Lui ha i capelli tinti di biondo platino, come Lamine Yamal. Lui chiaramente non ha idea di chi sia Lamine Yamal. Nel suo mondo Lamine Yamal non è ancora nato, probabilmente, e non certo per una questione di realtà parallele o cose del genere, siamo nel medesimo 2025. Non segue il calcio lui, così, a occhio. Non ha neanche mai dato un calcio a un pallone, a vedere quelle gambe magre su un torace invece particolarmente sviluppato.

Lei è rossa di capelli. Un rosso irlandese, verrebbe da dire, non fosse che non siamo in Irlanda e lui le sta decisamente parlando in italiano. È abbastanza più bassa di lui, sul metro e sessanta, e potrebbe essere indicata a dimostrare quella faccenda delle giuste proporzioni e del perché il fisico delle donne sia per natura incline, volontà a parte, alla maternità.

Lui indossa una camicia bianca, e non avesse poco più di vent’anni, quasi coetaneo di Lamine Yamal, potrei ipotizzare una camicia di lino. Sicuramente una camicia non stirata di recente, lo dico non perché io sia particolarmente affezionato all’idea che le camice vadano sempre stirate, figuriamoci, non indosso camice se non ai matrimoni o ai funerali, e neanche sempre in quelle occasioni, ma perché recentemente ho preso l’abitudine di occuparmi io di stirare in casa, nella suddivisioni dei compiti che ci siamo presi con mia moglie. Sotto a un paio di boxer da mare di un rosso decisamente più stinto dei capelli di lei, forse per le troppe volte che sono stati sotto il sole, forse per una scelta scellerata della casa di produzione.

Lei invece indossa un bikini nero, essenziale. Le serve altro, del resto, sta camminando sulla battigia e si trova evidentemente a suo agio così, noi con lei.

Lui le parla ininterrottamente, muovendosi goffo come di chi non ha idea che nella vita, anche in una età così giovane, si può essere agili, scattanti, capaci di inventarsi un gioco di fantasia, una suggestione quasi magica, proprio come quel Lamine Yamal di cui ignora, a sua volta, l’esistenza. Avrà al massimo ventuno anni, stessa generazione del calciatore spagnolo, quasi lo stesso colore della pelle, ma forse questo è effetto dell’abbronzatura di fine estate.

Lei si muove decisamente più aggraziata, in sintonia col paesaggio circostante, fatto di onde leggere, di brezza, di pini marini, di bagnanti che cercano uno scampolo di pietà nei confronti di chi in fondo è cosciente che è quasi tutto finito.

Torno sulla faccenda dei boxer rosso stinti, seppur dettaglio non essenziale. Da questa parte del Conero, quella che volge a sud, i boxer da mare vivono giustamente la loro serena esistenza. Dico “serena esistenza” provando a ricreare per un attimo quella condizione di chi non si interroga troppo appassionatamente sul proprio stare al mondo, ci sta perché così è capitato, non lo ha scelto e va bene così. Dall’altra parte del Conero, quella che volge a nord, quindi dentro i confini cittadini di Ancona, città che hanno dato immeritatamente i natali all’autore di queste parole, la faccenda è un po’ diversa. Per motivi che non sono ancora stati decodificati, seppur in diversi se ne siano negli anni occupati, penso a una ricerca accurata fatta dalla scrittrice Silvia Ballestra, anche lei marchigiana di Grottammare, da quelle parti impera ancora lo slip da mare, come fossimo ancora negli anni Settanta, invero epoca nella quale quelle spiagge erano ancora poco battute. Non credo esista altra isola infelice al mondo nella quale lo slip da mare sia sopravvissuto, ultimo giapponese ignaro che la guerra sia finita, ma lì funziona così, piccoli striminziti slip a coprire pudenda ben esposte, non sempre generosamente.

Le ragazze, invece, indossano lì come altrove il bikini, a stabilire differenze fondamentali da un punto di vista estetico, la foggia come il colore, la scelta quasi sempre condivisa di non tener coperte le chiappe, come usa oggi.

Il ragazzo coi capelli biondo platino, la camicia accartocciata e i boxer da mare rosso stinti suppongo indossi sotto questi ultimi un paio di mutande, alla maniera in voga oggi tra i più giovani. Magari no, perché credo, vorrei quasi dire spero, tanto per arginare la faccenda a uno sparuto gruppo di persone, irrilevante a livello di statistica e quindi di mercato, di rilevanza, e questa barbara e illogica usanza credo sia più da teenager, forse addrittura da minorenni. Portare slip non da mare sotto i boxer da mare, lasciando uscire fuori l’elastico dei primi, ben visibile, spesso con quelle buffe scritte, UOMO, un marchio alla moda. Per paura che tuffandosi i boxer calino, lasciando nudo il titolare dei medesimi, immagino, ma con la conseguenza di starsene tutto il giorno sulla battigia con tutto bagnato.

La ragazza sotto il costume non ha giustamente altro che quel che natura fornisce. Non ci sono dubbi a riguardo, lo spazio è quello che è, anche senza un’accurata analisi ci metterei la mano sul fuoco.

I due si avvicinano alla postazione nella quale mi trovo, sul mio telo da mare, un libro che non mi ha ancora appassionato tra le mani. Che poi dire che il libro non mi abbia ancora appassionato non è neanche vero, è più una faccenda di luce, e di vista che è evidentemente calata negli ultimi mesi, facendomi passare da un occhiale da 1,5 a uno da 2, così, senza visite oculistiche o ricette, semplicemente basandomi sull’esperienza e quelle schede con su lettere e numeri appese di fronte al supporto girevole che accoglie gli occhiali da vista nei supermercati, quelli che puoi prenderti per neanche venti euro. La troppa luce e il riverbero che quella luce crea sui sassi bianchi è quasi accecante, tanto più se hai la vista stanca, non sufficientemente aiutata da occhiali da pochi soldi, penso.

Lui parla a macchinetta, muovendosi goffo, a volte anche dovendosi girare, come per aspettare che lei lo raggiunga.

Lei si muove sinuosa, armoniosa, e mentre lui parla lo guarda solo di rado, quasi di sfuggita, correndo con lo sguardo tutto intorno a lei, specie verso la spiaggia, dove almeno qualcuno da guardare ancora c’è.

Lui gesticola, con quel suo fisico goffo di chi ha passato forse troppe ore a fare muscoli sulle braccia, senza mai curarsi delle gambe. Esattamente l’opposto di quel che capitava ai ragazzi della mia generazione che avessero deciso di fare calcio, solo esercizi per rafforzare le gambe, non curandosi del resto del corpo. Era un’altra era geologica, i calciatori non dovevano necessariamente avere fisici atletici, e non dovevano neanche avere guizzi estetici come un capello biondo platino su un incarnato scuro, potevano permettersi acne o riporti, potevano pure essere palesemente brutti.

Lei sembra quasi infastidita da quel suo, suo di lui, muovere le braccia a mulinello, una gestualità poco in sintonia con le curve morbide delle onde, con la levigazione che queste ultime nei secoli hanno applicato sui sassi, con le curve che i rami dei pini inscenano sotto la costante pressioni di un venticello mai fastidioso, lui, da queste parti.

Lui è a pochi passi da me, finalmente riesco a sentirne la voce, coerente col resto.

Lei è appena più indietro, un paio di passi. Non c’è voce da sentire, tace, né smagliature su cui concentrarsi lungo le gambe brevi.

Lui si volta verso di lei, la voce che cede a un acuto sgradevole, i troppi antibiotici e anabolizzanti con cui sono stati trattati i polli da allevamento intensivo con cui sembra essersi nutrito negli ultimi anni a lottare contro gli ormoni.

Se anche lei ha praticato la medesima dieta da studente fuorisede, fatta un po’ come capita agli appassionati di fitness, di tanto riso e pollo, ma anche di scatolette di tonno, gli effetti sono stati decisamente più generosi. O magari è tutta una faccenda di DNA, chissà.

Lui dice esattamente questa frase, che credo meriti di essere ascoltata senza didascalie: “Pensa a quanto complessa la morfologia dell’uomo. Riusciamo a stare in piedi, poggiando su una base di pochi centimetri decine di chili che si sviluppano fin quasi a due metri”.

Lei, è chiaro, vorrebbe morire qui e ora. O vorrebbe comunque essere altrove, e con qualcun altro. È alta un metro e sessanta massimo, porterà il trentasei, i piedi prendono a calci le onde, non posso essere più preciso, ma della morfologia dell’uomo, dell’anatomia che evidentemente lui sta studiando a medicina, non le interessa nulla, dove per nulla intendo proprio nulla.

Su come lui possa pensare, cucciolo, di stabilire una qualche relazione con lei parlando di morfologie complesse, Lucio Corsi ha riassunto il tutto in maniera assai più poetica nel testo di Relazioni complicate, “i fiori si sa sono appesi a un filo”, potrebbero fare una tesi di laurea. Certo, una tesi di laurea che potrebbe poi sfociare sulla contemporaneissima questione “Incel”, o meglio, su quello che poi confluisce tragicamente a volte nella questione “Incel”, l’incapacità di trovare un contatto, un punto di interesse, ai miei tempi si diceva “guzzare un chiodo”, a tratti è quasi plastica, tanto è evidente.

Si chiama incomunicabilità, o più semplicemente incapacità di capire se e come certi argomenti possano interessare i propri interlocutori, e magari anche se il modo e lo stile che si sceglie per argomentare siano a loro volta sufficientemente interessanti. Discorso che si potrebbe applicare anche a quello che ho scritto e sto continuando a scrivere, ma se siete arrivati fin qui, millecinquecentocinquanta parole dopo che ho cominciato, raccontando di un ragazzo e una ragazza che passeggiano su una spiaggia alle falde del Monte Conero, senza mai arrivare al cuore del discorso, forse nel mio caso la questione non si può applicare.

Intendiamoci, credo sia normale, forse addirittura lodevole provare a far appassionare una persona cui si tiene a quello che ci appassiona. Quando io e colei che oggi è mia moglie, nonché la madre dei nostri quattro figli, stava con me da pochi mesi, nell’ottobre 1988, l’ho portata al cinema a vedere Ruttle and Hum, il docufilm sul tour americano degli U2. Lei c’è venuta, del resto io mi sono sparato in quegli anni un po’ tutti i film in costume d’epoca inglese che uscivano, quelli che avevano spesso Emma Thompson nel cast. Credo non esista nulla al mondo di più lontano dal campo dell’interesse di mia moglie di Ruttle and Hum. Lei c’è venuta, per amore, ma io ho capito, e oggi siamo ancora qui, dopo quasi trentotto anni. Non è che voglio far passare che da ragazzetto ero già maturo, tutt’altro, ma che quella sera lì al Cinema Goldoni di Ancona lei si fosse rotta le palle mi è stato subito chiaro, chiarissimo, non ammetterlo non avrebbe certo migliorato le cose. Metteteci pure che non mi sono mai tinto i capelli biondo platino e potrete ben capire il perché il mio destino non sia andato esattamente come quello del tipo della “morfologia del corpo umano”, destino cui non sono ovviamente stato testimone diretto, ma che era segnato in maniera sufficientemente palese nel volto annoiato della ragazza coi capelli rossi che gli passeggiava annoiata affianco.

Tutto questo per dire cosa?, si chiederà anche legittimamente qualcuno. Tutto questo per dire che ci sono argomenti che non dovrebbero mai essere buttati dentro una conversazione, e su questo credo siamo tutti d’accordo, così come ci sono argomenti che magari dentro le conversazioni non vengono così spesso tirati fuori, ma che meriterebbero di essere buttati dentro tutte le conversazioni. Sì, avrete tutti una volta nella vita fatto quella che è parsa una scoperta clamorosa, di quelle che poi arriva qualcuno e ci fa su un reel particolarmente viralizzabile sui social, Instagram o Tik Tok che sia, che so?, scopri che se quando hai un cartone di brick con dentro latte o succo, se lo versi in un bicchiere tenendo il tappo nel lato rivolto verso l’alto invece che verso il basso eviterai di versarne una parte sul tavolo, roba del genere, e vi sarà capitato, fatta questa scoperta stravolgente, di non riuscire a frenare l’entusiasmo, roba da aprire le finestre di casa e urlarlo al mondo, venendo chiaramente scambiati per pazzi, un’ambulanza pronta a dare seguito a un TSO presto sotto casa, ecco, qualcosa del genere. Quello che suppongo il tipo coi capelli come Lamine Yamal avrà pensato potesse essere il discorso sulla morfologia dell’uomo, ma che giustamente la tipina coi capelli rossi ha invece bollato come irrilevante, ma nel vostro caso è roba da tatuarsi sulla fronte, da scrivere sulle nuvole, come il “sei una merdaccia” di Fantozzi, insomma, ci siamo capiti.

Il fatto è che ho ascoltato l’album d’esordio di Mille, cantautrice laziale di stanza a Milano, guarda casa, con una cascata di capelli rossi in testa, manco fosse una delle modelle di Gabriel Dante Rossetti, e sono letteralmente rimasto con la mascella spalancata, come il cagnolone cattivo nei cartoni animati di Tom e Jerry, o come qualcuno che abbia troppo a lungo frequentato la scena rave anni di fine anni Novanta. Perché Risorgimento, questo il titolo che Mille, che di nome fa in realtà Elisa, ha scelto, e cosa di meglio che il Risorgimento per presentare l’esordio su lunga scala di una artista che deve il proprio nome a Garibaldi?, perché Risorgimento è un gioiello di quelli che, fossimo all’estero, troveremmo esposto in un museo di quelli con la coda di fuori, e magari dove non si paga il biglietto, la faccenda dei biglietti da pagare nei musei prima o poi andrà discussa, io ogni volta che vado a Londra entro alla Tate Gallery, dove appunto si trovano buona parte delle opere di Gabriel Dante Rossetti e anche degli altri preraffaeliti, oltre a tanti altri capolavori, e ci entro gratis, come dovrebbe essere. Insomma, Mille, che in passato è stata anche la voce dei Moseek, forse li ricorderete in una vecchia edizione di X Factor, e che negli ultimi anni si è fatta notare per tutta una serie di azzeccatissimi singoli, da quel La Radio che nel 2021 le è valso il premio della critica a Musicultura a quel Sì Signorina col quale nel 2022 vince 1MNext a Roma, entrando nel magico mondo del Concertone del Primo Maggio di Piazza San Giovanni a Roma, per non dire del resto, da Touché a I denti, da I Pazzi a Ballo Ballo, da Monsieur Malheur a Qualcosa di stupendo, fino ai più recenti 146 e Amare cose complesse, con quel verso, “sai che un posto sicuro sarebbe il mio culo/ lo so è divisivo ma è già a metà” che esibisce in tutto il suo splendore l’ironia e la sensualità di questa artista che sembra arrivata a noi a bordo del Tardis del Doctor Who, direttamente dagli anni Sessanta. Una grande penna, quella di Mille, come le dodici tracce di Risorgimento attestano, e come già abbiamo potuto tutti appurare coi singoli Il tempo le febbri la sete, C’est Fantastique e UMPM (un maledettissimo posto migliore), dove la forma canzone è affrontata di petto, tra suoni vintage e testi che sono la quintessenza della contemporaneità, sia che si tratti di muoversi, come in Video Hard, sia che si tratti di starsene accoccolati sul posto, come in Gli amanti o quelle che partono lente per poi scatenarsi, come Artiglieria pesante, tanto per fare qualche titolo. Perché no, non cascherò nella trappola del traccia per traccia, perché Risorgimento è un lavoro che merita nella sua interezza, come del resto ogni canzone di questa artista che sembra aver sintetizzato in sé la presenza plastica di una Patty Pravo quanto l’energia coinvolgente di una Raffaella Carrà, sintetizzato e metabolizzato, tirando poi fuori una miscela assolutamente originale, una voce calda e senza tempo a rendere le melodie e i testi qualcosa di unico. Lo so, so che a leggere queste parole l’enfasi sembra la medesima del tipo coi capelli come Lamine Yamal che ha portato a casa un due di picche piuttosto gigante dalla tipina coi capelli rossi, ma in epoca di singoli usa e getta, incontrare un lavoro composito di tale valore è qualcosa che non può che spingerti a gridarlo dalla finestra: è arrivato Risorgimento, album d’esordio di Mille! Tutto il resto non sarà magari noia, ma sicuramente ci va vicino, se incontraste un ragazzo coi capelli biondo ossigenati che parla di morfologia del corpo umano, diteglielo.