Elena Pigozzi: “Scrivere è il mio ossigeno e anche la mia inquietudine”

In questa intervista Elena Pigozzi racconta “L’ultima ricamatrice”, il suo nuovo libro e il suo mestiere di scrittrice

“L’ultima ricamatrice” di Elena Pigozzi è un romanzo poetico ed evocativo con protagonista e voce narrante un’anziana donna, Eufrasia, che ama le parole e il cucito.

In quest’opera sono dipinte intense figure femminili che si rincorrono nel tempo e che sono legate da un filo invisibile e spesso.

Esther, Clelia, Miriam ed Eufrasia sono tutte ricamatrici e si tramandano questa nobile arte di generazione in generazione; nel ricamo hanno riversato il loro vissuto, e con le loro dita hanno plasmato destini.

Elena, “L’ultima ricamatrice” è il suo nuovo romanzo. Ci racconta da cosa si è fatta ispirare?

L’ispirazione è arrivata con il personaggio principale. Ascoltavo alla radio uno scrittore che raccontava l’arte dello scrivere come un “taglia e cuci”. Ho visto lei, Eufrasia, che con forbici e ago sistemava la vita di un cliente. Mi sono allora ricordata che dalla parola latina textum sono derivati sia “testo” ma anche “tessuto”. Tessere e ricamare come metafore dello scrivere e del vivere. Basti notare il linguaggio: trama, ordito, garbuglio, perdere il filo…

Al centro del libro vi è una vecchia che ricama. Secondo lei, ancora oggi, cosa possono insegnare gli anziani in un mondo tecnologico e social?

I vecchi – parola che prediligo ad anziano, perché ha in sé il valore dell’esperienza, mentre “anziano” sottolinea l’età tarda – hanno così tanto da insegnare… e insegnano. Esperienza, vita, pazienza, anche capacità di sacrificio. Non solo: ci mostrano in quanto benessere viviamo, senza esserne consapevoli. Pensiamo a chi ha alle spalle l’esperienza della guerra: il nostro tempo è, per loro, un tempo dell’abbondanza, mentre noi perdiamo di vista la realtà che ci circonda. Il digitale contribuisce a creare individui sempre più isolati e in mondi “paralleli” alla realtà…

Il ricamo ritorna in auge nel libro: un’antica tradizione che va via via per estinguersi. Di quali tradizioni non dovremmo mai dover fare a meno?

L’Italia è la terra forse più ricca di artigianalità, di maestranze, di mestieri e arti manuali che si stanno perdendo. Penso ai decoratori, ai restauratori, alla sartoria, all’ampio patrimonio del “made in Italy”, settore agroalimentare compreso. Abbiamo attività prettamente italiane che si stanno riducendo e omologando sempre più e che rischiano di perdersi. Perdiamo un bagaglio di conoscenze millenarie.

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La sua vita ha un comune denominatore: la scrittura. Cosa significa per lei scrivere?

Scrivere è il mio ossigeno. E anche la mia inquietudine. Ogni volta che ho una storia da raccontare ho bisogno di “farla uscire” al più presto. Ogni volta è entrare in un mondo nuovo, come un viaggio in un territorio ancora sconosciuto. Ogni volta è una sfida in cui ciò che conta è arrivare al termine, consegnare la storia e salutare i personaggi.

Secondo lei oggi lo scrittore ha dei compiti verso la collettività? E se sì quali sono?

Sì, è responsabile di quanto scrive. Anche se lo scopo è intrattenere o farsi testimone di un fatto storico dimenticato. La storia come racconto ha la responsabilità del punto di vista, che non è mai neutro, come non lo è una fotografia.

In cosa le piacerebbe cimentarsi che non ha ancora mai fatto?

Domanda complessa. Amo le storie e sono i personaggi che mi spingono a scrivere. Ogni volta li inseguo, finché non mi raccontano il loro mondo. Ecco, vorrei avere sempre storie da rincorrere… Finora è così e vorrei che fosse sempre così.

Sta già lavorando su nuovi progetti?

Sì, il prossimo anno uscirà un nuovo romanzo, sempre per Piemme Mondadori. Una storia un po’ più ampia di questa, ma con una voce anch’essa lirica, come “L’ultima ricamatrice”.

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