Il Colibrì, l’analisi del film diretto da Francesca Archibugi con protagonista Francesco Favino
Il Film: Il Colibrì
Regista: Francesca Archibugi
Genere: Drammatico
Anno: 2022
Paese: Italia, Francia
Durata: 126 min
Data di uscita: 14 ottobre 2022
Distribuzione: 01 Distribution
Interpreti e personaggi principali:
Pierfrancesco Favino (Marco Carrera), Kasia Smutniak (Marina Molitor), Bérénice Bejo (Luisa Lattes), Laura Morante (Letizia, madre di Marco), Sergio Albelli (Probo, padre di Marco), Alessandro Tedeschi (Giacomo), Benedetta Porcaroli (Adele), Massimo Ceccherini (Duccio), Fotinì Peluso (Irene), Nanni Moretti (Dr. Daniele Carradori).
Il colibrì è un film diretto da Francesca Archibugi tratto dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020.
Come nel romanzo nel quale l’andamento cronologico è rispettato solo dalla numerazione delle pagine, anche il film sovverte completamente la linearità temporale e svela l’intera vita di Marco Carrera e della sua famiglia con un fitto intreccio di flashforward e flashback.
I continui salti in avanti e indietro richiamano proprio il caratteristico volo del colibrì capace di librarsi in aria da una parte all’altra, mantenendo equilibrio e posizione, anche a testa in giù. Se da un canto la sedizione della narrazione classica può “disturbare” lo spettatore o il lettore costringendolo ad una attenzione costante, dall’altro gli concede il lusso di poter guardare il film o leggere il romanzo iniziando da qualsiasi parte.
Marco Carreca protagonista della storia, è un bambino vispo ma minuto. La madre Letizia lo chiama il colibrì proprio per la sua statura che rimanda al piccolo volatile e per il carattere particolarmente resiliente:
Tu sei un colibrì, perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo
In realtà Marco supera il problema legato alla crescita fisica ma continua ad essere per tutti metafora della capacità di sopportazione portata all’estremo.
L’ambiente familiare preso come riferimento, attento alle necessità pratiche, si presenta, come tanti del resto, piuttosto problematico e inconsistente sul piano affettivo: la madre Letizia, donna dal carattere arrivista, freddo ed egoista e il padre Probo uomo introverso e ripiegato sulle sue passioni, litigano spesso insufflando ai figli una routinaria tensione carica di anaffettività. Entrambi troppo impegnati ad imporsi prepotentemente l’uno sull’altro, appaiono freddi rispetto agli evidenti tormenti della figlia maggiore Irene, al punto che, il loro comportamento, sembra il frutto di un artificio filmico utile a dare risalto al diverso atteggiamento del colibrì Marco rispetto alle avversità: tuttavia né gli uni né l’altro riescono ad evitare l’irreparabile. Irene muore suicida.
Ad ogni dolore Marco reagisce diluendolo: trasforma l’angoscia della perdita – anche derivante dal gioco d’azzardo a cui è dedito – in forza vitale: la morte della sorella Irene, che avviene quasi sotto i suoi occhi e poi della figlia Adele, non gli impediscono di continuare ad occuparsi di sé e di quel che rimane della famiglia, sebbene più che un suo atteggiamento innato, ciò appare come un consiglio dello psichiatra Carradori:
Marco rende resiliente anche l’amore per Luisa, la vicina di casa, passione adolescenziale che resta viva, unica, che lo pervade di forti emozioni che non trovano però un completo appagamento fisico:
Sei il paragone di ogni relazione che ho avuto e siccome la nostra non esiste vince sempre!
I due si scrivono, si parlano, e finalmente si incontrano clandestinamente, ma la loro relazione non va oltre lo stare abbracciati l’uno accanto all’altra: il lato oscuro della resilienza, una sorta di coercizione a resistere che, se da un lato appare come una risposta civile ed equilibrata alle intemperie della vita, dall’altro è una condanna alla sospensione, un blocco dei sentimenti:
Marco ha anche una moglie Marina e una figlia Adele.
Marina è una persona fragile e disturbata in cura dallo psicoanalista, il dottor Daniele Carradori.
La bambina confida al padre che crede di avere, proprio come una marionetta, un filo attaccato alla schiena che la costringe a stare sempre radente al muro, per evitare che qualcuno possa inciampare o rimanere intrappolato.
Marina si rifiuta di accettare il disagio della figlia. Il suo atteggiamento nei confronti delle situazioni e avversità è totalmente contrapposto a quello di Marco: un turbine di sregolatezza e dolore psichico.
Il filo di Adele somiglia alla capacità di sospensione del colibrì. Ma la ragazza rimane vittima di un incidente durante un’arrampicata, rimanendo appesa nel vuoto. Lei non sa volare. La metafora appare cruda, quasi insopportabile come se proprio quel volo bloccato sia portatore di morte.
Sembra evidente la volontà di sottolineare nel romanzo come nel film, l’importanza del distacco dal dolore e della capacità di canalizzare l’affetto che “abbonda dalla perdita” su altro, arrivando persino ad utilizzare il paradosso che, l’amico di sempre e la sfiga in persona Duccio “l’impronunciabile”, si piega compassionevole al destino amaro di Marco, lasciandogli vincere una cospicua somma al gioco.
Marco però non sa che farsene dei soldi, lui che tanto aveva voluto salvaguardare i beni accumulati nel tempo dai suoi genitori, esausto ma sereno, si abbandona alla malattia accelerandone la conclusione, scegliendo di porre fine, finalmente artefice, alla sua estrema resilienza.
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