
Le parole in vista del tour negli stadi
Marco Mengoni, protagonista del nuovo numero di Vanity Fair, si racconta alla vigilia del suo prossimo tour negli stadi, al via il 21 giugno da Lignano Sabbiadoro. Con quasi tre miliardi di streaming, 85 dischi di platino e otto album all’attivo in 15 anni di carriera, Mengoni si apre in un’intervista intima, in cui alterna emozione e ironia, ricordi viscerali e messaggi potenti. Un dialogo autentico in cui confessa:
«Prima convivevo con la pressione e l’aspettativa. Ora è come se mi fossi disconnesso. È stato un lavoro profondo. Lavorare con la terra è il mio modo per ritrovare me stesso. Non mi disconnetto dai social: mi disconnetto da me stesso, per poi ricongiungermi».
Ed è proprio il tema della disconnessione il filo conduttore di questo numero del magazine. Un’esigenza sempre più sentita, quella di allontanarsi da notifiche, email e social, che si riflette in reportage, interviste e approfondimenti. Una riflessione che prosegue anche sui canali digitali del brand.
Le dichiarazioni di Mengoni
Sul tour negli stadi e quello europeo:
«Ho scelto un progetto audace. Più che nei tour precedenti, mi assumo la responsabilità di ogni dettaglio: dal numero di luci sul palco al tessuto dei costumi dei performer. Voglio far tuffare il pop – sono un cantante popolare e ne vado fiero – nell’opera. È il riflesso del mio percorso recente: un processo di decostruzione e ricostruzione, come accade alla società. Dopo gli stadi, ci sarà l’Europa in autunno. È una tappa naturale per me, ormai: sono partito dai club, ho attraversato i palazzetti. Ora continuo all’estero. Non credo nei confini: sono italiano, ma profondamente europeo. E vorrei aggiungere anche Budapest, per lanciare un messaggio».
Sull’Eurovision 2023:
«Sono stato anarchico, ribelle (ride). Non potevo salire con un’altra bandiera oltre al Tricolore. Così, nella bandiera italiana ho nascosto quella arcobaleno. Le tenevo strette, una dentro l’altra, con l’angoscia che cadessero o che venissi scoperto e squalificato. Il mio team mi ha scortato fino al palco. Sono orgoglioso di quel gesto: l’amore, le emozioni, i diritti umani non devono avere limiti. È stato un segnale forte, ma oggi sembra quasi che non basti più: stiamo facendo passi indietro».
Sull’impegno civile e sociale:
«Vivo in un Paese che non mi rappresenta, dove la maternità surrogata è stata trasformata in un crimine universale. Ci rendiamo conto? Bambini già nati cresceranno con la consapevolezza che i loro genitori sono considerati penalmente perseguibili. Per fortuna ho vicino persone con cui condivido la stessa visione. E continuo a usare il palco per piantare semi di riflessione. Non pretendo di convincere nessuno, ma voglio che il pubblico torni a casa con domande, con spunti».
Sull’amore:
«Io amo amare. Mi piace svegliarmi e addormentarmi con l’idea di un amore in testa. Ho questa foga di accudire l’altro, e in passato ho anche esagerato. Ma ora, non c’è nessuno».
Sul lutto per la madre:
«Il tempo passa, ma per me è come se fosse sempre ieri. Non ne avevo parlato prima, ho lasciato che fosse la musica a farlo per me. Ogni volta che ci penso, è come entrare in una stanza con un buco gigante. Forse un giorno ci costruirò attorno un recinto, e cresceranno dei fiori. Ma quel vuoto, resterà sempre».