Parole in cammino, primi passi verso Santiago di Compostela

Quando ormai davvero tanti anni fa mi è stato proposto di cominciare a scrivere di viaggi, sì, in vita mia è capitato mi venisse chiesto sia di scrivere di musica che di viaggi, e questo ormai davvero tanti anni fa, ecco, quando ormai davvero tanti anni fa mi è stato proposto di cominciare a scrivere di viaggi ho prontamente accettato, perché viaggiare era una delle mie passioni, come la musica. L’idea che potesse anche diventare un lavoro non l’avevo mai presa in considerazione, ciò nondimeno ho affrontato la faccenda con estrema serietà, cominciando a studiare quanti prima e di me, ma anche in contemporanea, si erano occupati e si occupavano di quello specifico settore letterario e giornalistico. Non sono un giornalista, pur scrivendo per giornali dalla fine del Novecento, e non lo sono per due specifici motivi, non voglio far parte di una categoria nella quale ci sono tante firme, parlo del settore musicale, delle quali ho poca stima, parte di un sistema che negli anni mi sono la briga di raccontare, quello sì da giornalista, e soprattutto non ho interesse per la notizia, preferendo altro tipo di approccio ai fatti, quindi la narrazione, l’analisi, la critica. Rispetto al mondo di chi racconta i propri viaggi, però, ho sempre nutrito una curiosità decisamente superiore a quella che ho praticato nei confronti di coloro che potrei definire mie colleghi nel mondo del giornalismo e della critica musicale, perché raccontare viaggi implica una fatica e anche una competenza decisamente importante, e perché nel mondo delle riviste di viaggio, parlo di quando appunto mi è stato proposto e degli anni nei quali ho svolto questo mestiere, diciamo fino alla fine degli anni Zero, prima di riprendere recentemente, il fatto che chi scriveva dovesse in qualche modo fare i conti con chi quei viaggi sovvenzionava, quindi chi pagava i voli, chi gli alberghi, a fronte degli editori che sostenevano le spese vive come il mangiare e affini, era dichiarato e evidente, fatto piuttosto singolare e, credo, anche vagamente in contrasto con la deontologia di chi dell’albo dei giornalisti fa parte. Mi spiego, quando per GenteViaggi, prima, per Viaggi e Sapori, poi, dovevo fare un viaggio i passaggi erano questi. Proponevo una meta al caporedattore o direttamente al direttore, non sono mai stato molto bravo a gestire i rapporti diplomatici, anche per questo ho sempre faticato a ambientarmi nelle redazioni. Se l’idea piaceva, se cioè a un determinato luogo riconosciuto come interessante avevo applicato uno spunto originale e interessante, si passava a provare a capire la fattibilità del viaggio, e considerate che mi capitava spesso di suggerire che l’originalità del viaggio risiedesse sul fatto che a farlo e quindi a raccontarlo ero io. Lo so, detta così suona arrogante, spavalda, decisamente antipatica, come faccenda. Però è pur vero che ero un reporter che arrivava al reportage dalla narrativa, questo ero allora, un narratore che pubblicava libri di narrativa dichiarati come tali, romanzi e racconti, quindi il mio punto di vista era evidentemente diverso da chi per mestiere passava tutto il tempo a occuparsi di viaggi. Non avevamo gli stessi interessi di partenza, come per esempio tenere rapporti con quelle agenzie e enti del turismo che quei viaggi avrebbero reso possibili, e soprattutto mi portavo dietro un bagaglio di competenze che non erano direttamente legate al mondo dei viaggi, il che poteva indubbiamente essere un handicap, ma anche una grande fonte di spunti originali. Del resto, ripeto, mi è stato chiesto di occuparmi di viaggi, e subito dopo aver accettato è stata mia necessità quella di confrontarmi con quello che era già successo in quel campo, e che ancora stava succedendo. Ho quindi studiato un po’ tutti i classici, e i letterati del passato si sono davvero spesso confrontati con la letteratura di viaggio, sarà che in assenza di un mondo globalizzato il solo modo per conoscere l’altro, fondamento credo per chi scrive, era mettersi in viaggio, e messo su una discreta biblioteca a riguardo. Personalmente, credo sia un difetto piuttosto grosso che ho, che mi mette anche a disagio, fatico ormai a leggere libri che usino una lingua così lontana da quella che si parla e scrive oggi. Fatico anche a vedere film vecchi, ma vecchi anche di vent’anni, perché usano un linguaggio, un ritmo, una linearità narrativa distante anni luce dalla frammentarietà dell’oggi, per quel che riguarda i libri l’essersi abituati a una scrittura che è spesso fintamente gergale, quasi aderente a un’idea di oralità in realtà quasi sempre assai razionalizzata, scrivere fingendo aderenza all’oralità è difficile tanto quanto scrivere in una lingua volutamente letteraria, di fatto affrontare vecchi classici, penso a Stevenson, a Defoe, anche a Paul Theroux o Chatwin, è per me sempre piuttosto faticoso. Ciò nondimeno, ciclicamente, ci torno su, aggiungendo ai classici libri più recenti, sempre alla ricerca di stimoli e spunti, pur avendo negli anni acquisito una mia modalità non solo di viaggiare, ma anche di narrare quei viaggi, venti libri pubblicati a riguardo, per non dire le centinaia di pezzi, cioè di articoli. Siccome mi capita spesso, non tanto spesso quanto vorrei ma comunque spesso, di passare del tempo leggendo, parte portante del mio lavoro, passando dalla sala di casa mia è facile vedermi che fisso una parte della libreria standomene immobile, come un predatore che attende il momento giusto per balzare addosso alla sua prossima preda. A volte, spesso, la mia preda non è nella prima fila dei libri esposti nella mia libreria, libreria molto grande e piena di volumi, così mi tocca sfilare i libri davanti andando poi a cercare nelle due file successive, quasi sempre composte di libri posti su due piani. Insomma, anche scegliere il libro da leggere porta via tempo, e quel tempo è a volte distratto da quel che mi capita sotto gli occhi, come quando uno si mette a fare una ricerca in rete, gli passa davanti qualcosa di interessante che non era quel che stava cercando, si distrae, si sofferma e nel mentre magari si è scordato di dove voleva andare a parare.

Diverso è quando appunto sto per affrontare un viaggio, perché in quel caso la scelta del libro, anzi, dei libri, diventa delicata. Sbagliarne uno potrebbe in parte compromettere il tempo che nel viaggio dedico alla lettura, tempo che comunque la lettura si contende con quello dedicato alla scrittura. Per questo, in genere, le ore precedenti la partenza, a volte, più spesso, i giorni precedenti la partenza, mi vedono stazionare a lungo di fronte alla libreria con lo sguardo da predatore, lì a scegliere a colpo sicuro salvo poi tornare sui miei passi a più riprese. A volte, non di rado, capita che io cambi totalmente il gruppo di libri messi da parte per un viaggio, ridisegnando mentalmente un percorso che intendo fare in quei giorni. Se il viaggio che devo fare è in solitaria, in genere, i libri tornano a casa letti, ma quando invece viaggiamo in famiglia spesso capita che alcuni tornino intonsi, vuoi perché di tempo a disposizione me ne rimane giustamente di meno, vuoi perché magari, questo dipende da dove faccio il viaggio, succede che magari acquisti qualche libro cammin facendo.

E proprio di cammino, o di un viaggio letteralmente, e quindi letterariamente in cammino mi sto occupando al momento. Sì, perché quest’anno abbiamo deciso di fare il Cammino di Santiago, nello specifico il cammino portoghese, quindi il mese che precederà il viaggio, che mi vedrà spostarmi a zonzo prevalentemente per il centro Italia, per lavoro e per trovare la mia famiglia, dovrà in qualche modo essere legato a questo tema.

Dovessi star qui a spiegare l’esatto motivo per cui quest’anno la scelta di come passare le vacanze d’agosto è coincisa con quella di farci una porzione del Cammino di Santiago, nello specifico il cammino portoghese solo perché quello che stando a quel che si legge online è il più ventilato, quindi meno caldo da affrontare in questo mese, beh, non saprei rispondere. E non saprei rispondere perché il Cammino di Santiago è una possibilità che stava lì da non saprei neanche dire quanto tempo, anche lì, non saprei indicare con precisione chi ce ne ha parlato per primo, dove ne abbiamo letto, da dove è arrivato il primo input. So che l’anno scorso siamo stati per la prima volta da qualche anno tutti insieme, dove per tutti intendo tutti e sei i componenti della mia famiglia, io, mia moglie e tutti e quattro i nostri figli, Lucia, la più grande, da qualche tempo ha scelto di non venire con noi. L’anno scorso ha cambiato idea perché, in occasione del venticinquennale del nostro matrimonio, abbiamo deciso di fare un viaggio importante, impegnativo sotto il profilo fisico, emotivo e anche economico, prima un safari in Tanzania, e poi undici giorni a Zanzibar, che sempre della Tanzania fa parte, ma è un’isola a sé stante, direi un ottimo motivo per una reunion. Reunion che, esattamente come le reunion delle band, si protrarrà anche quest’anno, ditemi voi una reunion di band che abbia mantenuto le promesse di esclusività fatte al proprio ritorno. Il Cammino di Santiago, del resto, è qualcosa di abbastanza originale, un viaggio da fare a piedi, dormendo poi in ostelli, quindi in camerate, ogni giorno un luogo diverso, mangiando come capita, camminando e camminando, quindi si immagina non solo vedendo luoghi nuovi, ma anche parlando molto, conoscendo gente da tutte le parti del mondo, mettendo per qualche giorno lo spirito al primo posto. Questo sotto un profilo meramente teorico, sia chiaro, perché poi il Cammino di Santiago è anche un viaggio piuttosto alla moda, basti pensare che scartabellando su Amazon alla ricerca di testi che potessero in qualche modo fornirmi indicazioni utili, sempre quella faccenda di voler studiare prima di mettermi in moto, ne ho scoperti a decine, alcuni dei quali anche scritti da nomi che a loro modo potrei definire di influencer, da Diego Passoni di Radio Deejay, invero già autore di altri libri a tema religioso, a Daniela Collu, passando per quell’Enrico Brizzi che in effetti ha fatto del camminare e quindi dei Cammini identificabili facilmente in quanto tali, un proprio core business, questo prima di tornare sul vecchio tema di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, a volte anche gli scrittori fanno reunion con loro stessi. Quindi sì, il Cammino di Santiago è un viaggio piuttosto battuto e alla moda, e ci sono ottime, ahimé, possibilità che lo diventi ancora di più, e non certo perché quest’anno a farlo saremo noi, che lo racconteremo sui social, prima, e sotto forma di libro, poi, quanto piuttosto perché in contemporanea con noi ci sarà da quelle parti Checco Zalone, intento a girare il suo prossimo film, uscita prevista a Natale, dal sintomatico titolo Buen Camino.

Cioè, se il nostro viaggio di due anni fa in Albania si era dimostrato in qualche modo anticipatore, al punto che mentre ero lì mi sono trovato a parlare di quei luoghi in televisione, a Agorà Estate, presentato come uno dei massimi esperti di Albania in Italia, e se l’anno scorso abbiamo comunque toccato una terra piuttosto a la page, quest’anno ci sono almeno una quindicina di nostri amici che andranno a fare il medesimo viaggio, tutti per altro di passaggio nel medesimo resort di Zanzibar dove siamo stati noi, Maurizio, ricordati degli amici, il fatto che quest’anno saremo lì con Zalone, che sicuramente renderà il tutto meno spirituale di quanto non dovrebbe essere, nel caso lo incrociassimo, cosa che auspico non accada, non può che far sì che sarà il classico “non c’è due senza tre”, l’anno prossimo tutti a piedi a Santiago.

A dirla tutta, però, l’idea di far matchare, uso un brutto termine proprio del brutto lessico di questi tempi, un viaggio spirituale che fa ormai parte di una tradizione consolidata, parliamo di qualcosa che risale al IX secolo, quando venne scoperta lì la tomba di San Giacomo il maggiore, uno dei dodici apostoli, il re Alfonso II delle Asturie a incamminarsi per primo verso quella meta stabilendo de facto il Camino Primitivo, con qualcosa di assolutamente poco spirituale, peggio, in grado di spostare la spiritualità del Santo Natale verso il mero intrattenimento effimero, non dico al livello becero dei CinePanettoni, ma comunque film che non pretendono di essere d’essei, semmai di cassetta, ecco, questo matchare, o forse potrei azzardare questo mashup sarebbe indubbiamente affascinate, lo sarà, sempre che incontreremo Zalone e la sua troupe lungo la strada.

Ovviamente, però, questa concomitanza fa sì che almeno a livello di titolo, non siano più spendibile quel Buen Camino che è poi il saluto col quale ci si relazione anche per pochi istanti con gli altri pellegrini che si incontrano strada facendo. Non che io abbia mai pensato di intitolare questo mio diario Buen Camino, sia chiaro, ma l’idea di non poterlo fare per un film di Checco Zalone, confesso, è spiazzante, e anche un po’ fastidiosa. Come è fastidioso constatare che quel Parole in cammino che, nella mia testa, era appunto un ottimo titolo di servizio, come generalmente chiamo il nome dei file nei quali comincio a raccogliere i miei appunti, spesso frasi smozzicate, spunti, suggestioni, poi vere e proprie immagini, citazioni, indicazioni, questo finché il viaggio non inizia davvero, e le pagine cominciano a diventare vere e proprie pagine di diario, storie, racconti, aneddoti, pensieri, Parole in cammino, il nome di quel folder, mestamente ritrovato nel titolo di un libro che ho in effetti divorato, a suo tempo, a firma di Osvaldo Soriano, gigantesco scrittore uruguagio, lasciatemi omaggiare il grande Gianni Brera, come me tifoso del Genoa, Oslvando Soriano conosciuto in quel di Piacenza in un passato remoto e da troppo tempo, credo, uscito dalle mie letture e riletture.

Quindi per ora, mentre ancora le valige sono da fare, appena disfatte quelle dei giorni passati nelle Marche, regione nella quale sia io che mia moglie siamo nati, ancora da disfare, andrà tutto calcolato bene, perché i pesi e le misure sono ormai fondamentali quando si viaggia, mi dico che Parole in cammino può anche andare. Domani, mentre ci dirigeremo verso l’aeroporto che ci poterà verso Porto, magari un titolo migliore mi verrà in mente.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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