Qualche giorno fa è morto un ragazzo di venticinque anni vicino a casa mia. No, la dico meglio. Qualche giorno fa un poliziotto ha ammazzato un ragazzo di venticinque anni vicino a casa mia. È successo alle cinque e qualcosa di notte, il ragazzo di venticinque anni ha attraversato la strada sulle strisce pedonali, il poliziotto è arrivato e lo ha investito, senza neanche frenare. Il corpo del ragazzo è stato trovato a trentasette metri dall’impatto. Trentasette metri. Il poliziotto ha ventisei anni, e nel suo caso uso ovviamente il presente, presente che non posso ovviamente più usare per il ragazzo di venticinque anni rimasto ucciso nell’impatto. Il poliziotto di ventisei anni, fuoriservizio, è risultato positivo all’alcol test, e risulta che già in passato abbia avuto problemi di alcolismo.
Dove il ragazzo è morto ci sono da quel momento fiori, foto, lumicini accesi. Sere fa c’è anche stata una manifestazione, la strada dove l’incidente è avvenuto è molto trafficata e per un paio d’ore è stata chiusa al traffico, il senso della manifestazione era ovviamente ricordare il ragazzo, ma anche chiedere maggiore sicurezza sulle strade, oltre centoventi i morti a Milano per strada dall’inizio dell’anno. Ogni volta che ci passo, e ci passo spesso, vedo quei lumicini, vedo quelle foto, vedo il murales rosso che ora si trova lì, di fianco al palo con i fiori e le foto, attaccato alla porta di una trattoria, e la cosa mi colpisce.
Il ragazzo era un venticinquenne del mio quartiere, non lo conoscevo di persona, e immagino di non averlo mai incontrato, è un quartiere popoloso, come quasi tutti quelli di Milano. La cosa mi colpisce, come in teoria siamo portati a credere ci colpiscano tutte le tragedie che accadono ogni giorno, ma se davvero ci commuovessimo per tutte le tragedie che accadono ogni giorno e delle quali veniamo informati, moriremmo letteralmente di crepacuore.
Non è una questione di assuefazione all’orrore, come c’è qualcuno che tende a dire, anche se vedere scene di morte quotidianamente prima i tv e poi sui social ha indubbiamente reso la morte più vedibile, portandoci quasi a fare un esercizio di astrazione tra quel che vediamo e quel che è avvenuto, credo sia piuttosto una questione di sopravvivenza. Succedono troppe tragedie, guerre, carestie, tragedie varie, omicidi, non possiamo empatizzare con tutti.
Quindi, immagino, non sono uno psicologo né un sociologo, tendiamo a empatizzare con chi ci somiglia, o con chi ci è vicino. Empatia a chilometro zero, direbbe un cinico.
La vicinanza, è evidente, quella di cui sto parlando ora, non è solo quella fisica, un ragazzo che ha trovato la morte vicino a casa, lì dove passo tutti i giorni, ma anche quella ideologica, qualcuno che la pensa come me, che ha esperienze comuni con me, in alcuni casi che ha i miei stessi amici o i miei stessi nemici.
Nel caso del ragazzo di venticinque anni ucciso qualche giorno fa mentre attraversava le strisce pedonali vicino a casa mia da un poliziotto fuori servizio risultato positivo all’alcol test che non ha neanche frenato, già come lo sto raccontando dovrebbe aver chiarito in maniera palese i punti di contatto, il fatto che a uccidere sia stato un poliziotto fuori servizio risultato positivo all’alcol test, ho volutamente taciuto il fatto che abbia appena un anno più della vittima, perché la giovane età porta indubbiamente all’empatia, anche quando si è dalla parte sbagliata della storia, il fatto che a uccidere sia un poliziotto è un aspetto fondamentale del discorso, “amare te è facile come odiare la polizia” direbbe Coez.
Pensate al caso George Floyd, quello che ha fatto da detonatore al Black Lives Matter, durante i mesi del Covid, a Seattle. Un poliziotto bianco che uccide un uomo nero, soffocandolo a beneficio di camera, impietosamente incurante delle sue richieste di aiuto, c’era tutto per far scattare la bomba, anche se nel dire questo, lo so perfettamente, mi sto disegnando come un antagonista, ostile alle forze dell’ordine, parlo sempre di narrazione.
Ovviamente sto scrivendo quel che sto scrivendo perché il caso dell’omicidio di Charile Kirk, qualsiasi definizione che adesso dovessi far seguire al suo nome direbbe altrettanto riguardo a come voglio essere percepito dai miei lettori, pensate la differenza tra il dire “l’estremista di destra” o “il conferenziere impegnato in un tour nelle Università”, ucciso con un colpo al collo sparato da un fucile nello Utah, proprio nel momento in cui stava parlando del diritto a avere armi da fuoco, sancito dal secondo emendamento della Costituzione Americana, è divenuto centrale nel dibattito politico americano ma anche italiano.
Tutto quello che può stare tra i festeggiamenti scomposti di chi si è sempre sentito insultato e vittima di una istigazione all’odio da parte di Kirk nei suoi discorsi pubblici, si trattasse di podcast, di dibatti o di conferenze, e chi piange un padre di famiglia ucciso mentre difendeva la libertà d’espressione, con tanto di foto del trentunenne con moglie e figlie, è stato detto e ridetto, e so che aver costruito questa frase così, ponendo tesi e antitesi in questo modo, potrebbe già qualificarmi come parte del discorso. Anche tutto quello che sta tra “uno di meno” o “chi semina vento raccoglie tempesta” e “il fascismo degli antifascisti” e “Ammazzato a colpi di Bella Ciao”, che so può suonare eccessiva ma è in realtà il titolo con cui La Verità ha dato la notizia dell’arresto del presunto colpevole, il ventiduenne Taylor Robinson, anche lui dello Utah, figlio di un ex agente di polizia repubblicano, ora ministro della chiesa mormona, né democratico, né transgender, ma che ha scritto sulle pallottole del suo fucile “Bella Ciao”, “Fascista prendi questo”, “Se leggi questo sei gay”, per altro dimostrandosi anche omofobo, ecco, tutto quello che sta tra questi altri esempi di narrazione è parte del discorso, e vi regala una prospettiva di come io la pensi. Ma son qui e son qui dopo essere partito da una vicenda di cronaca cittadina, una vicenda tragica, e dopo aver tirato in ballo un discorso sull’empatia, fatto a sua volta tirato in ballo scompostamente dai tanti che hanno pianto la morte del trentunenne influencer vicino a Donald Trump, Donald Trump che proprio nelle ultime ore è andato a vedere la partita allo Yankee Stadium, ci sono video che ce lo mostrano mentre balla alla sua maniera YMCA, per altro canzone divenuta inno gay e che è ambientata proprio in un collage, evidentemente distrutto per la morte del suo collaboratore, che ricordo ai tempi dell’attacco a Capitol Hill, dopo le elezioni perse con Biden, era uno dei principali fomentatori della folla di trogloditi che stava mettendo in pratica un non troppo efficace tentativo di colpo di stato, il Bolsonaro da poco condannato a ventisette anni e così vicino a Trump docet. Morte del suo collaboratore per la quale Trump ha ovviamente invocato la pena di morte, così, detto en passant.
Parlavo quindi di empatia. Chiaro che di fronte alla foto di un giovane che abbraccia due bambine piccole, la bionda moglie, ora vedova, a fianco, porti verso l’empatia. Così come è chiaro che un video nel quale Kirk dichiara che la legge sui diritti civili è stato un grave errore, o quello, viralissimo, in cui dice a una incredula ragazza che se sua figlia fosse stata stuprata le farebbe comunque portare avanti la gravidanza, perché l’aborto è un assassinio, ecco, è chiaro che questi video scaccerebbero l’ipotesi dell’empatia in chiunque non sia un retrogrado di estrema destra. Io, personalmente, non avendo mai provato simpatia per Charlie Kirk, che per intendersi non è che avesse occupato chissà quale spazio del mio hard-disc emotivo, non posso dire di essermi spiaciuto più di quanto non mi spiaccia una qualsiasi notizia di tragedia che leggo o sento da qualche parte, chiaro che la notizia del ragazzo di venticinque anni morto vicino a casa mia, nonostante di quel ragazzo non sapessi e non sappia ancora oggi nulla, mi ha colpito di più, i fiori visibili in strada, l’idea che su quelle strisce pedonali, proprio su quelle, ci sarebbe potuto essere un mio figlio, la manifestazioni che ho seguito affacciato al balcone, tutto mi era estremamente vicino, a differenza di quel che ruotava e ruota intorno a Charlie Kirk. Perché è anche tutta una questione di narrazione, ripeto, di aspetti messi in evidenza e di chi quegli aspetti mette in evidenza e come.
Se vi andate a fare un giro su X, vi raccontavo giorni fa che ci sono tornato per curiosità e ho scoperto essere diventato nel mentre qualcosa di molto vicina all’idea di inferno che, cattolico e figlio di un diacono, mi sono fatto negli anni, ecco, se vi andate a fare un giro su X vedrete tutta una carrellata di beceri commenti, va detto quasi tutti provenienti da gente che presumibilmente fino a ieri non aveva neanche idea di chi fosse Charlie Kirk, ma che oggi lo eleva a figura di martire, anche in maniera piuttosto buffa, penso a Tommaso Cerno, fino a qualche anno fa deputato del PD oggi direttore de Il Tempo e alfiere di una alt-right in salsa tricolore, che ha twittato “Martin Luther Kirk”, come molti gli hanno fatto notare, un bell’insulto per chi riteneva che il cervello di una donna afroamericana fosse inferiore al cervello di una donna caucasica, insulto per altro detto da un dichiarato omosessuale, a sua volta non troppo ben considerato da Kirk, stando alle sue esternazioni figlie di un cristianesimo evidentemente bigotto e estremista.
Ci sono cascato di nuovo, ma voi passate oltre. Torno all’empatia. E avrete ovviamente notato come io non abbia ancora tirato in ballo il nodo, centralissimo, dell’essere ucciso con un colpo di fucile e dell’essere stato uno dei tanti strenui difensori del diritto a possedere un’arma da fuoco, anche il passaggio nel quale Charlie Kirk sottolinea come i circa trentamila morti annui, una media di ottantadue al giorno, negli Stati Uniti d’America, per colpi d’arma da fuoco, una enormità, siano il prezzo che il paese paga al diritto di possedere un’arma, lui divenuto parte di quel prezzo. E avrete anche notato che non ho mai citato l’acronimo MAGA, Make America Great Again, slogan divenuto celebre nella prima campagna elettorale di Donald Trump, vinta nel 2016, atto a indicare il movimento di sostegno al presidente repubblicano, MAGA dentro il quale evidentemente Charlie Kirk aveva un ruolo centrale, pur essendo volutamente rimasto fuori da ogni ruolo governativo una volta contribuito in maniera determinante a aver fatto vincere le elezioni al tycoon. Questa mia scelta dialettica dovuta più a un tentativo, non sono in grado di dire se riuscito, di lasciare fuori dal discorso ogni qualsiasi sfumatura complottistica, sui social gira molto l’ipotesi che in realtà a uccidere Kirk sia stato un cecchino del Mossad, per certe sue esternazioni contro Israele, lui che in passato è stato indubbiamente vicino al sionismo, se non addirittura da Trump stesso, perché non c’è niente come un martire per la cui morte festeggiano i propri avversari per cementificare e rafforzare la propria parte, del resto per chi si era mosso agilmente dentro l’alveo dei complotti, convinto no vax, negazionista dei cambiamenti climatici, nemico dichiarato di una fantomatica “ideologia gender”, roba da far impallidire Vannacci, non poteva che finire a sua volta dentro una narrazione complottista.
Ora, torno all’empatia. E volendo anche al principio di empatia a orologeria, cioè quella invocata da chi ora piange per il trentunenne Kirk, pianto che vorrebbe condiviso e comune, ma che diventa cinicamente assenza di pietà nei confronti di chi magari muore in mare cercando una vita migliore in occidente, o di chi viene ucciso per il proprio essere in un qualche modo “diverso”.
Non penso che dire che Charlie Kirk se la sia cercata per il suo promulgare con convinzione il diritto a possedere un’arma da fuoco, quello stabilito nel secondo emendamento. Né penso che aver seminato odio, perché se il fatto di essere andato per anni nei campus a dibattere con gli studenti è stato incautamente definito “metodo socratico”, nei fatti era davvero un esercizio di sopraffazione nei confronti di chi era assai meno abituato al dibattito, non cadete nel facile errore di considerare quell’uno contro tutti come una forma di democrazia, si può essere sopraffattori anche praticando la dialettica, se si è in possesso di armi retoriche che chi ci sta di fronte evidentemente non ha, né penso quindi che aver seminato odio abbia portato come conseguenza all’aver raccolto un proiettile sul collo proprio mentre di armi e di diritto a possederle si stava parlando. Penso, semmai, che continuare a polarizzare così tanto il vivere sociale, attività che cinicamente va detto Charlie Kirk non potrà più svolgere, ma che ha svolto come parte di un tutto, e come parte portante di un tutto in questi anni, stia giocoforza contribuendo a creare un clima iperviolento che non può che peggiorare. Questo anche in relazione ai chi festeggia per la sua morte, per essere chiari, come per chi sta usando quella morte per fomentare una ulteriore divisione tra bande, noi o loro. Anche il parlare di martirio, figuriamoci, è parte del discorso. Quel “Bella Ciao” citato da La Verità, senza sapere se chi l’ha scritto l’ha fatto pensando ai partigiani o a Berlino che canta con i compari de La Casa di Carta, passaggio iconico che ha reso quel brano una hit mondiale, anche per chi non ha idea di cosa sia stata la Resistenza.
Alzare il livello dello scontro, anche solo verbale, non porta niente di buono, torno quindi all’incipit di questo mio scritto.
Se invece che dire che qualche giorno fa è morto un ragazzo di venticinque anni vicino a casa mia fossi subito partito dicendo qualcosa come “un poliziotto ha ucciso un ragazzo di venticinque anni vicino a casa mia”, o peggio “un poliziotto ubriaco ha ucciso un venticinquenne vicino a casa mia” avrei indubbiamente detto qualcosa di vero, ma lo avrei fatto per esacerbare gli animi, contando sul fatto che per molti, ovviamente non per tutti, l’incipit de “La tua canzone” di Coez è vero. Se poi ci avessi aggiunto che la gente del quartiere è scesa in strada, bloccando una delle principali arterie milanesi, quasi suggerendo una versione meneghina del Black Lives Matter, avrei fatto un altro piccolo passo verso la fomentazione dell’odio.
Credo che averne coscienza possa essere utile, un fare quel passo indietro che ci permette di vedere meglio quel che abbiamo davanti, non solo l’ordito dell’arazzo che si trova a pochi centimetri dai nostri occhi. Poi, è chiaro, continuerò nelle prossime ore, forse giorni, a chiedermi chi me lo ha fatto fare di scrivere qualcosa sull’omicidio di Charlie Kirk, ma questa, credo, è altra faccenda.