Quali sono i 10 film, per voi, più belli e significativi, di questi ultimi 25 anni?
Tra il 2000 e il 2025 sono usciti una marea di film, alcuni capolavori assoluti, altri dimenticabilissimi, ma sicuramente tanti, forse troppi.
Sceglierne solo 10 risulta quasi impossibile.
Ma, il New York Times ha lanciato questa sfida, dopo aver scritto quali sono i 100 film più belli di questi 25 anni, ha rilanciato chiedendo quali fossero i nostri 10 preferiti, quelli che secondo noi rimarranno nella storia.
Ci ho pensato per 3 giorni, non è una domanda semplice, neppure per chi, come me, ama i film e ne vede in quantità industriale.
Ho pensato di eliminare il mio gusto estetico, che comunque (per ovvie ragioni) intaccherà, ma cercare di focalizzarmi su cosa credo abbia influenzato la cinematografia e rimarrà nella storia.
Quindi non posso che partire da “Parasite”, di Bong Joon-ho, regista sudcoreano.
Primo in classifica anche per il Times.
Un film recente, del 2019, ma che ha sicuramente lasciato un segno indelebile.
Un film thriller che va a indagare la povertà della Corea, due classi totalmente diverse, che si ritrovano a incrociarsi, a interconnettersi, e che dalla disperazione, creerà solo vendetta, violenza e morte.
Un film che ti porta a chiederti cosa saresti disposto a fare per i soldi, per la tua famiglia, per del benessere.
Un film satirico, crudo, cruento, ma molto introspettivo.
Un film angosciante, ma ben riuscito, che ti tiene con gli occhi incollati.
Indubbiamente uno dei film più belli del ventunesimo secolo e, indubbiamente, un film che ha aperto le strade a tutta la cinematografia coreana e a una sfilza di thriller psicologici che si rifanno a questa tematica: basti pensare a “Il Buco”, ma anche a “Squid Game”.
Insomma un film, che con il suo tratto distintivo, è riuscito a rimanere impresso a tutti.
Poi non si può non citare il signor film d’amore: La La Land, di Damien Chapelle, film del 2016.
Un musical, triste, malinconico, speranzoso, che ti fa interrogare su una delle scelte più complesse: carriera o affetto?
Con i suoi colori, le colonne sonore, diventate iconiche, e le scene strazianti, ha rivoluzionato i film d’amore e i musical, che di solito vengono visti (per scarsa conoscenza) come un qualcosa di superficiale, frivolo e allegro.
Mulholland Drive, di David Lynch, film del 2001.
Visto per la prima volta, quando ancora non studiavo cinema, in una piccola sala vuota, in lingua originale.
Uscita dalla proiezione l’unica cosa che ho pensato è stata: “cosa cazzo ho appena visto?”.
Ho passato la restante serata a riflettere sul finale, sulle scene, sul loro essere cupe e terrificanti, ma così terribilmente reali.
Una critica a Hollywood come poche.
Con la genialità di Lynch, che è riuscito a rendere il tutto perfetto.
Sempre quell’anno, il 2001, anno di grandi film e della mia nascita, è stato trasmesso il più grande capolavoro di animazione di tutti i tempi: Shrek.
Di Andrew Adamson e Vicky Jenson.
Un film unico, con un’ironia dirompente e lo stravolgimento di tutte le regole attuate dai film di animazione, canonicamente venduti per bambini.
La presa in giro alle fiabe, la bruttezza dei protagonisti, i comportamenti rozzi, volgari, umani, il tutto sputato dentro a un contesto regale, una famiglia di reali, ricchi e ben educati.
Shrek è innovativo, soprattutto per l’epoca, e ha aperto le porte a quel tipo di film, con doppi sensi e stranezze, che prima non venivano accolti di buon grado.
Un film che, per me, non può essere tagliato fuori da questo elenco è : Frances Ha, di Noah Baumbach, del 2012.
Un film che vede come protagonista una giovane Greta Gerwig, sì la regista di Barbie e Lady Bird, per intenderci.
Un film lento, in bianco e nero, che gira attorno a una ragazza di 27 anni che cerca il suo posto nel mondo, con un lavoro precario e amiche che mettono su famiglia, senza amore, senza casa, senza soldi, senza niente che sia solido.
Un film sull’incertezza e la precarietà di quegli anni.
Il passaggio da ventenne a trentenne, in cui non sei né troppo adulto, né bambino, in cui ti senti niente.
E Frances è rappresentata egregiamente.
Una coccola, quando ti senti un po’ perso, con dialoghi eccezionali.
E se si parla di dialoghi e solitudine, non si può non citare lui, il signor film: Her, di Spike Jonze, del 2013.
Film che racconta una storia d’amore, tra un uomo e una sorta di Siri, un’intelligenza artificiale.
Una storia d’amore che va a crescere, fatta solo di dialoghi, parole, carezze digitali.
Una storia che va poi a svanire, com’è iniziata, dal nulla, con l’intelligenza artificiale che confessa di avere storie con molte altre persone, che proprio come il protagonista, vivono sole, si sentono sole, e creano connessioni irreali.
Una storia che ti spezza il cuore, ma ti fa riflettere molto sul tema della tecnologia e di quanto sia onnipresente e influente nella nostra vita.
Passiamo poi a un Horror, perché è un genere che spesso si disdegna, persino agli Oscar viene sempre tolto di mezzo, ma credo sia un genere che merita nota.
Fare un horror bene è difficile, quasi impossibile.
Ormai siamo abituati, scene viste e riviste, che siamo in grado di decifrare e anticipare, noiosi e spesso trash.
Poi però arriva “La casa di Jack”, di Lars von Trier, del 2018, e cosa gli puoi dire?
In perfetto stile scandinavo, La casa di Jack è pulito, un horror, pieno di crudeltà, ma pulito, preciso, senza fronzoli inutili e, nonostante ciò, fa paura.
È un viaggio che facciamo con il serial killer, che termina in una voragine che riprende Inferno, Purgatorio e Paradiso di Dante.
Un perfetto delirio del regista, che però esce, inspiegabilmente, bene.
Ma non solo esce bene, affascina, inquieta, sorprende.
Un horror diverso dagli altri, innovativo, che mantiene il suo intento, pur cambiando tutti gli schemi.
Poi metto un recentissimo, che so che è strano e rischioso, ma dopo aver visto quel film ho capito perché amo così tanto il cinema.
Poor Things, di Yorgos Lanthimos, del 2023.
Questo film mi ha stregata, fulminata, mi ha presa e fatta innamorare perdutamente.
I colori, i paesaggi, tutte le scelte stilistiche (persino i titoli di coda), a partire dall’inizio in bianco e nero, all’avvento dei colori, che via via si fanno sempre più brillanti.
I dialoghi, perfetti, studiati, semplici.
Gli attori, che hanno fatto un lavoro magistrale.
La figura della donna, che per una volta, vedo rappresentata così bene da farmi sorprendere.
Poor Things ha tutte le carte per essere un film che rimane nel tempo, che rivoluziona il cinema e che lascia qualcosa, sorpresa che non sia stato inserito nella lista del Times.
Rimanendo nello stesso anno citerei: La zona d’interesse, di Jonathan Glazer.
Una chicca, che con la giusta dose di eleganza, durezza e buon senso, è riuscito a parlare della crudeltà della guerra.
Rappresentando Auschwitz, il suo comandante, la sua famiglia e varie SS, che con una freddezza disarmante, abitano a due passi dal campo, sentono urla, vedono fumo, sentono puzza, continuando a vivere la loro vita normale.
Parlano di piante, fanno i compiti, tengono feste in piscina, accanto alla morte.
Il film non ci mostra mai i detenuti, non ci mostra mai i forni, non ci mostra mai la crudeltà, ed è lì che sta la forza del film, proprio come i diretti interessati, noi sentiamo, sappiamo, ma non vediamo, è questo ci tiene a distanza.
Il film, a differenza dei tanti altri che raccontano del genocidio, non è incentrato sulle vittime, sulle morti, sul dolore, ribalta il punto di vista, e funziona.
Funziona perché esci dalla sala con un pugno allo stomaco, il tutto senza aver visto realmente niente.
Il sound design del film è incredibile, tiene in piedi metà film, lasciandoti addosso una sensazione di angoscia che non ti spieghi.
La definizione perfetta di un film ben riuscito.
E arriviamo alla fine della classifica, anche se per me potevamo continuare all’infinito, perché di film belli è pieno e scegliere è stato quasi impossibile.
Il favoloso mondo di Amélie, di Jean-Pierre Jeunet, film del 2002.
Un film che ha creato un vero status, un vero e proprio immaginario.
Con un linguaggio, delle immagini e dei colori, associabili solo a lui.
Un film che è riuscito, nonostante la trama semplice, a farsi strada e diventare un unicum nel mondo del cinema.
Un film delicato, dolce, gentile, che ti insegnare a guardare il bello del mondo, nel vero senso del termine.
Un film semplice, che ha lasciato la sua scia nel mondo del cinema, per il suo essere inimitabile.
E forse proprio per questo questi film sono entrati nella mia top 10, per quello che hanno rappresentato e che hanno lasciato.
Ma essendo che sono un’indecisa cronica e che la mia lista potrebbe arrivare benissimo fino a cento, mi concedo di lasciare una nota per consigliarvi altri film, che sono altrettanto dei capolavori, e che vale la pena vedere:
Big Fish, La forma dell’acqua, Eternal spotlight of the spotless mind, Midsommar, Ratatouille, Midnight in Paris, Perfect Days, La persona peggiore del mondo, The Danish Girl e, in conclusione Up.
Questa sarebbe la mia risposta al New York Times, e alla sua lunga lista, con il quale mi trovo bene o male d’accordo.
Ma temo, che dovremo attendere altri 25 anni, per vedere quali, tra questi film, abbia davvero lasciato tracce, e quale sarà un semplice ricordo sfumato tra una lista di nomi.