La notizia della settimana, nel mondo dell’arte, è l’apertura di un ristorante agli scavi di Pompei.

Recentemente è stato inaugurato Chora Restaurant, un ristorante all’interno del sito archeologico di Pompei, situato nella Casina dell’Aquila, edificio ottocentesco che si trova nel cuore dell’area degli Scavi.

Il ristorante è una iniziativa del Parco Archeologico di Pompei, che ha affidato i servizi di ristorazione tramite concessione alla cooperativa Cirfood.

L’inaugurazione ufficiale è recente, settembre 2025, anche se il locale era già operativo da qualche tempo.

Un elemento centrale del progetto è l’inclusione sociale: i prodotti agricoli utilizzati nel ristorante provengono dalla prima fattoria sociale interna al Parco Archeologico, gestita dalla cooperativa “Il Tulipano”, che coinvolge ragazzi “fragili” (cioè con disabilità o in situazioni di svantaggio), il tutto quindi sembra solo a fin di bene, anzi, un’azione più che lodevole.

Il ristorante ha tre terrazze da cui si gode di vista sulle rovine; è pensato non solo come punto ristoro ma anche come luogo di incontro tra cucina, storia, arte contemporanea, con opere esposte, e turismo culturale, ma siamo sicuri sia così?

Secondo i promotori si offre un’esperienza più integrata per il visitatore, che non solo vede Pompei ma la vive anche, gustando prodotti locali, anzi coltivati in loco, in un contesto che mescola archeologia, storia, natura, come se Pompei fosse un’esperienza da vivere.

Può esserci però rispetto? O è sfruttamento di un patrimonio?

Pur riconoscendo che il progetto ha aspetti connessi a inclusione, etica, utilizzo di prodotti locali, bellezza paesaggistica, secondo me ci sono parecchi motivi di preoccupazione, molto seri, che invitano a chiedersi se tutto ciò sia davvero giustificato, rispettoso, necessario, o se sia invece un modo di lucrare su qualcosa che meriterebbe protezione, tutela, cura, non consumo.

Partiamo dalla prima questione, il rischio per il bene culturale.

L’integrità del sito archeologico: Pompei non è un museo neutro, è un sito delicatissimo, con decori che si deteriorano per agenti atmosferici, vibrazioni, inquinamento, uso intensivo.

Aprire un ristorante “dentro” significa aumentare traffico, mobilità, possibili impatti, come rumore, scarichi, odori, sporcizia, traffico di visitatori che sostano, scivolano, toccano. Anche se il ristorante è nella Casina dell’Aquila, edificio “recuperato”, la prossimità con le rovine vuol dire che ogni intervento deve essere fatto con estrema cautela.

Passiamo poi all’uso dello spazio archeologico come scenografia: c’è il pericolo che il valore principale storico, artistico del sito diventi un “teatro” per clienti. La bellezza, gli affreschi, le rovine funzionano come sfondo decorativo piuttosto che come oggetto di rispetto. Si corre il rischio che il patrimonio diventi pubblicità per il ristorante, piuttosto che il ristorante serva la cultura.

Anche se ogni singola misura è pensata etica, come i prodotti locali, inclusione, l’insieme può però generare impatti non calcolati: manutenzione, pulizia, trasporto degli alimenti, rifiuti, uso di acque, energia. E questi effetti possono compromettere la conservazione delle strutture archeologiche se non attentamente monitorati.

E viene poi la domanda piú importante, la necessità, era davvero indispensabile?

Pompei ha già strutture di ristorazione, bar, caffetterie, punti ristoro. Aumentare questi servizi non è di per sé un male, ma la domanda che mi pongo è: serviva davvero aggiungere un ristorante tra le rovine invece che migliorare le strutture già esistenti, magari spostando, ristrutturando, potenziando senza toccare la scena archeologica?

Il valore turistico-culturale di Pompei è già enorme. I visitatori vengono soprattutto per la storia, l’architettura, gli affreschi, la vita antica. Sono disposta a credere che possa essere utile offrire una pausa ristorativa, ma non al punto da mettere in secondo piano la tutela del sito. Se non fosse per il richiamo che produce un ristorante nelle rovine, forse non lo avrebbero fatto.

Gli affreschi e le strutture emergenti sono fragili e anche il microclima, l’umidità, le oscillazioni termiche, l’inquinamento atmosferico possono compromettere pigmenti, stucchi, pitture. Ogni nuova apertura vicino può alterare condizioni ambientali. Il passaggio continuo dei visitatori in spazi comunque vicini ai reperti può aumentare usura.

Ecco perché credo sia l’ennesima iniziativa sbagliata che va a ledere i beni culturali del nostro paese, dato che l’enfasi cade sull’esperienza turistica-gastronomica piuttosto che sull’esperienza culturale, e Pompei finisce per perdere la sua dignità.

È legittimo offrire servizi per i visitatori, ma il primo dovere è proteggere, conservare, non compromettere.

Se la scelta è mantenuta, allora almeno si dovrebbe imporre una trasparenza totale sui costi, sulle condizioni, sull’impatto ambientale, una conservazione delle strutture pari o superiore allo status quo, e un vero equilibrio che ponga la tutela come valore non comprimibile, in maniera tale da avere la certezza che il bene sia, non solo protetto, ma anche valorizzato.

Questa può essere l’unica soluzione per una VERA tutela del nostro patrimonio artistico immenso.