“Buoni o Cattivi”, Marcell Jacobs si racconta: “Mi auto – sabotavo prima delle gare”
Il campione Olimpico ospite del programma di Italia Uno
Continua il momento di popolarità di Marcell Jacobs. L’azzurro, oro a Tokyo nei 100 m. e nella staffetta 4×100 è stato ospite anche di “Buoni o Cattivi”.
Nello show, condotto da Veronica Gentilivi, in onda questa sera su Italia Uno, il velocista, nato in Texas ma cresciuto a Desenzano del Garda, si è raccontato.
Jacobs è stato allevato solo da mamma Viviana e proprio del rapporto con il padre ha parlato: “Fino ad un anno fa avevo un blocco, avevo creato un muro di cemento armato su tutto quello che riguardava mio padre. Sono cresciuto solo con mia madre, era quella la mia famiglia. Poi ad un certo punto ho cominciato a parlarne e a buttare giù quel muro, cominciando a descrivere la mia vita senza di lui. Prima nelle gare mi auto-sabotavo, mi si indurivano le gambe, avevo paura di quell’abbandono che avevo avuto da lui. La cosa buona che mi ha lasciato sono le fibre muscolari, così veloci… Se mio padre è stato cattivo con me? No, credo sia stata una situazione difficile; vorrei capire tutto quello che ha passato, sentire la sua storia. Ho deciso di vederlo per capire tante cose che non so… Ho dedicato la prima medaglia a mio nonno che mi ha sempre seguito. Mia madre mi ha insegnato che tutto era possibile con impegno e determinazione. È tuttora la mia motivatrice, la mia figura di riferimento. Il mio idolo.”
La vita di Jacobs, dopo Tokyo è cambiata e non solo a livello sportivo. L’attenzione mediatica è tutta per lui ma la cosa non sembra dispiacerlo: “Senza le persone che credono in te è più difficile avere una spinta in più e credo sia importante ricambiare per tutto quello che mi hanno dato e che ho sentito mentre gareggiavo. I paparazzi? Mi piacciono, e continueranno a piacermi. Vorrei averli tutti i giorni sotto casa!”.
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E sul trionfo di Tokyo, spiega:
Essere l’uomo più veloce del mondo è quello che ho sempre desiderato, essere riconosciuto con questo nome è un sogno che mi porto dentro sin da bambino. Nella mia mente c’era l’immagine di essere riconosciuto, fermato per strada, ed ora è reale. Perché ci sono riuscito? Non credo di avere nulla in più degli altri se non tanta determinazione. Ogni giorno cercavo di aggiungere un pezzetto di un puzzle per raggiungere questi risultati, un puzzle pieno di sogni che oggi è ancora a metà. La cosa che mi fa veramente piacere è il «grazie» quando mi fermano, mi rende ancora più orgoglioso. È una responsabilità che non mi pesa, portare la bandiera italiana in giro per il mondo mi gratifica tantissimo. Ho iniziato a rendermi conto di quello che era accaduto a Tokyo quando sono atterrato a Fiumicino: c’era la mia famiglia, la mia compagna con i miei bambini, e tante persone che erano lì solo per me. Aver fatto emozionare l’Italia per me è una favola.
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