Forse anche per noi.