Quando ci sono le manifestazioni, da una parte chi è sceso in piazza per protestare, dall’altra i tutori della legge, naturalmente mi sento di schierarmi dalla parte di chi prova a farsi sentire. Immagino sia una questione culturale, sono nato in un vecchio presidio dello Stato Pontificio dove, non a caso è poi sorta un grande spirito anarchico, e per mia natura, roba che riguarda l’epigenetica, tendo a stare sempre dalla parte di chi prova a contrastare il potere, ma di fatto non ho quasi mai dubbi su da che parte schierarmi. Mai amico delle guardie, mi viene quasi da dire a chiosa, questo nonostante ormai cinquantasette anni fa Pier Paolo Pasolini ci ha spiegato, col suo linguaggio colto e al tempo stesso popolare, come ci si dovrebbe schierare dalla parte dei poliziotti, veri figli del proletariato, a differenza degli studenti borghesi che erano scesi a Valle Giulia. Un discorso notissimo, il suo, e anche molto frainteso, o meglio, usato pretestuosamente in ogni dove, anche lì dove questa distinzione tra borghesi e proletari non esista più, o non esista in certi frangenti, e anche oggi che un vento di destra è assai più forte e potente di quello di sinistra. C’è una protesta di piazza, un qualche scontro verbale o fisico, è dalla parte dei poliziotti che ci si deve schierare, l’ha detto Pasolini, che di sicuro non era di destra e che era pure omosessuale, tanto per non farci mancare niente in questo discorso pret-a-porter.

Un po’ come la faccenda della leggerezza pensosa, quella che Italo Calvino ci ha raccontato nelle Lezioni americane e che sono diventate un altro grande classico da citare, a prescindere che si siano lette o meno le suddette lezioni americane. Avete presente tutti, no?, la leggerezza pensosa non è superficialità, ma planare dall’alto sulle cose senza macigni sul cuore. Dio mio che palle. Un discorso talmente abusato, il suo, da far quasi rimpiangere la pesantezza vacua di significati, e a sua volta decontestualizzato a ogni piè sospinto. Se sei lì lì per dire qualcosa di non troppo profondo, ma cerchi una pezza di appoggio, una qualche giustificazione che non ti faccia passare per un superficialotto o, peggio, come uno che non ha proprio niente da dire, ecco che tirare in ballo Calvino e la sua più nota lezione americana fa al caso tuo, sfido io a chiunque l’abbia citata almeno una volta a dirmi cosa altro mai dica nel corso di quella lezione e delle altre quattro, vi aspetto qui a mani nude, quando volete. Questo senza dover star aggiungere che in fondo Calvino è stato un autore talmente tanto celebrato in vita, sorte a suo modo toccata anche a Pasolini, celebrato a sua volta anche da chi ovviamente non ne condivideva la condotta personale, e sfido ben io che non fosse condivisibile il suo sfruttare una posizione in qualche modo di potere, economico, sicuramente, ma anche intellettuale, per andare con giovani marchettari, come se scrivere Ragazzi di vita bastasse per giustificare il tutto, e chi viene celebrato in vita, o veniva celebrato in vita nel Novecento, andrebbe sempre guardato con un minimo di sospetto, altroché star lì a citarlo senza manco sapere bene di cosa si sta parlando. È sempre quella faccenda lì, il potere e chi quel potere prova a contrastarlo, anche nel caso di chi, parlo di Pasolini, quel potere in vita provava comunque a contrastarlo.

Ma non è di questioni legate alle riletture di pagine ormai calcificate della nostra recente cultura popolare che voglio parlare, o almeno non solo. Provo però a partire da qui, da pagine notissime benché quasi sempre notissime perché divenute oggetto di passaparola, più che di reale lettura, figuriamoci di approfondimento.

Succede sempre più spesso, di leggere commenti, approfondimenti, Dio mio, analisi su argomenti dei quali, chi scrive, ha poca o nessuna competenza. Una forma espansa di quell’opinionismo che è stata malattia assai diffusa negli ultimi decenni e che, con l’esplosione, prima, e metabolizzazione e conseguente annessione alla comune dieta giornaliera dei social, è diventata pratica talmente in uso da non destare neanche più alcuna meraviglia. Per cui non ci si stupisce più che si citino autori che non si maneggiano, spesso ricorrendo a citazioni pret-a-porter, figuriamoci se potrà mai stupire che come in quel gioco che si faceva da bambini, parlo di chi è stato bambino prima di internet e quindi dei videogiochi e quindi dei social, il telefono senza fili, quando qualcuno diceva una parola all’orecchio di un amico, sottovoce, e da quel momento, di passaggio in passaggio, la frase iniziale si trasformava, fino a perdere ogni traccia della frase inziale, figuriamoci se potrà mai stupire che come in quel gioco che si faceva da bambini, il telefono senza fili, la citazione strada facendo cambia forma e anche senso, scontornandosi, perdendo efficacia e peso. Non troverei affatto incredibile leggere qualcuno che confonde quei due classici, o altri come quelli, mescolando le carte, la leggerezza pensosa in bocca a Pasolini e il discorso di Valle Giulia affibiato a Calvino, o Pavese, o Vittorini, o vattelapesca. Questo l’ho chiarito.

Ora, se è possibile fraintendere quelli che a ragione, o meno, vengono considerati dei classici, figuriamoci quel che può capitare con tutto il resto, dove per tutto il resto intendo davvero tutto il resto. Quelle sono pagine, fisiche e quindi virtuali, di cultura popolare, al punto da essere citate anche dal macellaio, mentre si è in fila col numerino, che mai potrebbe accadere a una frase detta a mezza bocca, magari in una di quelle interviste dalle quali si estrapola poi una qualche affermazione ad minchiam giusto per farci su un titolo a effetto, o, peggio, da un passaggio sui social, dove il linguaggio è di per sé sciatto, non destinato a rimanere, a volte anche per incuria di chi lo fa, certo, ma sempre e comunque per sua stessa natura.

Fare esempi, di questi frangenti, sarebbe semplicissimo, scorrere la sezione notizie di Google offre così tanti titoli dichiaratamente acchiappaclick che c’è davvero l’imbarazzo della scelta, ma ci sono alcuni casi che gridano davvero vendetta, tanto per usare un’altra espressione usurata. Penso all’intervista fatta da Matilda De Angelis al Fatto Quotidiano, intitolata “Matilda De Angelis: ‘Trovo irrispettoso dover dividere il Nastro D’Argento con Elodie’”. Il riferimento è chiaramente alla fresca notizia della vittoria da parte dell’attrice bolognese e della cantante romana del Nastro D’Argento come attrici non protagoniste per la loro parte nel film Fuori, che Mario Martone ha dedicato alla figura di Goliarda Sapienza. Una vittoria che è stata ottenuta insieme, come la candidatura, proprio perché, ci ha tenuto poi a dire la presidente Laura Delli Colli, ai Nastri D’Argento funziona così, non si tratta neanche di una vittoria ex aequo, ma proprio di vittoria condivisa. Solo che, leggendo l’intervista di Pontiggia sul Fatto Quotidiano, non sembra che Matilda De Angelis, cui la simpatia fa spesso difetto, abbia in effetti preso le distanze da Elodie, come il titolo lascerebbe intendere, quanto piuttosto proprio da quella formula, ritenuta da lei “strana” e poi “irrispettosa” perché mettere insieme due attrici, come due attori o quel che è, priva i protagonisti della propria identità e personalità, discorso anche condivisibile, pur parlando di premi cinematografici, non di diritti civili o altre faccende meno effimere.

Poi, è chiaro, chi fa il mestiere dell’attrice, come del cantante, dovrebbe ben sapere che quando si fanno interviste le frasi che si dicono saranno poi in qualche modo manipolate, usate a beneficio di un titolo a effetto, di una polemica usa e getta, quindi, a meno che non abbia intenzione proprio di andare in quella direzione, farebbe un gran bene a dosare le parole, senza lasciare aperti spiragli che in quell’abisso guardino. Per dire, rimaniamo nei pressi di questa spinosa vicenda, quando Elodie dichiara che mostra il culo per combattere il patriarcato, immagino, ha ben presente come questa frase sarà poi ripresa ovunque, tra ironia e sangue agli occhi di chi ovviamente non la vede in questa maniera, e probabilmente lo dice esattamente per scatenare l’inferno. Le capitasse poi di stupirsene sarebbe sciocca, perché in tutto questo c’è una consequenzialità quasi matematica, dici quella frase e automaticamente arrivi a quella polemica. Lo stesso per altro passaggio dell’intervista della De Angelis, quando parla di nudo e di come non le risulti siano domande, quelle appunto relative alle scene di nudo, che vengono in genere poste a attori uomini. Tutto vero, ci mancherebbe altro, ma è chiaro che la carriera di Matilda De Angelis, ammirevole e anche piuttosto verticale nel suo procedere, è stata segnata anche da alcuni passaggi nei quali le scene di nudo, penso alla famosissima scena nella quale sta appunto nuda madre di fronte a una annichilita Nicole Kidman, non esattamente una di passaggio, parlo della miniserie The Undoing, fosse accaduto, che so, a Luca Argentero, di girarne una simile di fronte a Hugh Grant, a sua volta protagonista della medesima serie, immagino gli avrebbero poi sempre chiesto qualcosa a riguardo, non tanto per una questione di annullamento del patriarcato, sia chiaro, ma per mera curiosità. Ciò, detto, tanto per tenere insieme almeno noi, Elodie e Matilda De Angelis, continuiamo a vivere in un mondo nel quale le donne devono sempre dimostrare qualcosa di più, il patriarcato esiste e lungi da me star qui a negarlo, era solo per specificare che le parole sono importanti e darle in pasto a chi capita, a volte, è un rischio che si potrebbe anche decidere di non correre.